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Giornali. Per un pugno di copie

La piccola storia di una giornalista precaria: dalla striscia di Gaza ad assicuratrice a Milano. Perdono copie tutte le più grosse testate di quotidiani e periodici.

di Adriano Todaro - mercoledì 13 gennaio 2010 - 2919 letture

E’ laureata in Lingue con tanta voglia di scrivere, di raccontare, di conoscere. Anni fa, comincia a collaborare con un settimanale locale della provincia di Milano. E’ un ruolo, il suo, che però gli va stretto non fosse altro perché ripetitivo: ogni mattina in giro per le tenenze dei carabinieri, poi al pronto soccorso, poi dai vigili urbani nella speranza di trovare una notizia che vale la pena raccontare sul settimanale.

Prende 3 euro ad articolo ed oltre a scrivere, fa anche “cucina redazionale”, dai titoli all’impaginazione. Quando è in giro a registrare testimonianze, a fare interviste, a cercare spunti per gli articoli, scatta anche fotografie con una piccola digitale di sua proprietà.

Insomma, non è quello che sognava. E così decide di smettere e di trasferirsi a Londra. Lì studia l’arabo e si perfeziona nell’inglese. Ed è da Londra, dove si mantiene facendo i lavoretti che fanno gli studenti, cameriera e baby sitter, che comincia a collaborare con un piccolo quotidiano italiano che però dà molto spazio agli Esteri. Per alcuni anni scrive corrispondenze da Londra, articoli di tutti i tipi, dalla politica agli spettacoli. Poi decide il grande salto. Conosce diverse lingue e come free-lance si reca diverse volte in Israele, nella striscia di Gaza, nei campi profughi palestinesi. Non ha nessun accredito, in quei posti ci va a suo rischio e pericolo.

I suoi articoli sono pubblicati da diverse testate. I soldi, invece, arrivano sempre con il contagocce e in ritardo. Ma Anna – la chiamiamo con questo fittizio nome – non è sposata, non ha figli, non ha una propria famiglia e quindi può farcela. D’altronde i suoi genitori sono persone che possono permettersi di anticipare i soldi per le spese e i viaggi di trasferimento di Anna. In quei Paesi, con qualche piccola interruzione, ci resta due anni. Quando ritorna in Italia scrive anche su riviste di viaggi e su testate politiche. E’, comunque, sempre la solita lotta precaria. Case editrici e quotidiani pagano poco e con il solito endemico ritardo. Dietro ad Anna ci sono decine e decine di aspiranti ad occupare le sue collaborazioni, disponibili a guadagnare anche meno di Anna. Quindi stringe i denti e va avanti senza disdegnare, quando capita, qualche traduzione.

Passa così ancora qualche anno, poi nel 2009 molte collaborazioni vengono meno a causa della crisi che ha colpito il mondo editoriale.

Poco prima di Natale la chiamo per gli auguri e per conoscere il suo futuro professionale. La sua voce è incrinata dalla rabbia con cui m’informa il suo “totale fallimento”. Ho 40 anni, mi dice, e tutto ciò che ho fatto non è servito a nulla. Forse, continua, a gennaio vado a lavorare in un ufficio di assicurazioni: “Con il giornalismo ho chiuso”.

Mi è venuto in mente questo personale e piccolo episodio, leggendo i dati del dipartimento sindacale della Fnsi (Federazione nazionale stampa italiana). A fine novembre 2009, 600 giornalisti hanno lasciato il loro posto di lavoro (prepensionamenti, cassa integrazione straordinaria, in deroga e contratti di solidarietà). Entro la fine del 2010, altri 700 lasceranno le aziende. Ma questi sono i numeri dei “garantiti”, coloro che hanno un regolare contratto di lavoro e sono iscritti all’Inpg, l’istituto di previdenza dei giornalisti.

Quante migliaia e migliaia di “Anna” perderanno il lavoro nel 2010? I collaboratori sono almeno 40 mila e poi ci sono gli ultimi degli ultimi, i ragazzi e le ragazze “3 euro” ad articolo che sfuggono ad ogni indagine.

Denunciano crisi un po’ tutte le testate: chiude L’Altro e contratto di solidarietà al 50 per cento a Liberazione come a Radio Popolare. Crisi anche al Gazzettino, al Mattino e al Messaggero (tutti del gruppo Caltagirone), all’Eco di Bergamo, alla Prealpina (Varese), alla Provincia di Como, al Nuovo Giornale di Bergamo, all’Arena (Verona), al Giornale di Vicenza, alla Stampa, a Repubblica, all’Espresso, a La Rinascita della Sinistra.

Una crisi che non risparmia neppure i quotidiani sportivi (Tuttosport e Gazzetta dello Sport) e due quotidiani free-press (DNews e Metro). Ed ancora il Corriere della Sera, il Sole-24 Ore, Famiglia cristiana, il gruppo Mondadori, Hachette Rusconi, la Padania, il manifesto, l’Unità, l’agenzia Ansa, l’agenzia Italia e tante altre testate.

