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Il Rapporto Draghi per l’Europa: testo integrale e punti essenziali

Il 9 settembre 2024 è stato presentato il "Rapporto Draghi"

di Redazione - martedì 10 settembre 2024 - 756 letture

I punti essenziali del Draghi’s Report

Il documento strategico più atteso di settembre, il rapporto sulla competitività che Mario Draghi ha presentato la mattina del 9 settembre 2024, è organizzato in sei punti che delineano le sfide che l’Europa deve affrontare.

Prima di elencare le sue proposte, il rapporto sottolinea il nuovo contesto a cui l’Unione e gli Stati membri devono adattarsi: una crescita economica in calo, anche se il continente mantiene i suoi punti di forza – in particolare un basso livello di disuguaglianza – e tre vincoli esterni che dovranno essere superati: – l’era del boom del commercio mondiale sostenuto dalle regole multilaterali sembra essere finita; l’energia russa a basso costo non è più un’opzione dopo l’invasione dell’Ucraina; la protezione della sicurezza americana non è più garantita e l’Unione non può più fare a meno della sua difesa.

Il Rapporto è strutturate intorno a cinque punti chiave:

- Colmare il divario di innovazione (comprese le competenze);

- Combinare decarbonizzazione e competitività;

- Rafforzare la sicurezza e ridurre la dipendenza;

- Finanziamento degli investimenti;

- Rafforzare la governance.

«Il fabbisogno finanziario necessario all’Ue per raggiungere i suoi obiettivi è enorme, sono necessari almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui, secondo le ultime stime della Commissione, pari al 4,4-4,7% del Pil dell’Ue nel 2023».

«Per fare un paragone, gli investimenti del Piano Marshall nel periodo 1948-51 equivalevano all’1-2% del Pil dell’Ue».


Discorso di Mario Draghi, 16 aprile 2024: "Propongo un cambiamento radicale"

Di seguito la versione italiana (approvata dall’autore) del testo dell’intervento di Mario Draghi alla High-level Conference on the European Pillar of Social Rights (Bruxelles, 16 aprile 2024).

Questa è, in sostanza, la prima volta in cui ho l’occasione di iniziare a condividere con voi, se non proprio la filosofia — non ci siamo ancora arrivati —, almeno il modo in cui si vanno delineando il disegno d’insieme e la filosofia complessiva del report.

La competitività è da molto tempo una questione controversa per l’Europa.

Nel 1994, l’economista e futuro premio Nobel Paul Krugman etichettò come “pericolosa ossessione” la tendenza a concentrarsi sulla competitività. A suo dire, una crescita a lungo termine si ottiene aumentando la produttività – che va a beneficio di tutti – e non tentando di migliorare la propria posizione relativa rispetto ad altri e di catturare la loro quota di crescita.

L’approccio alla competitività che abbiamo adottato in Europa dopo la crisi del debito sovrano sembrerebbe avergli dato ragione. Abbiamo deliberatamente perseguito una strategia basata sul tentativo di ridurre i costi salariali l’uno rispetto all’altro, in aggiunta a una politica fiscale prociclica, con l’unico risultato di indebolire la nostra stessa domanda interna e minare il nostro modello sociale.

Non è la competitività a essere viziata come concetto. È l’Europa che si è concentrata sulle cose sbagliate.

Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo noi stessi come concorrenti, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni. Allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno: con una bilancia commerciale in fin dei conti positiva, non abbiamo considerato la nostra competitività esterna come una questione di policy seria.

In un ambiente internazionale favorevole, abbiamo fatto affidamento sulla parità di condizioni a livello globale e su un ordine internazionale basato sulle regole, aspettandoci che gli altri facessero lo stesso. Ma ora il mondo sta cambiando velocemente, e siamo stati colti di sorpresa.

