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Il Burkina Faso nazionalizza le miniere d’oro

Un articolo di Giorgia Audiello (L’Indipendente)

di Redazione - domenica 1 settembre 2024 - 578 letture

Il governo dello Stato africano del Burkina Faso ha concluso un accordo del valore di 80 milioni di dollari per nazionalizzare le miniere d’oro di Boungou e Wahgnion, precedentemente appartenenti a una società privata. L’azione del governo di Ouagadougou rientra in un contesto più ampio, che vede sempre più nazioni africane riappropriarsi delle proprie risorse per orientarne i profitti a beneficio dello sviluppo nazionale e non di società straniere. Una tendenza ancora più marcata in quegli Stati africani desiderosi di riacquisire la propria indipendenza politica e strategica dalle direttive neocoloniali occidentali. Si tratta di un processo che coinvolge in particolare, ma non solo, le nazioni del Sahel, in cui negli ultimi anni si sono verificati numerosi colpi di stato per rovesciare i governi filoccidentali. Anche il Burkina Faso rientra in questo contesto, applicando politiche nettamente in contrasto con i dogmi neoliberisti divulgati e imposti dalle istituzioni occidentali.

Prima della nazionalizzazione, le miniere di Boungou e Wahgnion appartenevano alla società privata Lilium, che aveva aperto un contenzioso legale con la compagnia da cui aveva acquistato le miniere per 300 milioni di dollari l’anno scorso: la Endeavour Mining. Lilium sosteneva che quest’ultima, quotata alla Borsa di Londra, avesse travisato e nascosto informazioni finanziarie sulle miniere. Tuttavia, come parte dell’accordo di martedì, le due compagnie porranno fine alle cause legali. Endeavour ha affermato che «vorrebbe ringraziare il governo del Burkina Faso per i suoi sforzi di mediazione», mentre Lilium e la giunta del Burkina Faso non hanno rilasciato dichiarazioni. Nazionalizzare le miniere d’oro significa riportare le risorse naturali e i relativi rendimenti nelle mani dello Stato, garantendo che i profitti derivanti dall’estrazione mineraria rimangano nel Paese.

Il Burkina Faso non è il primo governo africano a procedere nella direzione delle nazionalizzazioni: già lo Zimbabwe, nel 2023, aveva deciso di vietare tutte le esportazioni di litio dal Paese, al fine di creare un’industria nazionale per la trasformazione delle materie prime. Il governo militare del Niger, invece, agli inizi del 2024, ha nazionalizzato lo sfruttamento dell’acqua potabile, istituendo una nuova compagnia di Stato – denominata Nigerian Waters – incaricata di gestire il servizio di produzione e distribuzione dell’acqua potabile in tutti i centri urbani e semi-urbani del Paese. Niger e Burkina Faso fanno parte di quell’insieme di sette Paesi del Sahel che, a partire dal 2020, hanno visto succedersi sette colpi di Stato che hanno rovesciato governi filoamericani e filoeuropei. Il Niger era un alleato chiave di Washington e di Parigi, nonché un partner importante per l’UE nel controllo della migrazione irregolare. Dopo il colpo di Stato avvenuto nel luglio del 2023, gli Stati Uniti e la Francia hanno perso uno degli ultimi alleati nella regione, dopo che già il Mali e il Burkina Faso avevano sostituito i governi con una giunta militare, portando all’espulsione delle truppe francesi e all’avvicinamento alla Russia. Questi tre Paesi – Niger, Mali e Burkina Faso – hanno dato vita all’Alleanza degli Stati del Sahel con l’obiettivo di smarcarsi sempre di più dall’orbita occidentale e dall’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale). La nazionalizzazione delle miniere d’oro in Burkina Faso segue esattamente questa direzione, discostandosi dai canoni neoliberisti – tra cui le privatizzazioni – imposti per decenni dalle istituzioni finanziarie occidentali all’Africa. Si tratta, dunque, di un passo ulteriore verso quell’indipendenza dal giogo neocoloniale agognata da molti Stati africani, che permetterà loro di riprendere il controllo delle proprie risorse naturali, sviluppando l’economia e incrementando il benessere della popolazione.


L’articolo di Giorgia Audiello è stato diffuso da L’Indipendente.



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