Il male infinito
Per non dimenticare Donatella Colasanti, la donna scampata al massacro del Circeo nel settembre del 1975.
Il 30 dicembre 2005 è morta a Roma Donatella Colasanti, la donna che scampò al massacro del Circeo nel settembre del 1975.
Non scampò al massacro dell’anima, Donatella. Se l’è portata via una malattia incurabile. Se n’è andata in silenzio, non lo sapeva nessuno, la dignità di suo padre, che non voleva clamori, ha aspettato qualche giorno ad informare la stampa.
Ha lottato trenta lunghi anni, questa donna speciale, per ottenere giustizia e l’Ingiustizia dei Tribunali ha concesso addirittura permessi per lavorare a chi devastò la sua vita di ragazza. E già, quanta fantasia ha il male. Angelo Izzo, condannato e al contempo premiato per buona condotta, ha assassinato lo scorso anno altre due donne, una era poco più di una bambina, durante un permesso. Era sano di mente, dicevano i medici, può addirittura aiutare gli altri, chiosavano i giudici...
Chissà se è stata anche questa violenza a minare il corpo di Donatella. Il male infinito che dovette subire si affezionò a lei. Voleva giustizia, Donatella, bella e fiera come una moderna Antigone, violata e offesa come una vestale antica. Scampò al massacro, ma la sua morte iniziò quel giorno di settembre. Ci parlava dal salotto di casa sua, gli occhi chiari a gridare giustizia, l’orgoglio e l’intelligenza erano lì a sfidare l’infinita violenza dell’uomo sulla donna.
Sì, continueremo a lottare, Donatella, glielo dobbiamo, perché non muore con l’uomo la Giustizia, bensì lo trascende e lo giustifica. Le dobbiamo giustizia per il suo volto insanguinato quel giorno nel bagagliaio dell’auto, per i progetti di donna disattesi troppo presto, per la sua indignazione sulla misteriosa fine di Ghira, l’altro carnefice. E per chi insabbia, per chi dimentica.
Poco ascoltata, mi pare, Donatella Colasanti è il simbolo della superiorità femminile sulla grossolanità e la prepotenza dell’uomo.
A chi ha dimenticato, vada a rileggersi la cronaca di quel maledetto giorno, vada a rileggersi come si distrugge una donna. E sì, perché fra guerriere e sante, nel Novecento c’è anche lei, soldatessa di una guerra condotta in punta di piedi, ora a bassa voce, ora gridando, talvolta nascondendosi, altre volte irrompendo sulla scena come protagonista principale.
Era già morta dentro, Donatella, simbolo di tanta violenza, di tanto male. Del nostro male infinito.
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