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Il Professore e il Cavaliere. La novità del match televisivo

La comunicazione politica sta cambiando. Il Cavaliere continua a privilegiare i salotti tv ma lo fa da politico, piuttosto che da imbonitore. Il centrosinistra non sta a guardare. Intervista a Mario Morcellini (Università La Sapienza di Roma).

di Carmen Ruggeri - giovedì 22 settembre 2005 - 3388 letture

Tre indizi fanno una prova. Primo: Sabina Guzzanti presenta il suo “Viva Zapatero”, un documentario che ripercorre la morte improvvisa del suo Rai-ot, e lancia “dieci richieste al futuro governo italiano” appellandosi alla società civile. Chiede che la televisione pubblica sia svincolata dal controllo dei partiti. Dice basta alla lottizzazione e alla censura dei programmi “scomodi”.

Negli stessi giorni, questo è il secondo indizio, Silvio Berlusconi, annuncia di voler incrociare le armi del dibattito televisivo con il leader dell’Unione per combattere sull’arena catodica una sfida che altrimenti rimarrebbe circoscritta. Il centrosinistra accetta con favore, e aspettando il match si concentra sulla campagna per le primarie del prossimo ottobre intasando l’agenda politica dei quotidiani, organizzando dibattiti e tavole rotonde in tutt’Italia.

Ed ecco la prova: la comunicazione politica sta cambiando. Il Cavaliere continua a privilegiare i salotti tv, sicuramente più popolari e vicini alle sue corde, ma lo fa (almeno negli intenti) da politico, piuttosto che da imbonitore. Il centrosinistra non sta a guardare, anche se decide di presidiare terreni mediatici diversi: internet (basti pensare ad esempio ai siti che i candidati alle primarie hanno costruito per l’occasione), assemblee pubbliche e colonne dei principali quotidiani. La comunicazione politica cambia, mentre l’informazione pubblica ancora stenta. Di questo abbiamo discusso con Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, membro del Comitato scientifico del Ministero dell’Università e della Ricerca.

Professore, Sabina Guzzanti, assieme al suo “Viva Zapatero”, ha lanciato un appello: dieci richieste al futuro governo italiano su temi di scottante attualità come “informazione e comunicazione democratiche”, “libera discussione sui problemi reali”, “Tv come strumento d’informazione e di formazione”. Dopo cinque anni di governo Berlusconi, il centrosinistra ha ancora bisogno di un decalogo per capire che il sistema dell’informazione va rivisto?

Diciamo che in questi anni, sia all’interno dell’Unione che nel quadro dirigente dei Ds, è mancata una vera e propria cultura dei media. Il fatto stesso che questo decalogo faccia notizia significa che questi cinque anni sono passati inutilmente. Il centrosinistra in questo senso è sempre stato timido, il che fa pensare a un’arretratezza culturale che potrebbe minacciare la stabilità della coalizione se dovesse vincere le elezioni e andare al governo. Oggi, però, l’Unione sembra destarsi dal torpore di questi anni. E questo grazie anche all’espediente delle primarie. La campagna per la scelta del candidato premier può essere considerata una liturgia della politica, ma è anche un grande contributo alla comunicazione con l’elettorato. Pensi alle campagne che i candidati stanno portando avanti. Tutte hanno una cifra di originalità: i post-it di e i “voglio” di Bertinotti, il tir giallo di Prodi e il passamontagna del candidato “senza volto” no-global. La sperimentazione di massa stimola l’elettorato Questo dimostra che è possibile cambiare la comunicazione politica e creare una progressiva democratizzazione...

Passiamo al “caso Berlusconi”. La settimana scorsa il premier ha accettato il confronto tv con Prodi. La decisione evidenzia un vero e proprio cambio di strategia. Da esperto della comunicazione, come valuta questa svolta?

