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Il 4 novembre e la militarizzazione della cultura e delle menti

A Palermo, il 4 novembre la celebrazione ha l’aspetto del peace-washing (cioè della presentazione dell’azione di guerra attraverso un’immagine ‘ripulita’, che la faccia pensare invece come azione a favore della pace).

di Andrea Cozzo - mercoledì 6 novembre 2024 - 582 letture

Celebrare festosamente la Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze armate per ricordare il compimento dell’unificazione nazionale (con i territori di Trento e Trieste) e la fine della Prima guerra mondiale significa, oggi più che mai, ribadire una retorica nazionalista, che offende la cultura e le pratiche che giustamente ci vogliono sempre più cittadini europei e del mondo, insomma semplicemente esseri umani. Significa anche assecondare una retorica che giustifica la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali offendendo i milioni di morti civili, più o meno dello stesso numero di quelli militari (considerando epidemie e carestie), della Prima guerra mondiale (nella Seconda, di 50/60 milioni di vittime la maggior parte è stata costituita da civili, e ormai le guerre sono guerre dei militari contro i civili).

Naturalmente le ‘nostre’ Forze Armate operano sempre “per la difesa”! Ma chi conosce qualche corpo militare istituzionale – in qualche parte del mondo, in Europa, negli Usa o in Russia – che non dica di essere “di difesa”? Come notava un padre della nonviolenza, Lanza del Vasto, «in caso di guerra chi è l’aggressore? Tutti dicono che è l’altro. “Se tutti si difendono, da dove viene l’attacco?” chiede Tolstoj. Se cominciamo con il giustificare la difesa, dovremo andar oltre giustificando l’attacco quale difesa preventiva, o quale risposta alla provocazione, ovvero come rivolta contro l’oppressore, o come recupero di un bene che ci è stato strappato».

E infatti, con le Forze Armate ‘di difesa’ sono venute fuori le Operazioni “Giustizia infinita” (propagandisticamente ridefinita “Libertà Duratura”) di Bush in Afghanistan, i bombardamenti “umanitari” nella ex Jugoslavia, quelli all’Iraq accusato, falsamente come poi si scoprì, di possedere armi di distruzione di massa, l’“Operazione militare speciale” di Putin etc. – tutti gli interventi “di difesa”, o addirittura di “difesa preventiva”. Basterebbe ricordare, in realtà, che si tratta di forze “armate” e che le armi uccidono .

A Palermo, il 4 novembre la celebrazione ha l’aspetto del peace-washing (cioè della presentazione dell’azione di guerra attraverso un’immagine ‘ripulita’, che la faccia pensare invece come azione a favore della pace). Infatti, quest’anno, anziché l’esercito, viene dispiegata l’Arma dei Carabinieri, il volto non immediatamente riconoscibile, per i più, come legato alle guerre. Sono state previste – anche se non vi ho assistito – perfino dimostrazioni, da parte dell’Arma, delle attività dei cinofili e delle tecniche di primo soccorso con l’impiego di defibrillatori: le Forze Armate come una sorta di Emergency?

Ora, per quel che mi riguarda, i Carabinieri vanno sinceramente ringraziati per i loro compiti di Protezione Civile, di Tutela forestale, ambientale e agroalimentare e dell’ordine pubblico in generale. Al contempo, però, ritengo che vada abolita la loro funzione militare, cioè la difesa armata della Patria (e negli anni Duemila, il sottoscritto ha tenuto, su richiesta dei Carabinieri stessi, dei corsi di formazione alla Gestione creativa e nonviolenta dei conflitti ma, a quanto pare, si tratta di un’esperienza totalmente archiviata).

Nel washing palermitano in questione entra in gioco la sponsorizzazione militarista fatta dall’Ufficio Scolastico Regionale e da qualche scuola i cui studenti le Forze Armate hanno coinvolto nelle loro auto-celebrazioni anche direttamente (cf. l’affidamento, appunto a studenti, di un alzabandiera, previsto davanti al celebre Teatro Massimo). Forse è freudiano il lapsus che troviamo, ben due volte!, sul sito dell’Usr Sicilia): “Giornata dell’Unità Nazionale delle Forze Armate”, senza la “e” dopo “Nazionale”. In ogni caso, ciò a me pare un chiarissimo tradimento – come d’altronde tutti gli Accordi, sempre più diffusi, che fanno entrare e propagandare i militari nelle scuole – della funzione della cultura e di quanto recita il Preambolo dell’Atto Costitutivo dell’Unesco: «le guerre cominciano nella mente degli uomini ed è nella mente degli uomini che bisogna costruire la difesa della pace».

Peraltro, il 23 settembre scorso il Movimento Nonviolento di Palermo e la Comunità dell’Arca hanno inviato una lettera all’Usr-Sicilia con preghiera di informare gli studenti del diritto che hanno, nel momento in cui venisse ripristinato il servizio di leva per ora sospeso, di fare obiezione di coscienza (perché ci sono altri modi possibili per opporsi alle aggressioni belliche, che il Ministero della Difesa, trascura completamente): non mi risulta che, ad oggi, ci sia stata, dall’Usr, alcuna risposta.

Aldo Capitini, il fondatore del Movimento Nonviolento e della Marcia Perugia-Assisi, scrisse sull’impostazione nonviolenta le seguenti dolcissime parole: «basta che io pensi che colui che incontro, potrebbe essere mio figlio: (...) io penso che sempre nei riguardi di un essere umano debbo richiamarmi a un punto interno in cui io mi senta madre di lui; che debbo abituarmi a costituire costantemente questo atteggiamento del mio intimo; che, insomma, (…) io debbo domandarmi: “ma mi sono anche considerato pur per un istante madre di costui? Come agirei se fossi sua madre, certo una madre non stolta, ma pronta a vedere che cosa c’è a favore di lui, a sperare per lui?”. Sono, peraltro, parole in linea con l’appello di Virgina Woolf allo sforzo continuo di auto-sorveglianza contro la guerra e il patriarcato: «Pensare, pensare dobbiamo. In ufficio; sull’autobus (…). Non dobbiamo mai smettere di pensare: che ‘civiltà’ è questa in cui ci troviamo a vivere? Cosa significano queste cerimonie, e perché dovremmo prendervi parte? Cosa sono queste professioni, e perché dovremmo diventare ricche esercitandole? Dove, in breve, ci conduce il corteo dei figli degli uomini colti?».

Infine, ancora Capitini sosteneva: “Ognuno può fare qualcosa”. Ebbene, facciamolo cambiando riti celebrativi, che non siano retorica di guerra ma pratiche di pace.


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