I molti significati della busta di Scimone e Sframeli
Recensione dello spettacolo teatrale “La busta” scritto da Spiro Scimone e diretto da Francesco Sframeli, in scena al teatro ambasciatori di Catania dal 20 al 24 febbraio, con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Nicola Riganese e Salvatore Arena.
Andare a teatro a vedere "La busta", l’ultimo spettacolo di Scimone e Sframeli (autore il primo regista il secondo), significa insieme molte cose. significa seguire col fiato sospeso una specie di moderno remake kafkiano, senza identità ma denso di ruoli e nomine, con la minaccia del precipizio sempre dietro l’angolo e l’eco di suggestioni beckettiane. Ma questo in effetti l’hanno già detto in molti.
Significa anche addentrarsi fin dentro le pieghe di un modo di fare teatro, quello di Scimone e Sframeli appunto, che ormai da una quindicina di anni si fa conoscere e riconoscere per i teatri di tutta Europa, facendo sempre incetta di applausi, prestigiosi premi e le sviolinate anche della critica più feroce. Un modo di fare teatro che stavolta rinuncia alle ellissi, pronto a palesare la violenza che rappresenta, pur nel susseguirsi di metafore che ne è il modello.
Vedere stavolta Scimone e Sframeli significa stare col fiato sospeso cercando di sapere perché un giorno Un Signore ha ricevuto una busta da un ufficio senza nome in cui le identità e persino le facce non servono a nulla se non ad essere messe in discussione. Significa provare pietà e schifo insieme, provare vergogna ma ritrovarsi anche a sorridere, anche se per smentirsi subito dopo.
Significa inoltre, ed è forse il tratto che lascia più sgomenti, trovarsi costretti a gettare uno sguardo fisso e volontario su i tratti più temibili della società attuale. Una società piena di vinti ma senza vincitori apparenti, violenta, terribile e frustrata, costretta a mascherarsi ogni giorno per commettere le peggiori nefandezze. Unico punto di approdo la violenza, imprevedibile, inevitabile e cieca.
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