Il Quadro della settimana: "Santa Cecilia" di Domenico Zampieri detto Il Domenichino

Olio su tela 1617/18.
Ubicato al Museo Louvre di Parigi
Il dipinto, proveniente dalla Collezione Ludovisi, raffigura Santa Cecilia, patrona della musica, nell’atto di eseguire una melodia su una viola a sette corde. Il soggetto è giustificato non soltanto dagli interessi del committente (peraltro condivisi anche dall’artista), ma anche dall’onda emozionale scaturita dal ritrovamento del corpo di Cecilia sul finire del secolo precedente (esattamente nel 1599, quando durante i restauri della Basilica in Trastevere, ordinati dal cardinale Paolo Emilio Sfondrati - in occasione dell’imminente Giubileo del 1600 - venne ritrovato un sarcofago con il corpo della santa sorprendentemente in un ottimo stato di conservazione). Che Domenichino si intendesse di musica è rivelato non soltanto dall’accuratezza con cui è realizzato lo strumento, ma anche dal fatto che lo spartito retto dall’angelo è reale.
Domenichino, Domenico Zampieri detto il. - Pittore (Bologna 1581 - Napoli 1641). Protagonista della pittura bolognese, fu uno dei promotori del classicismo secentesco europeo. Allievo prima di D. Calvaert poi dei Carracci, fu artista dei più colti, elaborando in un eclettismo raffinato le esperienze formali dei grandi maestri del 16° secolo. Lavorò a Roma per la decorazione di Palazzo Farnese e, dopo un’intensa attività autonoma, a Napoli, dove influenzò largamente la produzione locale. Compose le sue figurazioni con semplicità e chiarezza esemplari, modulando i toni in preziose gamme cromatiche. La sua pittura influì su N. Poussin, sul Lorenese e su G. Dughet.
Nel 1602 era a Roma, collaboratore di Annibale Carracci negli affreschi di palazzo Farnese. Tra le sue opere a fresco sono particolarmente notevoli le decorazioni di una volta del palazzo Giustiniani di Bassano di Sutri (1609), della cappella Farnese nell’abbazia di Grottaferrata (1610), della cappella di S. Cecilia in S. Luigi dei Francesi (1611-1614), di una sala della villa Aldobrandini a Frascati (1616-17), dei pennacchi della cupola e della tribuna di S. Andrea della Valle (1623-28) e di quelli di S. Carlo ai Catinari (1630) a Roma; della cappella del Tesoro nel duomo a Napoli (dal 1638). Tra le grandi tele, sono da annoverare la Comunione di s. Gerolamo (1614, Pinacoteca Vaticana); l’Angelo Custode (1615, Napoli, Museo di Capodimonte); la Caccia di Diana e la Sibilla Cumana (1617 circa, Roma, Galleria Borghese). Artista colto, mirò non tanto a resuscitare, quanto a rievocare il classicismo cinquecentesco e a intenderne il significato profondo. Per queste sue capacità riuscì a fondere in un naturalismo sincero figure e paesaggio, che nelle sue opere prende una parte notevolissima, soprattutto nei quadri (Fatiche di Ercole; Erminia tra i pastori, Parigi, Louvre) e negli affreschi di soggetto mitologico. Spesso anche nei quadretti di minore impegno giunse a risultati precorritori del gusto moderno, componendo il paesaggio con largo senso classico e aperta sensibilità ai problemi della luce e del colore. Una sua teoria dell’arte, raccolta da G. B. Agucchi, costituì la base del pensiero critico di G. P. Bellori e, in genere, del classicismo secentesco.
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