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Il Conte redivivo

Ma il 73% dei giovani sotto i vent’anni non si informa sulla politica e tra chi è informato, solo il 25% usa fonti documentate. Il 30% dei ventenni non parla mai di politica, nemmeno una volta l’anno...

di Massimo Stefano Russo - venerdì 6 settembre 2019 - 2488 letture

Al Conte redivivo, insignito dell’alta carica, è stato assegnato il compito non solo di guidare, ma anche di correggere. Una correzione da adattare alle circostanze, di volta in volta, con un dolce rimprovero, o un severo castigo, sforzandosi con tutti i mezzi, di seguire un via equilibrata che consenta una condotta stimabile.

È il lavoro a cui si appresta attenendosi al protocollo, dopo aver a lungo meditato, tentando di intuire anche i pensieri più occulti, alla ricerca di aiuti concreti.

Come fare per non ripetere gli errori del passato e dove va rivolta la correzione, proporzionando saggiamente pensiero e azione?

Si impone un esame attento per usare i rimedi necessari con giustizia e sapienza e non basta riuscire graditi agli elettori per attirarli e ricevere gli onori.

L’abilità diplomatica, frutto di un’esperienza vasta e profonda, acquisita nell’esercizio del proprio lavoro, nei mesi si è tradotta nell’astuzia di chi sa dominare i sentimenti e sa organizzare la propria azione nello stare al di sopra delle parti. Consapevole che bisogna affrontare casi complessi e situazioni concrete, e impegnarsi a capire le situazioni problematiche da risolverle. C’è la necessità di trovare i rimedi più salutari ed efficaci che non si possono fermare all’ottimismo che infonde coraggio e fiducia.

La sua condizione, come ha già avuto modo di sperimentare, gli impone dei doveri e la necessità di impiegare un linguaggio ispirato dalla fermezza, usando il tono del comando, per essere all’altezza dei suoi compiti. Un agire assiduo, paziente e saggio espresso con parole nitide, alimentato dal senso dei valori che garantiscono il bene comune, senza dimenticare di esporre dubbi e difficoltà.

Si tratta di agire nel campo politico e in quello economico-amministrativo con riconosciuta e piena autorevolezza. Certo che anche un governo incapace, ma composto da persone in cui i cittadini si identificano ha una forte capacità di mantenimento del consenso.

Ma se si scredita il senso dello Stato soprattutto nell’economia, come accaduto in passato, si sarà in grado di migliorarne la qualità e di trasformarlo in un protagonista di rilievo?

Il settore pubblico, con tutta probabilità, avrà meno probabilità di attirare i talenti migliori.

Qual è il ruolo “appropriato” dello Stato?

Per Adam Smith i mercati capitalistici se lasciati a se stessi si sanno regolare da soli. Lo Stato si deve limitare a creare le infrastrutture di base, garantire, promuovere e tutelare la proprietà privata. Ma l’idea di un mercato che si regola da sé è più un mito che realtà. È lo Stato che impone le condizioni e permette l’affermarsi di un’economia di mercato.

Il mercato nazionale è stato creato a forza dello Stato, con il capitalismo trainato dal mercato sin dalla sua nascita, plasmato fortemente dallo Stato. Storicamente lo Stato ha sempre avuto un ruolo importante nell’industria farmaceutica, biotech, delle nanotecnologie e delle tecnologie verdi e può e deve agire per creare e non solo facilitare l’economia della conoscenza. Dovrebbe finanziare la ricerca di base, imporre tasse alle aziende inquinanti e finanziare progetti infrastrutturali. Proprio per questo è necessario ripensare le interazioni tra settore pubblico e settore privato, per favorire la creatività e l’innovazione. Investire in scienza di base, istruzione e infrastrutture per sopperire ai fallimenti del mercato. È urgente e fondamentale investire sull’educazione.

Lo Stato sociale per sopravvivere deve essere sostenuto da un’economia produttiva che generi profitti, introiti fiscali in grado di finanziarlo. Va ricordato che solo l’integrazione tra lo Stato e il mercato, l’iniziativa pubblica e l’assimilazione produttiva, i finanziamenti e gli investimenti può condurre a uno sviluppo moderno ed equilibrato.

Qual è il compito della politica rivolti al futuro?

I partiti progressisti storicamente sono stati danneggiati dall’ideologia del futuro. I populisti vincono perché rivendicano il loro ruolo politico di protezione dei cittadini, anche se, nella forza rassicurante del loro messaggio, propongono soluzioni che fuggano dalla realtà e ritornano al passato. Funzionano bene all’opposizione ma reggono poco alla prova del governo.

E cosa dire del rapporto tra i giovani e la politica? È paradossale! Nel mito del giovanilismo essere giovani è diventato un prerequisito per candidarsi a governare, ma il 73% dei giovani sotto i vent’anni non si informa sulla politica e tra chi è informato, solo il 25% usa fonti documentate. Il 30% dei ventenni non parla mai di politica, nemmeno una volta l’anno: non lo ritiene un tema interessante, è troppo complicato, o non ne ha fiducia. Gli under 26 che votano a ogni tornata elettorale sono 20 punti in meno degli adulti. I giovani partecipano sempre meno alle elezioni e quando si esprimono tendono spesso a votare per i partiti populisti.

Le decisioni di voto dei cittadini sono orientate sempre più a identificarsi con le leadership più che valutarne la competenza, la competenza, la preparazione e la coerenza passano in secondo piano.

Per anni le ideologie, anche quando non era chiara l’adesione a un pensiero ideologicamente definito, sono state il collante tra la rappresentanza e la competenza. Cadute le narrazioni globali, il pensiero liberale si presenta come l’unica “narrazione globale” sopravvissuta.

L’elettorato è diventato più mobile e intollerante verso le classi dirigenti e se la politica simbolica prende il posto della politica reale e i simboli sostituiscono la politica vincono le proposte identitarie. Con rabbia e paura diffusi in ampi strati della società la sicurezza è un punto d’incontro, ma è solo nel bene comune che si concretizza il rapporto dell’individuo con l’altro, nel riconoscimento reciproco. La sicurezza e la libertà sono i principi fondativi della democrazia e non si possono scambiare, né contrapporre. Sono interconnesse e non si può avere più sicurezza rinunciando alle proprie libertà, né rispondere alla minaccia con uno stato più o meno permanente di eccezione democratica. La democrazia deve sempre rispondere con le armi della democrazia. Se la sicurezza per la destra è soprattutto ordine pubblico l’accoglienza è la prerogativa fondamentale di tutte le società aperte e solo l’intervento dello Stato nell’economia porta stabilità e previene le crisi.

Il tema dell’immigrazione, con gli immigrati, visibili e circondati di pregiudizi, comodo capro espiatorio, attrae l’opinione pubblica.

Infervorati nel dibattito non tendiamo a dimenticare che negli ultimi due secoli milioni di persone attratte dal capitalismo americano hanno lasciato l’Europa per sbarcare in America a Ellis Island, altri sono giunti in Sud America o in Australia? Così come in Italia gli immigrati ogni anno versano otto miliardi di contributi sociali e ne ricavano tre in termini di pensioni e altre prestazioni sociali?

Nell’ossequio generale alla rosa giallo-rossa del nuovo governo come si esprimerà il Nord indebitamente sottomesso al verbo leghista? Risponderà agli ordini sacri del Comandante Supremo, con rabbia, o continuerà a ricercare vecchi e nuovi nemici?



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