Giornalisti: il caso "Betulla" provoca dimissioni
Si dimettono dal Consiglio nazionale due giornalisti. E non c’è solo questo caso
La vicenda di Renato Farina, alias "Betulla", spione dei servizi segreti da cui veniva retribuito, reintegrato dall’Ordine dei giornalisti, l’abbiamo raccontata già il 5 settembre scorso. Ma in questa squallida vicenda ora c’è una coda che riguarda proprio l’operato dell’Ordine dei giornalisti.
Due giornalisti ‒ Carlo Bonini (Repubblica) e Pietro Suber (Mediaset) ‒ si sono dimessi, per protesta, da consiglieri dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Lo hanno fatto inviando al presidente, Enzo Iacopino, due distinte lettere dove spiegano le motivazioni del loro gesto.
Bonini ripercorre la vicenda "Betulla" e la sua riammissione all’Ordine sottolineando come "Renato Farina, alias Betulla, ebbe tra i suoi ’target’ spionistici anche il lavoro giornalistico di Repubblica del sottoscritto e di chi non può più parlare, perché un infarto l’ha portato via troppo presto la mattina del 30 luglio 2011: Giuseppe D’Avanzo. Nei giorni dell’inchiesta su Abu Omar e del coinvolgimento del Sismi nel suo sequestro per mano della Cia, Farina osservava vigliacco i miei movimenti e quelli di Peppe. Nei nostri appuntamenti con le fonti. E se possibile anche nel giardino dell’albergo di Milano, dove ci mettevamo a discutere scioccamente convinti di essere lontani da orecchie indiscrete".
Lo spione spiava, quindi, anche i colleghi e poi andava a riferire a Pio Pompa e al generale Niccolò Pollari. Fatti risaputi e più volte denunciati nel corso degli anni e di cui l’Ordine dei giornalisti era perfettamente a conoscenza. Oltre a fare lo spione, Farina aveva il compito di infangare le persone. Così aveva fatto per le volontarie Simona Pari e Simona Torretta definite le "Vispe Terese", per la giornalista del manifesto, Giuliana Sgrena, rapita "dai suoi amici terroristi", fiancheggiatrice dei tagliagole iracheni. E così aveva fatto per il giornalista Enzo Baldoni, assassinato dopo il rapimento da parte dell’Esercito islamico iracheno, definito sprezzantemente da "Betulla", un "pirla" mentre il titolo dell’articolo era "Vacanze intelligenti".
Bonini, nella lettera, cita un altro caso, questo citato anche nella lettera di Pietro Suber. E’ una citazione ironica che dimostra ampiamente a quale degenerazione si può arrivare: "Cosa ci si può attendere da un consesso [l’Ordine dei giornalisti-Ndr] che sceglie Giovanni Lucianelli tra i membri effettivi della commissione d’esame per i giornalisti professionisti?". E chi è Giovanni Lucianelli? E’ stato addetto stampa di Sergio De Gregorio, il senatore della compravendita dei voti di Berlusconi, inquisito e al centro di vicende poco chiare.
Suber, oltre a Lucianelli, chiama in causa anche la vicenda di Andro Merkù l’imitatore che produce scherzi telefonici della trasmissione radiofonica La Zanzara. Merkù, giornalista pubblicista, è consigliere nazionale dell’Ordine e qualcuno lo ha invitato a dimettersi perché incompatibile con il suo ruolo alla radio. Secondo molti, sostituirsi telefonicamente, in modo subdolo, a personaggi noti, non è fare giornalismo. Passata in votazione la proposta, Merkù è stato assolto con 85 voti a favore e 17 contrari. Suber, nella lettera, riferendosi a questo episodio, parla di "violazione del codice deontologico accertata, se ce ne fosse il bisogno, da ultimo anche dal Garante per la Privacy".
Il giornalista fa riferimento al Codice deontologico perché la Carta dei doveri dei giornalisti del 1993 stabilisce che “Il giornalista rispetta il diritto alla riservatezza di ogni cittadino e non può pubblicare notizie sulla sua vita privata se non quando siano di chiaro e rilevante interesse pubblico e rende, comunque, sempre note la propria identità e professione quando raccoglie tali notizie”. E dal 29 luglio 1998, il codice regolamenta il trattamento dei dati personali con riferimento alla legge sulla privacy e dice chiaramente, all’articolo 2, che "il giornalista rende nota la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa ed inoltre evita artifici e pressioni indebite".
Il presidente dell’Ordine nazionale, Enzo Iacopino, replica sostenendo che i due giornalisti sbagliano bersaglio perché "le critiche vanno rivolte all’Ordine della Lombardia" e su Lucianelli accusa Bonini di "garantismo a corrente alternata". Solidale, invece, con i due giornalisti dimissionari, l’Ordine dei giornalisti del Lazio che invita i colleghi lombardi a compiere un "supplemento di istruttoria" sulla vicenda Farina.
Carlo Bonini, nella lettera, si chiede: "Cos’altro vi attende e ci attende? Quale altro tradimento siamo, siete pronti a consumare? Cosa vi preparate a raccontare a chi, oggi, si sbatte per poche centinaia di euro lorde al mese credendo in quello che fa e rischiando spesso la pelle per uno scatto o per l’ostinazione di scrivere un nome impronunciabile in una cronaca locale?".
Poi una proposta: "Butto lì un’idea: perché, contando già su Lucianelli agli esami di idoneità, non pensare a Renato Farina per la formazione permanente, magari da tenere in una sala intitolata a ’Giuseppe D’Avanzo’?".
La nostra stessa considerazione con cui chiudevamo l’articolo del 5 settembre scorso. Farsi spiegare la deontologia da Renato Farina dovrebbe essere possibile. Considerato che è stato riammesso nell’Ordine professionale chi meglio di lui potrebbe dare le giuste "dritte" ai giovani giornalisti su come comportarsi?
Possibile che questa vicenda non faccia venire il vomito, la nausea ai dirigenti dell’Ordine dei giornalisti? Certo, la legge è dalla loro parte ma poi c’è anche una legge non scritta, un’etica personale che dovrebbe essere quella seguita. Per il rispetto nei confronti di tutti quei giornalisti che sono morti, che sono stati ammazzati per poter continuare a scrivere liberamente, con onestà e dignità. E senza ricevere soldi dal Sismi per infangare, destabilizzare, spiare.
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