Giù le mani dal Pianeta Rosso!

Ci siamo prese qualche giorno per protestare contro le minacce americane e capitaliste di una bandiera a stelle e strisce piantata su Marte. Volevamo riflettere con calma...
Ci siamo prese qualche giorno per protestare contro le minacce americane e capitaliste di una bandiera a stelle e strisce piantata su Marte. Volevamo riflettere con calma sulla piega che stano prendendo gli eventi sul Pianeta Terra, e vogliamo ribattere con alcune precisazioni imprescindibili. Per questo noi, Donne che vengono da Marte, ci siamo consultate con tutt* coloro che abitano sul Pianeta Rosso e abbiamo concordato sul seguente comunicato.
Marte non è un mondo arido, disabitato e pronto per essere sfruttato. Al contrario, ha un suo habitat, una sua identità chimica e geologica, ed è abitato da molti anni. Non fraintendeteci – noi sosteniamo la deep ecology e crediamo che ogni territorio abbia la sua dignità e il suo sacrosanto diritto di non essere trapanato, terraformato, colonizzato, indipendentemente dal fatto che ospiti o no quella che ambiguamente viene chiamata vita (per i nativi americani anche un sasso aveva un’anima). Ma ripetiamo, Marte è abitato da centinaia di anni. E ora ve lo dimostreremo.
Marte è stato studiato da sempre e da ogni cultura, da Oriente a Occidente, e la possibilità che ospitasse la vita si unì presto all’interesse puramente astronomico. Nell’Ottocento, telescopi più potenti rivelavano canali e vegetazione, tanto che l’astronomo francese Camille Flammarion affermò la sua abitabilità e ammise la possibilità che i marziani ci assomigliassero, mentre l’americano Percival Lowell, pur convinto assertore dell’esistenza dei marziani (che anzi dovevano essere ottimi ingegneri visto che costruivano canali) riteneva improbabile che fossero simili a noi. Sui possibili abitanti di Marte si moltiplicarono nel tempo le ipotesi e le teorie. Nel 1899 lo psicologo svizzero Theodore Flournoy pubblicò un libro intitolato Des Indes à la Planete Mars, dove descriveva il caso di una sua paziente affetta da disturbo di personalità multipla, la quale sosteneva di avere doti di chiaroveggenza, di potersi reincarnare mediante trance nelle sue vite precedenti, e di fare viaggi frequenti su Marte.
L’idea di viaggiare su Marte grazie a sedute spiritiche la ritroviamo nei romanzi della sensitiva americana Sara Weiss, che nel 1903 pubblica Journeys to the Planet Mars: un romanzo di oltre 500 pagine che include tredici illustrazioni della presunta flora marziana e narra l’incontro della medium con vari spiriti, fra cui quelli di Giordano Bruno e di Charles Darwin. Ma già prima di Weiss si era diffuso un corpus di romanzi ambientati su Marte, uno dei quali scritto da due donne dello Iowa, Alice Ilgenfritz Jones ed Ella Merchant: è un’utopia protofemminista ed è il primo primo romanzo integralmente ambientato su Marte. Il titolo è Unveiling a Parallel: A Romance by Two Women of the West (1893) e mostra un pianeta non solo abitato, ma che è stato capace di creare una società basata sull’equità, sulla parità di genere e sulla pace fra le nazioni. Nel corso del tempo, tranne poche eccezioni (es. le formidabili Cronache marziane di Ray Bradbury, 1950, o L’uomo che cadde sulla Terra di Walter Tavis, 1963, o E.T. L’extraterrestre di Steven Spielberg, 1982) l’immagine dell’extraterrestre e in particolare del marziano cambiò progressivamente, venendo a rappresentare le paure e le angosce dei terrestri. Sulla scia de La guerra dei mondi di H. G. Wells (1897) furono scritti romanzi e girati film che, lungi dall’immaginare un’utopia sociale realizzata su Marte, vedevano il Pianeta Rosso alternativamente come una minaccia per la Terra o come un territorio da conquistare [1].