E’ stata una scelta saggia. Un’inversione di tendenza avvenuta a dire il vero un po’ tardi. In passato, infatti, il premier poteva contare sullo strapotere della sua popolarità e sulla forza emotiva delle sue promesse. E per questo aveva aggirato l’ostacolo. Adesso, messo alle corde, si è reso conto che cambiare è necessario. E lo ha fatto in modo veloce, rapido, ma non solo sul versante comunicativo. E’ già in atto, come ha fatto notare Lucia Annunziata sulla "Stampa" qualche giorno fa, un mutamento di linea politica. E lo abbiamo visto nelle scorse settimane per il "caso Fazio" e la riforma della legge elettorale. Per riassumere, siamo di fronte a un Berlusconi che tenta di essere più politico.

Berlusconi è sempre stato, sin dai tempi della sua discesa in campo, il mezzo, il messaggio e l’obiettivo della Cdl. Ora sembra aver perso smalto. E’ venuto meno il piglio comunicativo, o i “bambini di 11 anni”, a cui diceva di rivolgersi, sono cresciuti?

Dal punto di vista politico la società è sicuramente cambiata. Secondo due onde. Da una parte, sono cambiate le condizioni di vita, quelle economiche, ed è venuto meno il “fattore speranza”. Dall’altra è innegabile che c’è stata una maturazione civile. La tv non ha più, in campagna elettorale, un ruolo fatidico perché è cambiato il sistema grazie soprattutto alla multimedialità, alla presenza di più mezzi di comunicazione capaci di trasmettere informazioni diverse.

Non si conosce ancora né il luogo né il nome del moderatore che condurrà l’evento. Scartati il “salotto del contratto” di Vespa, quello di Mentana in onda sulle reti Mediaset di proprietà del premier, e scartata pure l’ipotesi del confronto da Ferrara, direttore del "Foglio" edito da Veronica Lario, forse la tv italiana non sa più offrire un’informazione libera? E’ il frutto di una lottizzazione feroce, o cos’altro?

La tv gode di pessima salute, questo è noto. Nel campo dell’informazione, però, non direi che siamo proprio all’anno zero. I modelli sono più evoluti di un anno fa. Se pensiamo ad esempio ai programmi di Floris e Ferrara, notiamo come questi rappresentino gli estremi comunicativi che in passato sono mancati. Direi, dunque, che l’ideale sarebbe programmare più dibattiti tra i due leader, alternando luoghi e moderatori. Scarterei certamente l’ipotesi del confronto a reti unificate che ritengo uno scenario a dir poco orwelliano. Insomma, “no” al modello unico, perché evita il contrasto ed è, dunque, praticamente inutile.

Per il dibattito con Prodi, Berlusconi dovrà verosimilmente lasciare da parte slogan, retorica e stereotipi promozionali, per concentrarsi sui contenuti (lavoro, economia, scuola, salute, stato sociale e sicurezza). Fatta questa premessa, crede che il premier riuscirà a concentrarsi solo su questi e a duellare con l’anti-mediatico rivale, meno avvezzo all’obiettivo delle telecamere e più a suo agio coi numeri e con le analisi?

Credo che tutti e due incontreranno delle difficoltà. Prodi tende, da professore, a proporsi con una struttura argomentativa, il che è una scelta, una caratteristica sacrosanta, ma di meno impatto emotivo. Tuttavia questa sua ritrosia per la comunicazione, quasi da gag, può essere la carta vincente. La tv è un rischio, e la gente lo sa. Come sa che i media sono inibitori: questa sofferenza esplicita, come per Enrico Berlinguer, può trovare un buon riscontro in campagna elettorale.

Per Berlusconi, invece, vale l’esatto opposto. Lui ha inaugurato un nuovo tipo di comunicazione politica che da molti esperti è stata giudicata singolare e positiva. Ha segnato, in questi anni, un modello plausibile e convincente che si fonda sui desideri, le speranze della gente ma soprattutto sull’attacco e la critica nei confronti della controparte. Adesso non potrà più farlo perché dovrà rendere conto del proprio operato di governo. Film, riviste da mandare a casa degli italiani e una massiccia campagna sono delle armi sicuramente efficaci, e le risorse di sicuro non mancano, ma sono dei soliloqui che gli consentano solo di dire la sua. La politica moderna non è però questo: è confronto, “political game”, contesa verbale, argomentazione pubblica, dibattito.

Giro di vite/aprileonline


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