Gaza nella memoria

Si spara sulle scuole e sugli ospedali, e si intimoriscono le delegazioni diplomatiche (caso Jenin) con spari che hanno la funzione di ricordare che i “padroni” non temono nessuno. Ricordiamo cosa diceva Primo Levi...
La reazione di Israele all’attacco subito il 7 ottobre 2023 da parte di un gruppo di terroristi palestinesi è in corso, non se ne vede la fine, per ora, possiamo solo conteggiare i morti. Si attaccano volutamente i civili al punto che, oggi, Gaza è un cumulo di macerie sotto il cui peso militare ed etico giacciono 50.000 civili in gran parte donne e bambini. I numeri non possono certo comunicare la tragedia di ogni singolo palestinese morto o sopravvissuto preso nella rete di un dolore indicibile.
Si spara sulle scuole e sugli ospedali, e si intimoriscono le delegazioni diplomatiche (caso Jenin) con spari che hanno la funzione di ricordare che i “padroni” non temono nessuno. Si lasciano passare pochi camion per la popolazione affamata, la cui esistenza è ridotta a mera sopravvivenza senza prospettiva. I camion attendono da circa 90 giorni i permessi per portare il necessario ad una popolazione che vive il suo presente con terrore ed orrore. La grande Israele nel disegno politico di Netanyahu esige per la sua fondazione l’eliminazione del “nemico”, il quale ormai disumanizzato è solo da annientare in ogni sua traccia biologica, storica e umana. Mentre tutto questo accade l’occidente continua i suoi affari col governo Netanyahu. Si discute, se è in atto un genocidio o un immane massacro d’innocenti, la cui colpa è di essere palestinesi e di vivere sulla propria terra. Questioni inutili, in quanto la definizione, qualunque essa sia, nulla toglie alla gravità degli atti che si consumano. In occidente tutto tace.
Ogni anno si ripete la giornata della memoria e ogni giorno si inaugurano mostre a ricordo dei genocidi, ma il presente è ignorato e sconosciuto. Si continua a vivere l’esistenza ordinaria senza che una tale realtà entri nel quotidiano e si trasformi in agire politico e in concetto. La cancellazione della memoria è usata in modo selettivo, ovvero si ricorda il passato per cancellare il presente. Il passato è oggetto di culto liturgico, non diventa di conseguenza forza plastica e motivazionale per trasformare il presente. Il “ricordo” è un rito da consumare in taluni giorni prescritti dal sistema senza legame alcuno col presente. Si anestetizzano, in tal modo, le coscienze, mentre a Gaza, e non solo, si perpetrano eccidi e violenze. Il genocidio, in corso, è sugli schemi; le immagini si susseguono; le notizie sempre più allarmanti ci raggiungono, ciò malgrado prevale un mortifero fatalismo. È lecito chiedersi cosa fare dinanzi ad una realtà di tal genere nella quale il “bene e il male” si confondono fino ad inabissarsi nella pubblica indifferenza.
Memoria e colpa
Memoria e colpa devono essere scisse. Senza tale lavoro dello spirito che non può che essere politico e collettivo si resta prigionieri dei processi di derealizzazione. Ci si astrae dal presente e si percepiscono gli eventi all’ombra di ciò che fu, mentre il presente macina i suoi orrori. In primis noi non siamo colpevoli, per motivi anagrafici, per l’Olocausto. Il senso di colpa probabilmente non ci consente di essere lucidi nel giudizio di quanto sta accadendo a Gaza e permette una insana tolleranza verso i crimini che in questi decenni i governi israeliani hanno commesso, malgrado l’ONU sia intervenuta e abbia denunciato il 13 marzo 2025 che nella Striscia di Gaza si commettono “atti di genocidio”.
Abbiamo il dovere di ricordare l’Olocausto e gli Olocausti, ma noi non siamo colpevoli, pertanto il senso di colpa non ci deve consentire di essere tolleranti verso i crimini che si consumano a Gaza, in quanto il popolo ebraico ha subito un immane Olocausto. Il senso di colpa e l’associazione Israele-Olocausto, ci induce a sottovalutare quanto accade, poiché percepiamo Israele come vittima dell’Olocausto. Nessun popolo può giustificare lo sterminio di un altro popolo per il genocidio subito, anzi la violenza subita dovrebbe trasformarsi in prassi di “inclusione e di comunità calda”. Per comunità calda si intende un popolo che include le differenze. Naturalmente solo la reciprocità può costruire ponti etici e di integrazione. La memoria è “il sale del concetto”, essa dev’essere d’ausilio, affinché con nostro impegno nessun popolo possa rivivere la tragedia dell’Olocausto. La memoria è orizzonte volto al presente, essa raccorda il presente con il passato e apre ad un futuro “a misura di ogni essere umano”.