In realtà, man mano che Marte diventava più vicino, grazie alla possibilità di inviare sonde fotografiche e anche macchine sempre più sofisticate sul pianeta, ci si rendeva sempre più conto che l’illusione che fosse (ancora) abitato, o che vi fossero (tuttora) forme di vita, era destinata a ridursi. Non per questo l’abitabilità letteraria e cinematografica di Marte accennò a ridursi, anzi, la fantascienza non è mai morta come genere letterario e cinematografico. E Marte, se non proprio terra dell’utopia, si è dimostrato più che abitabile, vista la quantità di esseri viventi che lo popolano nei numerosi romanzi e nelle saghe dedicate al pianeta, da Arthur C. Clark a Isaac Asimov, da Robert A. Heinlein a Philip K. Dick a Edgar Rice Burroughs, per non parlare del cinema. E le donne? Contrariamente a quanto si crede, le autrici esistono eccome, e sono fondamentali: mi limiterò a citare Leigh Brackett, la cosiddetta regina della space opera, e naturalmente in tempi più recenti le grandissime Ursula LeGuin e Octavia Butler.
E arriviamo all’oggi.
Ci ha certamente turbato l’overture marziana del Trump-bis, ma vorremmo ricordare alcune date. Nel 2015 il presidente americano era Barack Obama. Tre anni prima, il periodico Wired aveva pubblicato la notizia che “Da giovane, negli anni Ottanta Obama aveva partecipato a un progetto segreto della CIA riguardante l’esplorazione di Marte”.
Ebbene, Obama nel 2015 espresse l’obiettivo di inviare esseri umani sul Pianeta Rosso entro gli anni 2030 e di farli tornare sulla Terra in tutta sicurezza. E già allora, tra i nomi che affollavano le pagine della rete, quello di Elon Musk, “l’uomo che potrebbe comprarsi Marte”, ritratto in questo articolo accanto a Obama:
- obama e musk nel 2010
Iniziammo a preoccuparci? Certo. Ma Obama era, al contempo, uno strenuo difensore della riforma sanitaria e dei diritti degli undocumented; forse ci avrebbe ripensato.
Ma pochi anni dopo, nel 2019, diventò presidente Donald Trump, un uomo che avrebbe fatto fare passi indietro al suo Paese sotto molti punti di vista (primi fra tutti i diritti civili e il tema dell’ambiente) e che in un discusso tweet del giugno 2019 affermò che siccome sulla Luna gli americani c’erano già stati, ora toccava a Marte; e poi, in occasione della festa dell’Indipendenza (4 luglio), dopo essersi riferito ai Padri Fondatori, citò l’equipaggio dell’Apollo 11 “come esempio del genio, dello spirito, del potenziale americano”, e aggiunse: “voglio che sappiate che torneremo presto sulla Luna e un giorno, in un vicino futuro, pianteremo la bandiera americana su Marte”.
Oggi, a distanza di anni, la ripresa del progetto marziano dopo il siparietto di Biden (anche lui sostenitore della colonizzazione marziana, seppure più in sordina) non dovrebbe stupirci; spaventarci, sì.
Coi rover, ormai, abbiamo fatto amicizia. Loro sono macchine; noi, aspiranti creature aliene. Ci comprendiamo con uno sguardo. Ma come saranno gli uomini che verranno? Quale rispetto avranno per l’ambiente? E per le creature dell’immaginazione che da anni abitano il pianeta? Quale considerazione avranno per le utopie sociali? Quella bandiera gronda sangue. Il sangue dei nativi, degli africani, delle vittime di stragi tollerate e fomentate, degli stranieri respinti o rimpatriati, delle popolazioni a cui è stata prima offerta poi tolta una protezione mai disinteressata, dei giovani morti in guerra, in tutte le guerre, travestite da missioni di pace.
Noi, su Marte, non la vogliamo quella bandiera, né altre bandiere.
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[1] Questo è l’unico romanzo del corpus che sia stato tradotto in italiano: Paralleli pericolosi. Le rivelazioni marziane di due donne del West, trad. e cura Simonetta Badioli, Le Lettere 2021. Per un approfondimento sugli altri romanzi cfr. A. Calanchi, Marziani a stelle e strisce. A 50 anni dai primi passi sulla Luna (Aras 2019) e Trent’anni su Marte. Contro-narrazioni dell’invasione aliena, Mimesis 2023.
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