Altre regioni, in particolare, hanno smesso di rispettare le regole e sono attivamente impegnate a elaborare politiche volte a migliorare la loro posizione competitiva. Nel migliore dei casi, queste politiche hanno l’obiettivo di riorientare gli investimenti verso le proprie economie a scapito della nostra; nel peggiore, sono progettate per rendere permanente la nostra dipendenza da loro.

La Cina, ad esempio, punta a catturare e internalizzare tutte le parti delle catene di approvvigionamento legate alle tecnologie verdi e avanzate, e sta facendo in modo di assicurarsi l’accesso alle risorse necessarie. Questa rapida espansione dell’offerta sta portando a un eccesso di capacità in numerosi settori e minaccia di indebolire le nostre industrie.

Gli Stati Uniti, da parte loro, utilizzano la politica industriale su larga scala per attrarre entro i propri confini la capacità produttiva interna di maggior valore, compresa quella delle imprese europee, ricorrendo al protezionismo per tagliare fuori la concorrenza e impiegando il loro potere geopolitico per riorientare e proteggere le catene di approvvigionamento.

Come Unione europea non abbiamo mai avuto un analogo “Industrial Deal”, anche se la Commissione continua a fare tutto quanto è in suo potere per colmare questa lacuna. Sta di fatto che, nonostante una serie di iniziative positive in corso, ci manca ancora una strategia complessiva sulle risposte da dare nei diversi settori.

Ci manca una strategia su come tenere il passo nella corsa, sempre più spietata, per la leadership nelle nuove tecnologie. Oggi i nostri investimenti in tecnologie digitali e avanzate, anche per la difesa, sono inferiori rispetto a quelle di Stati Uniti e Cina, e solo quattro dei primi 50 player tecnologici al mondo sono europei.

Ci manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da condizioni di disparità globali dovute ad asimmetrie nella regolamentazione, nei sussidi e nelle politiche commerciali. Un caso esemplare è quello delle industrie ad alta intensità energetica.

In altre regioni, queste industrie non solo devono sostenere costi energetici più bassi, ma sono anche soggette a minori oneri normativi e, in alcuni casi, ricevono pesanti sovvenzioni che rappresentano una minaccia diretta alla possibilità per le imprese europee di competere.

In assenza di politiche pianificate e coordinate strategicamente, la logica conseguenza è che alcune delle nostre industrie finiscano per ridurre la capacità produttiva o si trasferiscano al di fuori dell’UE.

E ancora, ci manca una strategia su come assicurarci le risorse e gli input di cui abbiamo bisogno per realizzare le nostre ambizioni, senza accrescere la nostra dipendenza da altri.

In Europa abbiamo giustamente un’agenda climatica ambiziosa e obiettivi impegnativi per i veicoli elettrici. Ma in un mondo in cui i nostri concorrenti controllano molte delle risorse di cui abbiamo bisogno, una simile agenda non può che essere accompagnata da un piano per mettere in sicurezza le nostre catene di approvvigionamento — dai minerali critici alle batterie, passando per le infrastrutture di ricarica.

Finora la nostra risposta è stata limitata perché il modo in cui siamo organizzati, i nostri processi decisionali e i nostri meccanismi di finanziamento sono progettati per il mondo di ieri: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, pre-ritorno delle ostilità tra grandi potenze.

Ma a noi serve un’Unione europea che sia adeguata al mondo di oggi e di domani. Ecco perché quel che proporrò nella relazione che la Presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale: perché è di questo che c’è bisogno.

In ultima analisi, sarà necessario completare una trasformazione che attraversi tutta l’economia europea. Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato a livello di UE; produzione nazionale nei settori più innovativi e in più rapida espansione; e una posizione di leadership nell’innovazione deep-tech e digitale, che sia vicina alla nostra base produttiva.

Tuttavia, vista la velocità alla quale si muovono i nostri concorrenti, è altrettanto importante stabilire delle priorità. È necessario agire immediatamente nei settori maggiormente esposti alle sfide verdi, digitali e di sicurezza. Il mio report si concentrerà su dieci di questi macro-settori dell’economia europea.

