I novant’anni di Mandela e la colpevole disattenzione dei mass - media italiani
Il 18 luglio 2008 Nelson Mandela ha compiuto novant’anni. Quasi nessuno, però, sembra essersene ricordato dalle nostre parti, dove i quotidiani e le televisioni hanno fatto a gara nel trascurare l’evento, eccezion fatta per qualche sporadica e striminzita menzione qua e là. A rimediare tanta imbarazzante distrazione ci ha pensato il canale satellitare “Sky Cinema”, che ha dedicato al leader sudafricano il palinsesto di una intera giornata, con film sul tema della questione razziale, con uno speciale intitolato “Mandela’s Day” e mandando in onda in prima serata “Il colore della libertà – Goodbye Bafana”, il bel lungometraggio ispirato al libro di James Gregory “Nelson Mandela da nemico a fratello”.
Eppure, all’estero, le cose non sono andate allo stesso modo. Il 27 giugno 2008 a Londra i novant’anni di Nelson Mandela sono stati celebrati in un grande concerto ad Hyde Park, dove una folla di mezzo milione di persone ha salutato il paladino delle lotte anti – apartheid, che non ha voluto mancare all’occasione, ricordando le ragioni del suo impegno civile, mai abbandonato anche dopo il ritiro ufficiale dalla vita politica.
Nella settimana del suo compleanno, dal canto suo, la rivista “Time” ha consacrato in copertina l’immagine di Madiba – soprannome con cui viene affettuosamente chiamato in patria Mandela -, mentre in una lunga intervista l’ex presidente sudafricano spiega i segreti del successo di un leader.
Così abbiamo avuto l’ennesima dimostrazione del provincialismo imperante nei mass – media nostrani, i quali evidentemente non colgono la statura storica di una delle figure più grandi del Novecento e di questo secolo.
Invece, in tempi di iniziative suscettibili di pericolosi fraintendimenti razzisti (vedi la vicenda delle impronte ai bambini rom), festeggiare l’uomo che più di tutti, tra i politici viventi, simboleggia l’abbattimento del muro della discriminazione razziale, sarebbe stato un modo per ricacciare nel passato gli echi di insidiosi rigurgiti di intolleranza.
Già, perché dobbiamo a Nelson Mandela se oggi il suo Paese non è lo Zimbabwe di Mugabe.
All’indomani della fine della segregazione razziale nel 1990, era elevato il pericolo che il rancore - covato dai neri durante decenni di apartheid, costellati di quotidiani episodi di repressione spietata e cruenta - potesse sfociare in una vendetta contro i bianchi e nell’instaurazione di un altro regime razzista a parti invertite. Mandela preferì percorrere la strada della pacificazione e fu un gesto tanto più encomiabile perché proveniva da chi per ventotto anni aveva ingiustamente sofferto la perdita della libertà personale, recluso nella prigione di Rodhe Island. Ma fu soprattutto una scelta enormemente saggia, come dimostra la situazione attuale dello Zimbabwe, spinto dalla dissennata politica razzista di Mugabe sull’orlo della fame.
Mandela comprese che una nuova ondata di violenza non sarebbe servita a nulla e che la cacciata dei bianchi non avrebbe risolto i problemi del Sud Africa, anzi li avrebbe aggravati.
Nello Zimbabwe i bianchi erano stati spogliati con la violenza dei loro possedimenti, ma il risultato oggi è l’assoluto impoverimento dell’economia locale.
Mandela intuì che prima di redistribuire la ricchezza in favore della popolazione di colore era indispensabile dotare quest’ultima di una classe dirigente responsabile e competente, in grado di sapere gestire i difficili processi dell’economia. Mettere da parte, nella fase di transizione, in maniera punitiva, l’establishment bianco ed espropriarlo dei propri beni sarebbe stato un clamoroso errore, che avrebbe inutilmente privato il paese della sua struttura economica più avanzata e di un importante apporto in termini di esperienza e capitali. Inoltre, egli capì che un’esplosione di violenza avrebbe potuto avere esiti imprevedibili e la situazione avrebbe potuto sfuggirgli di mano, dando la stura a conflitti tribali tra le diverse etnie di colore che si trovano in Sud Africa. Le riforme agrarie sono state intraprese, gli espropri di terre sono stati avviati ma dietro il pagamento di equi indennizzi ai proprietari.
Mandela è oggi il principale garante di un ordine che tutela anche i bianchi. Ma la convivenza tra le diverse componenti del popolo sudafricano è tutt’altro che facile. Solo il grande carisma di Madiba è capace di tenere sotto controllo il potenziale esplosivo di tensioni razziali alimentate non solo da un passato di soprusi difficile da cancellare, ma dalle profonde disuguaglianze economiche tra i discendenti dei colonizzatori europei e gli indigeni. Le manifestazioni di qualche settimana fa contro gli immigrati provenienti dai vicini paesi africani, soprattutto dallo Zimbabwe, sono la dimostrazione più evidente del malessere della gente di colore e dei tanti problemi irrisolti del Sud Africa.
Mandela ha coraggiosamente sfidato i colossi dell’industria farmaceutica sul terreno dei brevetti dei medicinali per la cura dell’Aids. Dopo aver ammesso di aver sottovalutato, durante la sua presidenza, il problema della terribile malattia, continua a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale nella lotta contro una epidemia, che rischia di decimare la sua gente.
Il giorno del suo compleanno, Mandela ha esortato i ricchi a condividere la loro ricchezza con i poveri, consapevole che il successo dello straordinario esperimento di società multirazziale in Sud Africa dipende in larga misura dal superamento dell’attuale divario di benessere tra la minoranza bianca e la maggioranza nera.
Mandela con il suo mito mantiene vivo il sogno dei sudafricani di un domani più giusto e sereno. E allora, lunga vita a Madiba!
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