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Finalmente si parla di Messina

Deputati regionali sotto processo, accordi segreti mafiosi, insabbiamenti non solo portuali. E tanta, troppa, disperazione che vaga per le strade di questa città.

di Piero Buscemi - mercoledì 15 novembre 2017 - 5667 letture

Si ritorna a parlare di Messina. Qualcuno potrebbe affermare: e finalmente! Peccato che, quando si tratta della città dello Stretto, salvo qualche raro caso di successo sportivo, vedi Nibali, o qualche fenomeno naturale di essenza mistica, vedi Fata Morgana, il tutto si traduce in qualcosa di negativo, se non di tragico, tanto che i dovuti scongiuri della tradizione peloritana, diventano inutili.

Spaziando invece sull’aspetto negativo della cronaca messinese, gli argomenti di discussione sono talmente tanti da costringerci a fare una cernita molto selettiva, in base alla priorità del momento. Sarà perché in questa città c’è una sorta di autocommiserazione, incrociata spesso con un orgoglio narcisista. Sarà il vento che si incunea, praticamente tutto l’anno, in quella sorta di galleria naturale, degna dei migliori simulatori di ultima generazione, che stramma i cittadini, barcollanti tra una voglia di manifestare i propri diritti e la tradizionale richiesta di mediazione professionale di pseudo esperti in materia di società civile.

Si, perché è consuetudine pensare che, quanto già stabilito e legalizzato da norme già in vigore, sia nella pratica una richiesta di questua burocratica, sostenuta da norme nazionali che obbligano una cittadinanza sempre più anziana, a ricorrere ad uffici e personaggi di dubbia competenza, per ottenere quanto promulgato dopo una efficace campagna elettorale, sempre più ricca di promesse ed inni votati all’innalzamento delle condizioni medie degli abitanti, tendenti verso il basso.

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Messina Palazzata Simone Gullì

Appare, quindi, scontato o rassegnante apprendere nuove notizie di cronaca cittadina che si vanno ad accodare con le altre. Molte volte non si ha il tempo di metabolizzare l’evento sconvolgente del momento, che già uno nuovo spinge per occupare l’attenzione mediatica e della collettività. Accade così che, mentre si sta commentando l’arresto del neo-deputato Cateno De Luca, accusato di evasione fiscale, già il giorno dopo un maxi-sequestro di società messinesi e beni immobili per circa 8 milioni di euro, occupa le prime pagine della stampa locale e nazionale.

La notizia non sorprende nessuno, né tanto lo pretenderebbe. Niente di così eclatante o al di fuori da una situazione nazionale che, ormai da troppi anni, si è trasformata in regola quotidiana. Appalti truccati, bilanci gonfiati, mazzette, accordi occulti, riciclaggio di denaro di dubbia provenienza. Quindi, cosa di nuovo può rappresentare l’ennesima retata, l’ennesima confisca o i soliti meccanismi sporchi scoperchiati dalle indagini della magistratura?

Ci siamo tanto abituati a questo stato di cose che, neanche quando un gruppo di fedelissimi manifesta sotto casa dell’ultimo inquisito, a difesa dell’inquisito ovviamente, restiamo costernati da un metodo di gestire la propria vita e quella degli altri. Perché il danno, sia chiaro, non lo subisce soltanto la parte di società civile che si illude ancora di poter cambiare le cose, ed in meglio. Questa mentalità perversa, che rasenta una convinzione di onnipotenza autoriconosciuta, inevitabilmente si ripercuote sulle generazioni future, a partire dagli stessi eredi naturali di chi si riconosce in questo stile di vita.

Siamo convinti che coloro che hanno deciso di poggiare la propria esistenza su quel sottile filo di equilibrio, dal quale inevitabilmente sono propensi a cadere nell’illegalità, non dovrebbero avere diritto a procreare. Scegliere di condurre un’intera vita tra compromessi sporchi che passano da strette di mano, passaggi di capitale, gente che compra e gente che si fa comprare, dovrebbe rimanere una scelta personale, senza la presunzione di creare una continuità di intenti con i propri figli. E’ un atto egoistico al quale diventa impossibile sottrarsi. Come un destino tracciato ed insindacabile che comporta conseguenze già dalla nascita, tra rischi oggettivi di vendette trasversali e guerre di territorio a colpi di voti elettorali.

Ci viene in mente, a volte i film riescono a semplificare i messaggi che si tenta di trasmettere ai lettori, una scena memorabile contenuta nel "Così parlò Bellavista" di Luciano De Crescenzo. La scena che immortala l’estortore napoletano nell’azione di chiedere il pizzo ad un commerciante. Lo stesso De Crescenzo, interpretando il padre della ragazza titolare del negozio, vessata dal camorrista, chiede allo stesso se, gli stati emotivi di stress provocato da una quotidiana fuga dalle forze dell’ordine, lotte rivali, familiari ammazzati e il rischio ricorrente di rimanere vittime di un regolamento di conti, non rappresenti la conferma di fare proprio una vita di merda.

Una vita di merda che vivono anche quei potenti detentori degli affari sporchi di una città come Messina, sempre più spenta e amorfa, che da decenni vive di ricordi nostalgici di antico splendore che non ricorda più nessuno e gli stessi protagonisti che l’hanno vissuto, non possono neanche più suggerirci gli esempi del passato da emulare non essendo più in vita.

Quello che sfianca le speranze e gli inflazionati sogni di cambiamento, è constatare un appiattimento di idee ultradecennale che non consente più di distinguere il settantenne venduto alla rassegnazione dal trentenne al quale hanno affibbiato un domani. Chi ha vissuto a Messina e nella sua provincia negli ultimi cinquanta anni, ed ha avuto occasione di vivere per un periodo della sua vita in altre città o all’estero, ha mantenuto il ricordo di un potere occulto custodito dentro gli studi medici di paese, spesso dissimulante di un ruolo da sindaco, o di quelli di un professionista qualsiasi, tra avvocati, disbriga pratiche, intermediari e segretari di partito a raccogliere richieste d’aiuto di una cittadinanza stretta al collo da percentuali di disoccupazione a doppia cifra.

Una situazione che, al rientro nei luoghi di origine, ha trovato la conferma di continuità accennata sopra, con nuovi personaggi a fare la coda fuori da questi dispensatori di speranze e, più di quanto si pensa, gli stessi potenti ad occupare gli stessi ruoli degli anni precedenti.

Ci permettiamo di fare una considerazione, associata alla precisazione che non per un motivo campanilistico stiamo analizzando questi argomenti trattando di Messina, visto che basta cambiare il nome della città nella didascalia e chiunque a qualsiasi latitudine potrebbe raccontarci una storia simile. Una considerazione ripetitiva, demagogica, banale, quasi nauseante che, ancora una volta, ci fa affermare che da tempo i "potenti", che siano vestiti da politici, da mafiosi o ricettatori di vite, hanno da sempre la coerenza nei loro atteggiamenti e nelle loro scelte. Quello che, purtroppo, ci sorprende ancora, è questa assurda uniformità da parte della gente comune che, lo ribadiamo, ha scelto. E lo ha fatto anche per chi verrà dopo.


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