Ho riconsegnato al Presidente della Repubblica il mio certificato elettorale
Il demone dell’antipolitica e il ricatto del voto per impedire il cambiamento
Martedì 3 aprile 2012, a mezzo di raccomandata n. 14498136858-0, ho riconsegnato al Presidente della Repubblica il personale certificato elettorale con la seguente motivazione:
Illustrissimo Signor Presidente,
Non avrei mai immaginato di compiere un giorno tale grave passo. Ho creduto che bastasse impegnarsi attivamente nell’agone politico e sociale per portare a termine le giuste aspirazioni del popolo, della gente. Mi sbagliavo. Avevo coltivato delle illusione ed ora covo tanta delusione. Anche rabbia. Invece di assistere ad un miglioramento della tenuta civile del Paese mi sono accorto che un insidioso e carsico fenomeno metastatico stava corrodendo le fondamenta della nostra casa comune. L’Italia. Pertanto, ho deciso di scriverle per riconsegnare a Lei – massima magistratura del nostro amato Paese – il certificato elettorale al fine di dimostrarle in maniera icastica quanto grave sia il momento. Un gesto antipolitico? Come se la politica volasse alta… Rinuncio al diritto costituzionale del voto? Per poi vedermelo svenduto dai partiti? La società e la politica sembrano due entità che pur vivendo nella medesima casa hanno intrapreso da tempo strade del tutto differenti e non coincidenti. E’ venuta meno – a mio modestissimo parere – il legame di fiducia che unisce chi governa a chi è amministrato. La fiducia è l’elemento essenziale e determinante della coesione nazionale. Come possiamo sentirci uniti come popolo quando fra di noi non c’è fiducia reciproca? Soprattutto allorquando i partiti danno il cattivo esempio. E’ questa la colpa, drammatica, che la politica ha commesso in tutti questi anni. Far venire meno – anche azzerare – la fiducia in noi stessi. La fiducia è il collante di una Nazione. La fiducia provoca una naturale propensione al futuro. Ne è il propellente principe. Futuro che in questi anni, brutti e decadenti, è stato del tutto abolito. Ritrovandoci ai giorni d’oggi senza respiro e in fortissimo debito di ossigeno. Le ripeto. Non avrei mai voluto giungere a compiere un passo sì drammatico. Tuttavia, ho avvertito la necessità di rappresentarle il mio estremo disagio come cittadino. Un disagio che spero possa essere smentito dai fatti. Rimango viepiù scettico al riguardo. E’ lecito ancora coltivare la virtù della speranza? Nell’augurarle un facondo lavoro nell’interesse del nostro Paese, riceva i sensi della mia più profonda gratitudine nei confronti della di Lei persona.
Carlentini, 03/04/2012.
Dr. Emanuele Gentile
Partendo dal testo della lettera indirizzata al Presidente della Repubblica vorrei parteciparvi di alcune personali riflessioni.
Perché non ho bruciato il certificato elettorale - Ho preferito riconsegnare il certificato elettorale piuttosto che bruciarlo perché quest’ultimo atto - a mio avviso - avrebbe costituito un sacrilegio assurdo. Come si fa a bruciare un documento che attesta il fatto che tu sei un cittadino? Un documento conquistato grazie al contributo di sangue di parecchie generazioni. Si è combattutto aspramente per elevare attraverso il voto a dignità di persona umana milioni di uomini e donne. Il voto è, senza dubbio, una delle massime conquiste della civiltà moderna. Pertanto ho optato per una modalità di riconsegna meno traumatica e, allo stesso tempo, molto più civile.
Amo la politica - Disdegno l’antipolitica. Non farò mai parte di quanti danno addosso alla politica. Cosa abbiamo ottenuto con due decenni di antipolitica? Un paese colmo fino all’inverosimile di macerie immateriali e materiali. L’antipolitica serve a distruggere. Io, al contrario, voglio costruire. E’ proprio perché amo la politica che ho deciso di riconsegnare al Presidente della Repubblica il personale certificato elettorale. Immaginatevi per un attimo di vivere in un paese senza politica? Cosa succederebbe? Che quel paese cadrebbe nell’anarchia. La politica deve ritornare in sé. In tutti questi anni ha deviato dalla sua missione civile. E’ diventata un coarveco di illegalità e illeciti. Con il risultato di aver portato noi tutti sull’orlo del baratro. Ci vorranno decenni prima di guarire dalle ferite inferte dalla non politica al nostro futuro.