Ogni settore richiede riforme e strumenti specifici, ma dalla nostra analisi emergono tre fili conduttori, comuni ai diversi interventi di policy.

Il primo è favorire le economie di scala. I nostri principali concorrenti stanno approfittando della propria dimensione continentale per generare economie di scala, aumentare gli investimenti e catturare quote di mercato nei settori in cui questo conta di più. In Europa avremmo naturalmente lo stesso vantaggio, ma la frammentazione ci frena.

Nell’industria della difesa, ad esempio, la mancanza di economie di scala ostacola lo sviluppo di una capacità industriale europea: un problema riconosciuto anche dalla recente Strategia industriale europea per la difesa. Negli USA, ai cinque soggetti principali fa capo l’80% del mercato statunitense nel suo complesso, mentre in Europa si arriva solo al 45%.

Questa differenza si spiega in gran parte con la frammentazione della spesa per la difesa nell’UE.

I governi non ricorrono molto spesso agli acquisti congiunti — gli appalti collaborativi rappresentano meno del 20% della spesa — e non si concentrano abbastanza sul mercato interno: negli ultimi due anni quasi l’80% degli acquisti è stato effettuato da paesi terzi.

Per soddisfare le nuove esigenze in materia di difesa e sicurezza, dobbiamo intensificare gli approvvigionamenti congiunti, rafforzare il coordinamento della spesa e l’interoperabilità delle attrezzature, ridurre notevolmente la dipendenza da fornitori internazionali.

Un altro ambito in cui non stiamo perseguendo economie di scala sono le telecomunicazioni. Nell’UE abbiamo un mercato di 445 milioni di consumatori, ma gli investimenti pro capite sono solo la metà di quelli negli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra.

Uno dei motivi di questa lacuna è che abbiamo 34 gruppi di reti mobili in Europa — e 34 è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più — che spesso operano solo su scala nazionale, contro i tre degli Stati Uniti e i quattro della Cina. Per produrre maggiori investimenti, dobbiamo razionalizzare e armonizzare ulteriormente la normativa in materia di telecomunicazioni in tutti gli Stati membri e sostenere — non ostacolare — il consolidamento.

E le economie di scala sono fondamentali anche in un altro senso, per le imprese giovani che generano le idee più innovative. Il loro modello di business dipende dalla capacità di crescere rapidamente e commercializzare le proprie idee, il che a sua volta presuppone l’esistenza di un grande mercato interno. E la scala è essenziale anche per lo sviluppo di nuovi medicinali innovativi, attraverso la standardizzazione dei dati dei pazienti dell’Unione europea e l’uso dell’intelligenza artificiale, che ha bisogno di tutta la ricchezza di dati di cui disponiamo— se solo riuscissimo a standardizzarli.

In Europa siamo tradizionalmente molto forti nella ricerca di base, ma non riusciamo a portare l’innovazione sul mercato e a potenziarla.

Per affrontare questo ostacolo potremmo, tra le altre cose, rivedere l’attuale normativa prudenziale sul credito bancario e istituire un nuovo regime normativo comune per le start-up nel settore tecnologico.

Il secondo filo conduttore è la fornitura di beni pubblici. Ci sono investimenti di cui tutti beneficiamo, ma che nessun paese può sostenere da solo: in questi casi avremmo tutte le ragioni per agire insieme, pena il rischio di non essere all’altezza delle nostre esigenze— ad esempio sul fronte del clima, nel campo della difesa e anche in altri.

Nell’economia europea ci sono varie strozzature, punti in cui la mancanza di coordinamento si traduce in inefficienze dovute proprio al basso livello di investimenti. Un esempio è rappresentato dalle reti energetiche, e in particolare dalle interconnessioni.

Che si tratti di un bene pubblico è chiaro: un mercato integrato dell’energia ridurrebbe i costi energetici per le nostre imprese e ci renderebbe più resilienti di fronte alle crisi future— un obiettivo che la Commissione persegue nel contesto di REPowerEU.

