Geopolitica dei rapporti turco-israeliani
In questo breve articolo ci occuperemo dell’alleanza turco-israeliana per capire in quale contesto l’affare Mavi Marmara si inserisce e quali sono i probabili sviluppi degli equilibri geopolitici coinvolti.
L’assalto israeliano alla Mavi Marmara quali effetti porterà nella geopolitica mediorientale? Cosa accadrà adesso? Sono domande che sono sorte nell’ultima settimana e alle quale cercheremo di rispondere.
In questo breve articolo ci occuperemo dell’alleanza turco-israeliana per capire in quale contesto l’affare Mavi Marmara si inserisce e quali sono i probabili sviluppi degli equilibri geopolitici coinvolti.
L’intenzione è quella di osservare il passato dell’alleanza turco-israeliana, per capirne il presente ed illuminarne il futuro.
L’alleanza turco-israeliana
L’età dell’oro dei rapporti turco-israeliani comincia con gli accordi militari del 1996. Tale alleanza era destinata a rappresentare il bastione di cerniera degli USA (patrocinatori degli accordi) in Medio Oriente. In questo periodo il potere della Repubblica turca è in mano ai militari, storici protettori dell’idea kemalista di Stato turco, caratterizzata da una visione laica e modernizzatrice della vita nazionale.
Ma la vittoria nelle elezioni parlamentari 2002 del partito islamico moderato Giustizia e Sviluppo (AKP) ha segnato una significativa svolta nella vita politica del Paese. L’AKP gode di un ampio consenso democratico e dal 2002 le “due anime” della Turchia rappresentate dai militari e dal governo sono in aperto conflitto tra tentativi di colpi di Stato, e tentativi del governo di limitare con il processo legislativo l’influenza dei guardiani del kemalismo. L’eclissamento dei militari, artefici dell’alleanza con lo Stato di Israele, e l’ascesa di un governo che vede nell’Islam una risorsa strategica e non un limite, getta le prime ombre sul futuro di questa relazione.
Nel 2004 le relazioni diventano tese in seguito all’assassinio da parte di Israele di uno dei leader di Hamas, lo sceicco Yassin, per poi tornare alla normalità nel 2005 con il ritiro israeliano da Gaza e la visita di Erdogan a Gerusalemme. La cooperazione tra i due Stati continua, infatti in occasione di questa visita vengono stipulati accordi commerciali significativi. Anche l’atteggiamento filopalestinese della Turchia in questa occasione è ancora tiepido.
2006\2008 vittoria elettorale di Hamas, tesi i rapporti. Distensione durante il dialogo tra Israele e Siria intermediato dal governo turco.
-2008\2009 l’operazione Piombo Fuso riporta tensione nella relazione: i negoziati Siria-Israele falliscono, di riflesso anche la Turchia come mediatore fallisce. A settembre il governo turco chiede a quello americano di revocare la partecipazione di Israele all’esercitazione congiunta delle forze aree dei paesi NATO che si tiene annualmente in Turchia. Gli israeliani allora fecero ammenda sottolineando pubblicamente quanto siano importanti le relazioni turco-israeliane e la cosa venne superata.
-2010 A gennaio si verifica un grave incidente diplomatico: a seguito della trasmissione sulla tv turca di una serie, "La Valle dei Lupi", dove apparivano agenti del Mossad trucidare bambini palestinesi, il vice-ministro degli esteri israeliano convoca l’ambasciatore turco in Israele per chiedere chiarimenti. L’ambasciatore viene ripreso dalle telecamere mentre aspetta per ore in un corridoio senza ricevere nessun tipo di attenzione, poi una volta ricevuto lo si fa accomodare su una poltrona più bassa di quella del suo interlocutore. Il video dell’umiliazione viene poi trasmesso sulla tv israeliana e rilasciato nel web. Ankara minaccia di ritirare il suo ambasciatore in Israele, il vice-ministro israeliano porge le sue scuse ma precisa di averlo fatto solo per rispetto della richiesta del Presidente israeliano Shimon Peres.
Volendo fare un riepilogo, l’alleanza tra i due Stati nasce dal lato turco per stringere i legami con gli USA e da parte israeliana per l’importanza strategica del Paese (la Turchia confina con Siria, Iraq e Iran ed ha una buona capacità militare). L’ascesa dell’AKP cambia però le idilliache condizioni di partenza. Dal 2002 cominciano i problemi e, mentre per Israele la Turchia rimane un alleato prezioso, per il governo di Erdogan la relazione con Israele diventa sempre più scomoda alla luce dei mutati interessi strategici. Nel frattempo la Turchia si preoccupa anche di continuare ad essere importante per gli americani ritagliandosi nuovi ruoli, stringendo nuove “amicizie”. Vicine e lontane.
La politica estera della Turchia di Erdogan si basa sempre più chiaramente su 2 pilastri o meglio, su 2 tavoli dove la Turchia cerca di giocare contemporaneamente:
1. Buoni rapporti con l’occidente: cercare di non peggiorare i rapporti con l’UE e rimanere utile all’alleato americano. La Turchia ha capito quanto è difficile essere ammessa nell’ Unione Europea ma crede sia importante continuare a ricordare di tanto in tanto quanto ci terrebbe a diventarne membro. Per la Turchia è importante essere considerata dall’Occidente come un fattore stabilizzante e pacificatore dell’area mediorientale. Per la Turchia è importante ritagliarsi un nuovo ruolo di utilità per l’alleato americano, fuori dal copione a senso unico "Turchia-Israele: amici del cuore". 2. Linea neo-ottomana: gli sforzi principali in politica estera sono volti alla massimizzazione dell’influenza turca nel mondo arabo: l’islam non come limite ma come risorsa.