Il ricatto del voto - Se continuiamo ad andare a votare come "pecore" i politici - che espressione eccessiva! - si sentiranno autorizzati a fare quello che vogliono. Bisogna che essi capiscano una buona volta per tutte che il voto non è una delega in bianco. Vedete loro hanno una formula magica per farsi perdonare dimenticanze e atti illeciti: "ci avete voluto voi, quindi di cosa vi lamentate?". Il rubinetto del loro potere illimitato è il nostro voto. E’ venuto il momento di chiudere questo rubinetto affinché si disegni una nuova alleanza fra chi governa e chi è amministrato. Un’alleanza basata sui principi della convivenza civile. Il voto che fino ad oggi abbiamo dato ai politici è in fondo una "chiamata in correità". Insomma, diventiamo complici di chi infanga ogni giorno la Costituzione. Non deve essere più così. Avvertiamo tutti l’urgenza che il voto ritorni a giocare quel delicatissimo ruolo di massima espressione della cultura civile di un paese.
Le colpe di noi cittadini - Nella lettera che accompagnava la riconsegna del certificato elettorale al Presidente della Repubblica non ho accennato a un’altra scottante tematica. Quella afferente alle colpe dei cittadini. Ne abbiamo. Eccome! In tutti questi anni abbiamo abdicato al lostro ruolo. Essenziale. Fondamentale. Invece di occuparci del benessere collettivo abbiamo preferito delegare ai politici il perseguimento di tale obiettivo. Che errore madornale abbiamo commesso. Abbiamo fornito ai politici la c.d. "smoking gun" affinché sviluppassero la loro missione solo per raggiungere obiettivi personali o di casta. A ciò aggiungasi un elevato tasso di indifferentismo che ci ha trasformati tutti in persone disposte a voltarsi dall’altra parte piuttosto ad occuparsi della "res pubblica". Fenomeno ulteriormente amplificato da due ulteriori eventi. Una società civile che non lo è poiché è stato il brodo di cultura di naturali predisposizioni italiane al clientelismo e alla corruzione. Ancora. Una società divisa in gruppi, clan, fazioni, associazioni che non hanno contribuito a creare un’identità generale al corpo sociale, ma che l’hanno ancor più frantumata in tante mini-società che si sono mosse soltanto per asservire il proprio interesse alla sopravvivenza. Non solo la politica è da ricostruire. Lo è massimamente anche la società italiana.
L’esempio - In tutti questi anni è mancato l’esempio. Ognuno di noi ha dato, al contrario, sfogo alla sua antisocialità più bieca e distruttrice. Ad esempio, evadendo le tasse oppure distruggendo l’ambiente od ancora ottenendo il giusto attraverso la corruzione. Tale relativismo etico e morale ha abbassato in modo drammatico il fondo civile del nostro paese. Con il risultato che siamo davvero in debito d’ossigeno. Un cancro carsico ha corroso le nostre virtù civili rendendoci una palude di persone interessate a fregare l’altro. Nessuno ha dato esempi tali da ricostruire un quadro etico e morale congruo e plausibile. Non soltanto i partiti e i cittadini. Ma anche altri attori sociali quali chiesa, scuola, associazionismo, magistratura e forze dell’ordine. Ciascuno di essi ha contribuito in maniera esemplare a renderci facilmente disposti al sonno della morale. Eppuire una delle basi di una società dinamica è proprio l’esempio come incitava nel "Saggio sulla Rivoluzione Napoletana" Vincenzo Cuoco.
Cosa rimarrà della Costituzione? - Quello che fa più paura è lo stato di salute della nostra Costituzione e degli assetti costituzionali del nostro paese. Da troppi anni è partito - da ogni schieramento politico - un assalto a plasmare la carta costituzionale in base ai propri desideri. Così non va. La Costituzione non è un abito da modificare secondo i nostri interessi. Se no l’edificio costruito dai padri costituenti rischia di crollare. Evento che in parte è già avvenuto. Purtroppo... Ci si lancia in riforme costituzionali in ordine sparso. Senza un progetto complessivo e plausibile. Incidendo in modo scriteriato su delicatissimi equilibri di potere fra i vari organi costituzionali. Rendendo lo Stato viepiù fragile e bloccato. L’ultimo nefasto esempio è la riforma elettorale in fase di definizione. Come si può realzizare una riforma elettorale senza ragionare prima sulla "forma di Stato" e sulla "forma di Governo" che vogliamo avere? Misteri di una politica italiana confusa e pericolosa. Poi il fatto che siamo sotto osservazione internazionale non aiuta certo a preservare l’integrità della nostra Costituzione.
L’Italia sta attraversando una fase di particolare gravità. Rischiamo di perdere quanto le passate generazioni hanno acquisito anche a costo della vita. Da qui la necessità di nuove forme di Risorgimento e Resistenza per salvare il nostro paese da un futuro pieno di dubbi e paure. Il cerino è nelle nostre mani. Cosa vogliamo fare? Continuare a passarcelo di mano in mano per evitare di essere noi protagonisti attori del nostro presente e avvenire?
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