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Giù le armi, su i salari

di Redazione - giovedì 7 novembre 2024 - 310 letture

La resistenza dei lavoratori ai tempi dell’ultradestra / di Poterealpopolo!

nov 06, 2024

La retorica celebrativa con cui il Governo Meloni ha pubblicizzato i dati sull’occupazione senza che ciò abbia scatenato proteste all’altezza (visto anche il livello molto basso dei salari) è una fotografia dei rapporti di forza attuali, che danno margine alla “borghesia chiagni e fotti” italiana di erodere diritti e potere d’acquisto dei lavoratori, facendo pesare sulla spesa pubblica l’onere di mantenere inalterati i livelli di conflittualità.

Di fronte a questa fase di passivizzazione della società, su cui pesano senz’altro decenni di concertazione sindacale e coperta ideologicamente dal centrosinistra negli ultimi decenni, la destra italiana e non solo ha avuto gioco facile nel costruire una narrazione che, pur partendo da alcuni dati oggettivi, riesce a piegarli ai propri interessi offrendone una lettura superficiale e distorta.

L’attuale Esecutivo non è altro infatti che una rappresentazione diretta della borghesia stracciona nostrana che, per mantenere margini di manovra in una fase di stagnazione dell’economia italiana, deve ricorrere da un lato a un trasferimento di risorse, diretto o indiretto, verso l’impresa, dall’altro alla repressione preventiva, alla disinformazione e alla distrazione di massa.

Andiamo con ordine.

Se un telespettatore incappasse nella trasmissione serale di Bruno Vespa o anche, banalmente, in uno qualsiasi dei tg Rai (lasciamo stare le tv berlusconiane) potrebbe convincersi di trovarsi nel pieno di un nuovo boom economico: record di occupati, tasso di disoccupazione ai minimi dal 2007, crescita del Pil maggiore rispetto alla media UE, titoli di Stato che vanno a ruba, un nuovo piano per l’edilizia pubblica, lotta ai grandi evasori, sostegno al sistema produttivo e industriale, made in Italy alla conquista dei mercati globali, più risorse alla sanità, e poi un utilizzo oculato dei fondi Pnrr che ci farà fare un salto di qualità senza precedenti nella storia del Paese.

Le cose in realtà non stanno così. Se ci soffermiamo solo sul dato salariale, vediamo come i salari reali italiani siano scesi del 2,9% dal 1990 ad oggi, caso unico nell’area Ocse, con un’accelerazione a partire dal 2022 dovuta all’impennata dei prezzi. Una situazione a favore d’impresa, puntellata dal Governo grazie a una serie di misure economiche espressamente pensate per impedire una ripresa del conflitto sindacale e quindi un rialzo dei salari. Il Governo in questo settore ha infatti puntato, trovando purtroppo un appoggio nello stesso sindacato concertativo, sul taglio del cuneo fiscale, nonchè sul finanziamento di incentivi, bonus, fringe benefits e defiscalizzazioni, soldi regalati alle imprese e sottratti alla fiscalità generale.

I risultati di questa politica sono molteplici: da un lato evitare l’approvazione della legge sul salario minimo a 10 euro l’ora, attualmente depositata in Senato e per la quale continuiamo a batterci, che implicherebbe un trasferimento netto di ricchezza dalle tasche di ricchi e imprenditori alle tasche di chi lavora. Dall’altro tenere a bada i lavoratori con un gioco delle tre carte, facendoli pagare due volte: una con il congelamento dei loro salari, e un’altra con minore spesa pubblica, ossia con lo smantellamento dei servizi rivolto a tutti e tutte, a prescindere dalla posizione occupazionale. Si tratta di una politica di cortissimo respiro, insostenibile nel medio periodo, che però ha il pregio di garantire la pace sociale a tutto vantaggio dell’impresa italiana .

Se poi congelamento della conflittualità e propaganda mediatica non dovessero bastare, e qualche operaio facinoroso o qualche giovane ideologizzato volesse esprimere la propria insoddisfazione o semplicemente garantire il rispetto dei propri diritti, c’è sempre il caro vecchio manganello. Il ddl 1660, tra le altre cose, serve a reprimere in maniera preventiva la conflittualità sociale, a partire dallo strumento del picchetto, della restituzione di edifici abbandonati a scopo abitativo e sociale, fino all’opposizione delle popolazioni colpite da Grandi opere inutili, dannose e inquinanti. Insomma, dove non arriva la persuasione, arrivano sempre le denunce e, quando proprio servono, le mazzate.

Sul piano dell’evasione fiscale e della sicurezza sul lavoro poi, si tende ulteriormente a indebolire ispettorato e sanzioni: la legge per l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro e l’introduzione di maggiori misure preventive, promossa da Rete Iside, da Usb e da una coalizione di organizzazioni di cui facciamo parte, giace in un cassetto, come spiega bene l’articolo di Giuliano Granato che vi proponiamo.

La coperta però è corta e da qualche parte gli scricchiolii iniziano a farsi sentire. L’assenza totale di una visione strategica emerge con prepotenza nel settore più importante, in termini di Pil (ben l’11%), dell’economia italiana: l’automotive.


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