Ma l’interconnessione richiede decisioni in materia di pianificazione, finanziamento, approvvigionamento di materiali e governance, e queste decisioni sono difficili da coordinare. Di conseguenza, non saremo in grado di costruire una vera Unione dell’energia fintanto che non ci accorderemo su un approccio comune.

Un altro esempio è la nostra infrastruttura di super computing. L’UE dispone di una rete pubblica di computer ad alte prestazioni (high-performance computers o HPC) di livello mondiale, ma le ricadute sul settore privato sono al momento molto, molto limitate.

Questa rete potrebbe essere utilizzata dal settore privato — ad esempio dalle start-up di intelligenza artificiale e dalle PMI — e in cambio, i vantaggi finanziari conseguiti potrebbero essere reinvestiti per aggiornare gli stessi HPC e sostenere l’espansione del cloud nell’UE.

Una volta identificati questi beni pubblici, dobbiamo anche dotarci dei mezzi per finanziarli. Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere, e in passato ho già parlato di come potremmo fare un uso migliore della capacità di prestito comune dell’UE, in particolare in settori, come la difesa, in cui la frammentazione della spesa riduce la nostra efficacia complessiva.

La maggior parte del fabbisogno di investimenti, tuttavia, dovrà essere coperta da investimenti privati. L’UE dispone di risparmi privati molto elevati, che sono però per lo più incanalati nei depositi bancari e finiscono per non finanziare la crescita quanto potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Per questo motivo il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività.

Il terzo filo conduttore è garantire l’approvvigionamento di risorse e input essenziali.

Se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi in materia di clima senza aumentare la nostra dipendenza da paesi sui quali non possiamo più contare, avremo bisogno di una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento dei minerali critici.

Al momento, in quest’ambito stiamo per lo più lasciando campo libero agli attori privati, mentre altri governi hanno scelto di guidare in prima persona, o comunque di coordinare fortemente, l’intera catena. Abbiamo bisogno di una politica economica estera che produca, per la nostra economia, questo stesso risultato.

La Commissione ha già avviato questo processo con il Regolamento europeo sulle materie prime critiche, ma occorrono misure complementari per rendere più concreto il suo obiettivo. Ad esempio, potremmo prevedere una apposita piattaforma mineraria critica dell’UE, principalmente a fini di approvvigionamento congiunto, diversificazione e sicurezza dell’offerta, messa in comune delle fonti di finanziamento e costituzione di scorte.

Un altro contributo fondamentale che dobbiamo garantire — e che riveste un’importanza particolare per voi, le parti sociali — è la disponibilità di forza lavoro qualificata.

Nell’UE, tre quarti delle imprese segnalano difficoltà nell’assumere dipendenti con le giuste competenze, e per 28 profili professionali – che rappresentano il 14% della nostra forza lavoro – sono attualmente identificati come carenti di manodopera.

Con l’invecchiamento della società e un atteggiamento meno favorevole nei confronti dell’immigrazione, dovremo trovare queste competenze al nostro interno. Sarà necessario lavorare da più parti per assicurare la disponibilità delle skill necessarie e definire percorsi flessibili di miglioramento delle competenze.

Uno degli attori più importanti al riguardo sarete voi, le parti sociali. Siete sempre stati fondamentali nelle fasi di cambiamento e l’Europa farà affidamento su di voi per contribuire ad adattare il nostro mercato del lavoro all’era digitale e rafforzare i nostri lavoratori.

Questi tre filoni ci impongono una riflessione profonda sulla nostra organizzazione, su cosa vogliamo fare insieme e cosa mantenere a livello nazionale. Considerata l’urgenza della sfida che abbiamo davanti, tuttavia, non possiamo concederci il lusso di rimandare a una futura revisione del Trattato le risposte a tutte queste importanti questioni.

Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti di policy dovremmo essere in grado di sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche.