Le cause di un simile disastro? Non si possono ascrivere ad un solo fattore, ma sono il risultato di un concatenamento di più fattori cominciando da una bassa propensione degli italiani ad acquistare il quotidiano. Le copie sono ferme a 15 anni orsono (circa 5 milioni di copie al giorno) e, anche qui, le spiegazioni del fenomeno sono molteplici. Non possiamo certo, per ragioni di spazio, analizzare le motivazioni per cui non si acquista il quotidiano. Certo che da come sono scritti, i quotidiani non riscuotono molto interesse. E poi il ruolo che hanno assunto e che stanno assumendo televisione e Internet, mezzi molto più veloci del quotidiano. Ma anche qui è necessario stare attenti alle semplificazioni. Non è vero che Tv e rete stanno facendo morire il quotidiano. Quando sono uscite testate “diverse”, il successo c’è stato. Penso al 1976 con Repubblica ed oggi con Il Fatto Quotidiano. Il problema è che i quotidiani vogliono scimmiottare la Tv, mentre dovrebbero avere un ruolo di riflessione e approfondimento. Le inchieste non si fanno più perché costano e sono faticose. Meglio, allora, un’intervista a qualche politico, anche di seconda fila, per essere più visibili con poca fatica. E poi paginate e paginate sul gossip politico con qualche spruzzata di sangue di qualche delitto.

Non so se la profezia di un esperto, che ha fissato il 2043 come l’anno in cui si stamperà l’ultima copia cartacea del quotidiano, si avverrà. Certo è che il quotidiano non sarà più come ora. Diversi anni orsono, nel 1999, avevano domandato ad Indro Montanelli se il quotidiano cartaceo avesse un futuro. Montanelli aveva risposto che il quotidiano, in futuro, sarà un segno di distinzione, “come i libri, i congiuntivi e le posate d’argento…”. Ma al di là della battuta è innegabile come il mondo dell’editoria si stia modificando.

Per restare comunque alle vendite dei quotidiani, c’è da sottolineare come sia una Caporetto. Secondo i dati di Ads (Accertamenti diffusione stampa) da ottobre 2008 a settembre 2009, tutte le testate, a parte qualche eccezione, hanno perso copie. Questi i dati relativi ad alcune testate:

Testata Diffusione Diffusione Differenza %
media 2008 media 2009
Corriere della Sera 639.453 566.031 -73.422 -11,5
Repubblica 592.175 496.179 -95.996 -16,2
Stampa 310.147 305.973 -4.174 -1,3
Giornale 195.392 180.721 -14.671 -7,5
Libero 128.529 115.016 -13.513 -10,5
Manifesto 25.234 23.111 -2.123 -8,4
Messaggero 212.431 205.021 -7.410 -3,5
Resto del Carlino 167.356 156.716 -10.640 -6,4
Sole-24 Ore 335.854 306.550 -29.304 -8,7
La Sicilia 64.172 63.001 -1.171 -1,8
Gazzetta / Sport 374.337 348.155 -26.182 -7,0

Segni positivi solo per pochissime testate: l’Unità guadagna quasi 5 mila copie (+10,2 per cento); E Polis, 15.897 copie (+3,4); Il Quotidiano della Basilicata, 184 copie (+ 9,2); Taranto Sera, 948 copie (+ 16). Fra i dati manca quello relativo a Il Fatto Quotidiano perché non ancora censito e che secondo l’editore ha una vendita giornaliera fra le 80 e le 100 mila copie.

Crisi di vendite, dunque, ma non solo. L’altra entrata importante per i quotidiani è la pubblicità Anche in questo campo, però, nota triste. Secondo Nielsen, da gennaio ad ottobre 2009, gli investimenti pubblicitari hanno avuto una flessione del 15,6 per cento rispetto al corrispettivo periodo del 2008. In particolare la Tv ha avuto un meno 12,6 per cento; la stampa, complessivamente, del 23,2 per cento. Specificatamente per quanto riguarda i quotidiani, flessione del 18,6 mentre i periodici sono al 29,1. Contrazione anche per i quotidiani gratuiti con un 28,8 per cento in meno. La radio diminuisce la pubblicità del 13,2 mentre aumenta quella su Internet con un 4,7 per cento.

In mezzo a queste cifre negative, rimane aperto il problema relativo alla sorte dei quotidiani no profit, di cooperative e di partito. Entro gennaio si saprà se il governo ripristinerà i contributi pubblici cancellati dal ministro Giulio Tremonti. Senza finanziamenti pubblici, per molti sarà durissimo sopravvivere e senza contributi certi, le banche non daranno gli anticipi e i bilanci non si potranno chiudere. Risultato: il fallimento delle aziende e i relativi licenziamenti (sono a rischio 4.500 persone). Il governo avrebbe dovuto già, alla fine dicembre, inserire i finanziamenti nel cosiddetto decreto mille proroghe. Invece ha inserito solo la proroga della convenzione con Radio Radicale (9,9 milioni di euro, per il 2010 e altrettanti per il 2011) e la fornitura dei servizi tv a San Marino. Per le altre testate, tutto rimandato.

Anna ha deciso che non farà più la giornalista. Ha scelto, pur di avere uno stipendio “certo”, di fare l’assicuratrice. Non so se sarà una buona assicuratrice. Di certo abbiamo perso un’ottima giornalista, anche se precaria.


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