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Il Paese dei paradossi

Da Sgarbi al ragazzo che grida "W l’antimafia", da chi si suicida in carcere a chi è condannato agli arresti domiciliari su una panchina, da chi vuole un carcere più duro alla reintroduzione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale

di Adriano Todaro - mercoledì 21 gennaio 2009 - 2727 letture

Siamo il Paese dei paradossi, ma pur sempre un grande Paese. Ogni giorno stentiamo a credere di potercela fare. L’economia va male, i disoccupati crescono, i morti sul lavoro anche, i parlamentari si aumentano gli stipendi, gli scandali toccano amministratori di destra e di sinistra, la monnezza lievita, l’evasione fiscale pure. Eppure andiamo avanti, continuiamo a vivere, a guardare la televisione, a lavorare. Ci interessiamo poco di Gaza, ma moltissimo delle beghe dei partiti, del Grande Fratello o dei pacchi della rete ammiraglia della Rai. La trasmissione su Pippo Fava la fanno alle 23,30 mentre alle 8 del mattino, orario si sa, di grande afflusso televisivo, Minoli ci fa vedere filmati da Gaza.

Ormai non mi meraviglia più nulla. La sottile striscia di demarcazione fra gli onesti e i disonesti, fra razzisti e antirazzisti, fra fascisti e antifascisti, fra chi vorrebbe la pace e i guerrafondai, è stata travolta. Nel Paese, in questo Paese, culla culturale, ormai siamo minoranza. E così avviene che un condannato, in via definitiva, Vittorio Sgarbi, diventi sindaco di un paese della Sicilia. E il ragazzo che grida “Viva Caselli, viva il pool antimafia” è allontanato dalla cosiddetta forza pubblica. I giornali si sono affrettati a descrivere l’episodio come un episodio estemporaneo e hanno scritto che Sgarbi è stato accusato dal ragazzo. Non è vero. Quello che ha gridato il ragazzo non erano accuse ma sentenze di un Tribunale prese in “nome del popolo italiano”. Infatti, Vittorio Sgarbi è stato condannato per truffa allo Stato e diffamazione nei confronti di Caselli e dell’intero pool antimafia.

Quello che però fa specie è che i presenti sono stati a guardare, non hanno difeso il ragazzo, hanno avuto paura di mettersi contro Sgarbi e, soprattutto, contro il pensare comune. Questo comportamento mi fa venire in mente un episodio che ho vissuto. In una riunione fra docenti di un’università per anziani, la persona che insegna recitazione illustra una rappresentazione che faranno in occasione del Natale. Fra i personaggi c’è n’è uno che mi fa sobbalzare dalla sedia. Il personaggio è definito “vu’ cumprà” ed è interpretato da una signora che, in tutti gli spettacoli, fa sempre la parte della beota, della persona un po’ indietro, non troppo sveglia. Chiedo la parola e affermo che è necessario stare molto attenti ai personaggi perché anche inconsapevolmente (già grave) si può fare del razzismo. Perché definire “vu cumprà” un venditore ambulante straniero? Il termine è spregiativo, razzista. E poi, in un’università che si autodefinisce “Accademia d’umanità”, come è possibile fare certe rappresentazioni? Al termine del mio breve intervento, 5 o 6 persone fanno un timidissimo applauso. In tutto, in quella sala, siamo più di 60 persone e anche qualche sacerdote. Poi parla il docente di recitazione, molto incazzato, grida, si agita. Il tutto per dire che non si può vedere razzismo dappertutto e che la rappresentazione è solo un momento per stare assieme, per divertirsi. Inutile dire che l’applauso è generale e altisonante, quasi liberatorio, immagino, per molti.

Ecco è un po’ questo che è diventato il nostro Paese. Il Paese dei paradossi perché il condannato Vittorio Sgarbi va in televisione ed altri condannati… sulle panchine. Non capite? Il Corriere della Sera alla fine del 2008 ci ha raccontato di un uomo di 35 anni, ladro in appartamenti, che dopo l’ennesimo furto, è stato condannato dal Tribunale di Milano agli arresti domiciliari su una panchina. Avete capito bene. Sulla panchina perché la famiglia si è rifiutata di accoglierlo a casa esasperati dai suoi continui guai con la giustizia. E così il ladruncolo, nel freddo terribile di questo inverno, si è posizionato su una panchina del parco della città di Desio. Anche il giorno di Natale era lì, raggomitolato in una coperta e con alcune scatole di cartone per ripararsi dal freddo.

Non era un “vu cumprà”, ma un italianissimo giovane. Se abbandonava la panchina, scattava il reato di evasione e così non poteva usufruire dei benefici di legge che molti considerano troppo permissivi. Chissà perché, c’è da domandarsi, se nelle carceri italiane si sta così bene come dipinti dai giornali, così tanti detenuti si tolgono la vita? Nel 2008 si sono tolti la vita in 50, l’11% in più del 2007. Non è un paradosso anche questo?

In televisione c’è sempre qualcuno che grida contro i malavitosi, ma non contro tutti. Solo nei confronti di chi non ha potere, dei “vu cumprà”, dei poveri cristi. Vorrebbero rinchiuderli e buttare via la chiave e non riescono a capire che il loro modo di pensare è un po’ come il gatto che si morde la coda. Rendere il carcere più umano rende la società più forte. Un detenuto, invece, lasciato a vegetare dietro le sbarre, a cui non si dà la minima speranza di riscatto, non fa altro che incattivire, produrre violenza ed emarginazione. Una pena immensa è già la privazione della libertà. E’ giusto che sia così per coloro che hanno compiuto reati. Ma se oltre alla privazione della libertà, togliamo a loro la speranza, l’identità, gli affetti, beh, allora è solo violenza devastante. Grazie ad una macchina della giustizia lentissima, elefantiaca, molti di coloro che sono in carcere, lo sono per reati compiuti tantissimi anni prima. Magari si sono rifatti una vita, si sono sposati, hanno dei figli. Ma la giustizia, si sa, con coloro che non hanno potere è inesorabile. E così bisogna abbandonare tutto, la famiglia, il lavoro, gli amici, e andare in un carcere ad espiare la pena. Non è un paradosso?

Nel 1999 il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, previsto dal Codice Rocco, era stato depenalizzato. In Parlamento, nel corso degli anni, sono stati depositati otto proposte di legge per reintrodurlo. Qualche giorno fa è stato approvato all’interno del Decreto legge sulla sicurezza e così ora chi oltraggia un pubblico ufficiale, sarà punito con la reclusione sino a tre anni di carcere. Ma come? In un Paese in cui 20 mila reati all’anno sono avviati alla prescrizione, si è voluto reintrodurre una norma penale abolita 10 anni fa? Un paradosso?

Basta, termino qui. Ma non prima di farvi sapere una notizia pubblicata dal Sole 24 Ore nei primi giorni dell’anno. Nel 2008 la parola più ricorrente ed usata dai media italiani è stata “giustizia”. Appunto, giustizia. Invocata da tutti, sia dal parlamentare inquisito, sia dal “vu cumprà”. In Italia questa parola non è univoca, non ha lo stesso significato per tutti. Un altro paradosso.


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