E se dovessimo constatare che ciò non è fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a prendere in considerazione la possibilità di procedere con un sottoinsieme di Stati membri. Una cooperazione rafforzata sotto forma di 28° regime, ad esempio, potrebbe essere una strada percorribile per l’Unione dei mercati dei capitali, con l’obiettivo di mobilitare gli investimenti.

Come regola generale, tuttavia, credo che la coesione politica della nostra Unione ci imponga di agire insieme, possibilmente sempre. Dobbiamo essere consapevoli che oggi la nostra stessa coesione politica è minacciata dai cambiamenti in atto nel resto del mondo.

Ripristinare la nostra competitività non è un obiettivo che possiamo raggiungere da soli, o battendoci l’un l’altro. Ci impone di agire come Unione europea, come mai prima d’ora.

I nostri concorrenti sono in vantaggio perché possono agire ciascuno come un paese unico con un’unica strategia, allineando dietro quest’ultima tutti gli strumenti e le politiche necessarie.

Se vogliamo raggiungerli, avremo bisogno di un nuovo partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione non meno ambiziosa di quella operata dai Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

Grazie.

Fonte: Testo originario.


Una sintesi

L’analisi: i punti deboli dell’innovazione nell’UE

Il capitolo si apre con una considerazione: la ricerca e l’innovazione sono essenziali per la produttività e il benessere, nonché per il finanziamento del sistema di welfare europeo in un contesto di invecchiamento della popolazione. Ma l’innovazione in Europa è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina.

Le debolezze dell’UE abbracciano tutto il ciclo di vita dell’innovazione: sebbene sulla ricerca l’Europa possa vantare una posizione solida e si produca un significativo numero di pubblicazioni scientifiche, le pubblicazioni di alta qualità e i brevetti sono inferiori rispetto alla Cina.

Per quanto riguarda le aziende innovative, il Vecchio Continente ne conta meno di quelle registrate negli Stati Uniti. Le start-up tecnologiche europee inoltre, sebbene numerose, spesso non riescono a superare la prima fase di crescita, generando un numero di “unicorni” inferiore rispetto agli Stati Uniti. A ciò si aggiunge un gap settoriale nelle tecnologie digitali, come l’intelligenza artificiale e la sicurezza informatica, rispetto a Stati Uniti e Cina.

Le cause della debolezza dell’innovazione dell’UE

La riduzione della spesa privata in ricerca e sviluppo (R&S) è uno dei principali fattori che limitano la competitività dell’UE.

L’Unione Europea investe meno risorse in R&S rispetto agli Stati Uniti, al Giappone e alla Cina, e la spesa pubblica in R&S, sebbene relativamente elevata, è frammentata e non coerentemente indirizzata verso le priorità dell’UE.

L’ecosistema dell’innovazione europeo è inoltre caratterizzato da una limitata collaborazione transnazionale e da un numero insufficiente di infrastrutture di ricerca.

Le università europee, pur vantando una buona qualità media, sono sempre sono tra le istituzioni di ricerca leader a livello mondiale – e questo ha delle inevitabili conseguenze in termini di innovazione.

Anche i cluster di innovazione dell’UE, sebbene numerosi, generano meno valore rispetto a quelli di Stati Uniti e Cina.

Il sistema finanziario europeo è poco sviluppato per quanto riguarda il finanziamento delle start-up innovative, soprattutto per quanto riguarda i finanziamenti alla crescita.

Infine le differenze normative e burocratiche tra gli Stati membri limitano la crescita delle imprese innovative.

Le proposte per un’Europa più innovativa e competitiva

Il Rapporto Draghi sviluppa proposte in sette ambiti per creare o migliorare, nel breve e medio termine, le condizioni che consentano all’Europa di sfruttare appieno il contributo che l’innovazione può giocare per migliorarne il posizionamento competitivo sui mercati globali.

Supportare l’innovazione disruptive, le Start-up e le Scale-up

Per creare un ambiente più favorevole all’innovazione disruptive, alle start-up e alle scale-up, il Rapporto Draghi propone lo sviluppo di un’agenzia europea simile alla Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) degli Stati Uniti, che abbia come scopo trasformare le conoscenze scientifiche in innovazioni.