Siamo colpevoli, dunque, se permettiamo che l’Olocausto si ripeta, in quanto viviamo nel nostro tempo storico e siamo responsabili di quanto accade nel nostro orizzonte di possibilità. Se ci liberiamo dal senso di colpa possiamo diventare “prospettiva attiva” della storia all’interno della quale ritrovare spazi per umanizzare le relazioni politiche e contenere le spinte alla disintegrazione e all’annientamento di qualsiasi popolo e differenza. La memoria è consapevolezza di ciò che è stato, essa è il paradigma con il quale riconoscere pericoli e crimini e intervenire debitamente, viceversa una memoria sclerotizzata nella colpa, è fuga dalla realtà, fino al punto da diventare complice inconsapevole. La colpa deve guidarci nel presente, siamo colpevoli, se non agiamo, mentre si perpetra un crimine contro l’umanità e contro i popoli.
Ribadisco: le colpe del passato appartengono a coloro che commisero i crimini, non a noi, e da quelle colpe e dalle sofferenze inaudite che furono inferte non discende nessuna accondiscendenza per i popoli che hanno subito l’impensabile. Abbiamo il dovere della memoria per individuare nel nostro presente le dinamiche che come allora portarono all’inaudito. La memoria dev’essere l’argine collettivo, affinché non si ripetano crimini, questa è la nostra responsabilità e se manchiamo ad essa può diventare la nostra colpa. La memoria sclerotizzata nel “senso di colpa” non elabora domande, ma si limita a piegarsi agli eventi storici ridimensionandoli per le colpe del passato. Il silenzio della ragione non porta ad osservare criticamente i diversi pesi e misure con cui si giudicano i crimini dei governi. Per la Russia sono stati sanciti sedici pacchetti di sanzioni, per Israele nulla. La contraddizione non è oggetto di analisi, ma si sorvola, mentre Gaza brucia. Protestare contro i crimini che si perpetrano contro i palestinesi non significa essere contro Israele, ma semplicemente essere dalla parte delle vittime e della diplomazia.
Primo Levi e l’invasione del Libano nel 1982
Primo Levi denunciò l’invasione del Libano nel 1982, egli ebreo italiano che aveva vissuto l’Olocausto ci insegna ancora oggi che la memoria è forza etica senza la quale non c’è futuro, perché essa consente di rendere l’esperienza trascorsa paradigma etico con cui valutare il presente senza l’inganno delle appartenenze, in quanto tutti siamo prima di tutto “umani”, al di là delle differenze fortuite o deliberatamente scelte:
“ Attribuendo agli ebrei della Diaspora il compito di educare gli israeliani ai valori dell’ebraismo, lei si tirerà addosso molte reazioni stizzite. Non era il contrario? Non era Israele a infondere forza e sicurezza in tutti gli ebrei del mondo?
Purtroppo si deve parlare di un rovesciamento. Alla fonte da cui traevano forza gli ebrei della Diaspora, oggi traggono motivi di riflessione e di travaglio. Per questo parlo di eclissi, spero momentanea, del ruolo d’Israele come centro unificatore dell’ebraismo. Noi dobbiamo appoggiare Israele, come ci chiedono anche le sue sedi diplomatiche, ma dobbiamo altresì fargli sentire il peso numerico, culturale, tradizionale, perfino economico della Diaspora. Abbiamo il potere e anche il dovere di influire in qualche misura sulla politica israeliana.
In che direzione?
(…) Credo che vada sollecitato il ritiro dal Libano. Altrettanto urgente è bloccare i nuovi insediamenti ebraici nei territori occupati. Dopo di che, come già dicevo, va cautamente ma decisamente perseguito il ritiro dalla Cisgiordania e da Gaza (…).
Due anni fa, dopo l’invasione del Libano, lei diede vita insieme ad altri ebrei italiani a una protesta pubblica contro il governo israeliano. È l’indignazione, dunque, la molla che può unire gli ebrei della Diaspora?
Parliamo, più pacatamente, di disapprovazione. Sì, quella è una molla, anche se io ho sempre idealmente davanti a me l’israeliano che mi rimprovera “fai presto tu, ebreo italiano in poltrona, a decidere per noi!”. Eppure insisto. La storia della Diaspora è stata, sì, una storia di persecuzioni, ma è stata anche una storia di scambi e di rapporti interetnici, quindi una scuola di tolleranza (…)” [1].
Alla violenza che sembra ineluttabile bisogna opporre la denuncia, in quanto l’indifferenza e la rassegnazione non possono, oggi, che implicare la colpa verso bambini e donne che consumano le loro esistenze vittime di disegni egemonici di cui nulla sanno e nulla conoscono. La storia necessita dello “scandalo etico”, senza tale postura i crimini non possono che scorrere nell’indifferenza dei giorni. La memoria non è mummificazione del passato per astrarsi dal presente, ma scandaglio etico per comprendere il presente e difendere il valore di ogni vita e di ogni popolo:
"Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo”.
Le parole di Primo Levi ci riportano al nostro presente, e dovrebbero risuonare, come imperativi etici, per l’umanità tutta, al fine di rammentarci che responsabilità e colpa hanno valore nel tempo storico vissuto. Indifferenza e superficialità sono il lievito della violenza e, contro il male che serpeggia e si ripresenta, dobbiamo far sentire la nostra voce senza pregiudizi e senza stereotipi in difesa di ogni vita e della dignità di ogni essere umano.
[1] PRIMO LEVI, intervistato da GAD LERNER, in: Riflessioni blog di Francesco Macri.
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