Sia dal punto 1 che dal punto 2 deriva che la relazione turco-israeliana entra in crisi ogni volta che azioni israeliane destabilizzano la pace nella regione o danneggiano gli arabi palestinesi, intralciando il disegno strategico turco.
Nuove geometrie...
In merito alla politica neo-ottomana, Ankara nel 2003 ha negato agli Stati Uniti la possibilità di aprire dal Kurdistan un secondo fronte nella guerra irakena. Nel 2005 ha rifiutato di partecipare ai tentativi USA volti ad isolare internazionalmente la Siria. Nel 2008 Turchia e Iraq hanno istituito un Consiglio di cooperazione strategica che ha già tenuto la sua prima riunione. Dal 2009 al 2010 i colloqui tra Siria e Turchia hanno portato alla firma di due importanti accordi riguardanti l’apertura del confine turco-siriano allo spostamento di merci e persone senza visto d’ingresso e la creazione di un Consiglio di cooperazione strategica che si riunirà annualmente. Questa apertura alla Siria ha permesso ad Ankara di guadagnarsi le simpatie dell’Iran (la Siria è alleato strategico iraniano). Simpatie che si manifestano oltre che negli incontri turco-iraniani anche nella "solidarietà" espressa nelle prime battute della vicenda della Flotilla e nel voto del Consiglio di Sicurezza ONU per imporre nuove sanzioni all’Iran (Turchia e Brasile unici Stati a votare contro le nuove sanzioni). Da queste pennellate sembrerebbero delinearsi nuove geometrie mediorientali totalmente a sfavore di Israele che potrebbe vedere nascere un asse turco-iraniano.
...e vecchi stratagemmi
Ma un’analisi più attenta della situazione non può tacere i vincoli che legano la Turchia all’occidente e ad Israele e che, invece di prefigurare la formazione di un asse con l’Iran, risaltano le potenzialità di una competizione per l’influenza regionale tra Teheran e Ankara. Proviamo a metterli sull’altro piatto della bilancia. E’ vero che AKP gode di un vasto consenso nel Paese e sempre più nella regione, ma è anche vero che finchè nel sistema turco i militari avranno così tanto potere, un vero sganciamento dall’occidente potrebbe avvenire solo al prezzo della guerra civile. La Turchia è membro della NATO. La Turchia sotto la direzione dell’AKP ha visto accrescere i suoi scambi commerciali con Israele del 153% sfiorando i quattro miliardi di dollari. L’avanguardia tecnologica negli armamenti turchi proviene da Israele. La Turchia è sunnita. Il futuro geopolitico della Turchia dipende anche dai gasdotti che dovrebbero passare sul suo territorio. Queste non sono briciole, son macigni. Ne deriva che quella in atto non è una rivoluzione della geopolitica turca, ma solo un cambiamento di profilo di un Paese che rimane nel suo ruolo. La Turchia, in forza di questi vincoli, è saldamente ancorata a Washington e ...ad Israele. Grazie alle relazioni instaurate con Siria, Iraq e Iran, la Turchia è però uno strumento più agile nelle mani della Casa Bianca e risulta molto utile nell’instaurazione di dialoghi con questi attori (in merito alla Siria, perseguendo l’obiettivo di spezzare l’asse Damasco-Teheran, gli USA muovono canali turchi, così come in merito al nucleare iraniano) e quindi ben venga che la Turchia coltivi il suo orticello.
Nel complesso, ci pare che la Turchia si sia oggettivamente allontanata dall’occidente in questo decennio e abbia plasmato un notevole spazio di manovra per la sua politica estera, ma anche che questo non sia sufficiente a permetterle di saltare oltre la siepe nel medio periodo. Ne deriva che Washington e Ankara si trovano tra le mani un bel teatrino dove possono giocare a poliziotto buono\poliziotto cattivo con ruoli intercambiabili e reciproci vantaggi.
Nell’affare Marmara e nei confronti di Israele, la Turchia sta giocando il ruolo del poliziotto cattivo e gli USA quello del poliziotto buono. Obiettivo: convergere nell’ ammorbidimento di un Israele ormai troppo rigido. Per il governo turco l’affare Marmara sarà sfruttato per ridimensionare Israele e rafforzare il consenso, dunque, ribadiamo che a nostro parere non ci saranno brusche virate della politica estera turca. Anche questa volta cose come ” rilanciare il processo di pace”, “fare luce sull’accaduto”, porgere alla Turchia parole che suonino simili a scuse, sono le opzioni che possono tirar fuori Israele dalla scomoda situazione in cui si è cacciato e sono le parole magiche che USA e Turchia vogliono sentire. Israele non può permettersi di perdere la Turchia ed è preoccupata per questa eventualità e non può perdurare in un simile atteggiamento nei confronti di Washington. Le forze dunque sembrano spingere tutte nel senso dell’ottenimento di un ammorbidimento israeliano e dunque credo sia quello che in qualche modo avverrà, ma l’irrazionalità psicotica del governo Netanyahu potrebbe disattendere questa proiezione e far ulteriormente sprofondare Israele, questa volta, in un baratro più profondo.
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11\06\2010
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