Questa agenzia dovrebbe essere complementare e collegata all’esperienza di successo del Consiglio Europeo della Ricerca (CER), con un alto grado di indipendenza nel selezionare e gestire progetti innovativi.

Il rapporto suggerisce poi di ampliare gli incentivi per i business angels e gli investitori privati o pubblici, ritardando la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla vendita di azioni di società non quotate se queste vengono reinvestite in società innovative nella loro fase iniziale.

Per aumentare i fondi disponibili per le iniziative imprenditoriali innovative, il rapporto propone di rivedere i requisiti del framework Solvency II per liberare il capitale delle compagnie assicurative in favore degli investimenti privati e di emanare linee guida per i piani pensionistici dell’UE.

Occorre poi aumentare le risorse del Fondo Europeo per gli Investimenti (FEI) coordinandolo meglio con il Fondo del Consiglio Europeo per l’Innovazione (EIC). La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) dovrebbe avere un mandato più ampio per consentire investimenti azionari diretti nei settori strategici prioritari dell’UE.

Infine il rapporto suggerisce di aumentare l’attrattività dei mercati azionari europei per le IPO e per le società dopo la quotazione in borsa, armonizzando le regole per le IPO e il monitoraggio delle società pubbliche in tutti i mercati dell’UE e consentendo in tutta Europa l’emissione di azioni a doppia classe con diritti di voto diversi per rendere le IPO più interessanti per i fondatori.

Progettare un Programma Quadro di R&I più semplice ed efficace

Il prossimo Programma Quadro dovrebbe essere concepito in modo da affrontare le debolezze di Horizon Europe, consolidando le attività frammentate ed eterogenee e rifocalizzandosi su priorità selezionate.

In particolare l’approccio e i cluster definiti nel secondo pilastro (“Sfide globali e competitività industriale europea”) e le priorità selezionate del programma dovrebbero essere rivisti e strettamente allineati con le priorità strategiche stabilite dalla Commissione.

Bisognerebbe destinare maggiori risorse alla ricerca fondamentale innovativa e all’innovazione disruptive, con una nuova governance. Inoltre andrebbe rivista l’allocazione complessiva delle risorse, riorientandola verso il finanziamento dell’innovazione disruptive. La governance del programma dovrebbe essere gestita da project manager e da persone con una comprovata esperienza alle frontiere dell’innovazione, riducendo gli oneri amministrativi e semplificando le procedure di gara per facilitare l’accesso dei richiedenti. Infine, la capacità finanziaria del programma quadro riformato dovrebbe essere rafforzata aumentando il suo bilancio a 200 miliardi di euro.

Promuovere l’eccellenza delle Università

Per promuovere l’eccellenza accademica, il Rapporto Draghi propone di raddoppiare il sostegno alla ricerca fondamentale innovativa attraverso il Consiglio Europeo della Ricerca (CER), aumentando il bilancio del CER per consentire all’UE di attrarre e trattenere un maggior numero di talenti di ricerca di livello mondiale.

Il rapporto suggerisce poi di introdurre un nuovo strumento per sostenere gli istituti di ricerca eccellenti, l’ERC per gli istituti (ERC-I), che dovrebbe promuovere l’eccellenza e la ricerca, facendo leva sulle alleanze universitarie europee.

Per attrarre ricercatori di spicco a livello mondiale il rapporto propone di creare la posizione di “Cattedra UE”, un professore di alto livello formalmente assunto come funzionario europeo. Si dovrebbe poi promuovere la mobilità dei ricercatori estendendo il programma Erasmus+ ai ricercatori e sviluppare un quadro europeo per facilitare la raccolta di fondi del settore privato per le università pubbliche, sul modello delle università americane.

Investire in infrastrutture tecnologiche e di ricerca leader a livello mondiale

Il Rapporto Draghi sottolinea l’importanza di aumentare gli investimenti congiunti in infrastrutture tecnologiche e di ricerca leader a livello mondiale, come il CERN, per mantenere la posizione di rilievo dell’Europa nella ricerca fondamentale e generare ricadute commerciali positive nei prossimi anni.

Per raggiungere le dimensioni di scala appropriate, bisogna mettere in comune risorse provenienti da fonti diverse – fondi UE, fondi nazionali e investimenti privati – e accelerare il processo di selezione per creare nuove infrastrutture all’avanguardia.

Più R&I e migliore coordinamento

Il rapporto propone la creazione di un’Unione della Ricerca e dell’Innovazione, con una strategia e una politica europea comune in materia di R&I.

Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso un “Piano d’Azione Europeo per la Ricerca e l’Innovazione”, elaborato dagli Stati membri insieme alla Commissione e alle parti interessate del settore privato. Gli Stati membri, in coordinamento con il piano d’azione dell’UE, dovrebbero sviluppare i propri “Piani Nazionali per la Ricerca e l’Innovazione”, e l’UE dovrebbe riaffermare il proprio impegno ad aumentare la spesa per la R&S fino a raggiungere almeno il 3% del PIL entro un periodo di tempo definito.

Un Ecosistema normativo più favorevole e semplice per le imprese innovative

Per facilitare lo sfruttamento commerciale dei risultati della ricerca accademica, il rapporto propone di definire un piano per una condivisione equa delle royalties tra istituzioni e ricercatori e di promuovere l’emissione di azioni e stock option per finanziare i costi di utilizzo dei diritti di proprietà intellettuale delle università e degli RTO.

Tutti gli Stati membri dell’UE dovrebbero adottare il sistema del Brevetto Unitario per ridurre i costi delle domande di brevetto e offrire una protezione territoriale più ampia e uniforme della proprietà intellettuale.

Il rapporto suggerisce anche di introdurre un nuovo statuto giuridico a livello europeo per le start-up innovative, chiamato “Società Europea Innovativa”, che consentirebbe a queste imprese di accedere a una legislazione armonizzata in tutti gli Stati membri.

Per rafforzare e semplificare il sostegno alle start-up innovative, il rapporto propone di coordinare meglio gli strumenti di sostegno a livello UE e di creare una piattaforma a livello europeo.

Infine bisognerebbe rivedere le norme sugli appalti pubblici per favorire l’innovazione: oggi il potenziale degli appalti pubblici per promuovere l’innovazione è fortemente sottoutilizzato. La maggior parte degli appalti pubblici è caratterizzata da un’eccessiva attenzione alla minimizzazione dei rischi e al rispetto di requisiti prestabiliti piuttosto che a incoraggiare lo sviluppo di soluzioni innovative. Il Rapporto Draghi sottolinea che gli investimenti negli appalti per l’innovazione, che comprendono sia gli appalti per la ricerca e lo sviluppo sia gli appalti pubblici di soluzioni innovative, sono troppo bassi. Per colmare questo gap tutti gli Stati membri dovrebbero mettere in atto una politica nazionale ambiziosa in materia di appalti per l’innovazione, con obiettivi chiari, risorse dedicate, scadenze precise e un quadro di monitoraggio efficace.

La prosperità condivisa come motore dell’innovazione

Questa parte di proposte del Rapporto Draghi si conclude sottolineando l’importanza di garantire che il modello di innovazione dell’UE supporti la coesione sociale e geografica, promuovendo una riduzione coordinata della tassazione sul reddito da lavoro per i lavoratori a reddito medio-basso e affrontando le cattive pratiche che limitano la mobilità del lavoro tra le aziende.

L’esempio della Svezia dimostra che un modello sociale forte e un ambiente tecnologico florido non solo sono compatibili, ma si rafforzano a vicenda se combinati con programmi mirati alla creazione di posti di lavoro di alta qualità.

Fonte: Innovation Post


Altre info: EuroNews.



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