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Ferzaneide al Taormina Film Festival

Un monologo confidenziale del regista Ferzan Ozpetek in occasione della 68° edizione del Taormina Film Festival

di Piero Buscemi - lunedì 27 giugno 2022 - 4894 letture

Come si diventa Ferzan Ozpetek? Già la domanda innesca un numero imprecisato di congetture e difficilmente si arriverebbe a delle risposte sensate senza una reale conoscenza del personaggio Ozpetek, fuori dagli schemi congeniali dell’autore di cinema ai quali siamo abituati da qualche decennio.

L’artista ha deciso però di venirci incontro. Per farlo si è ritagliato un ruolo quasi inusuale, diciamo meno conosciuto al grande pubblico, quello dell’ironico regista che si veste da comico e si impadronisce della scena per almeno un’ora. Il regista turco, o forse turco-italiano o, addirittura italiano-turco come ci ha scherzato su durante il suo monologo. Una cadenza che ha ormai molto poco del Bosforo e molto delle borgate romane, quella cadenza che chiunque si ritrovi a vivere nella città capitolina acquisisce come un "virus" dialettico senza neanche sforzarsi troppo.

Ozpetek si è fatto un po’ attendere, a dire la verità. Già l’orario previsto dal programma, che prevedeva il suo arrivo al Pala Congressi alle 18,30, era slittato alle 19. Di fatto il regista è salito sul palco intorno alle 19,20 facendosi subito perdonare per il ritardo avviando una sua confessione amichevole e intimistica, consegnandosi al pubblico presente senza freni inibitori, più di quanto ha dimostrato nei suoi film.

Solo un grande personaggio, aperto a qualsiasi confronto e giudizio, elementi indissolubili da quella intelligenza messa al servizio del cinema, può permettersi il lusso di mettersi a nudo, mostrando e raccontando le sue ingenue ambizioni, le sue aspettative da artista, le sue delusioni. Arricchendo il tutto con la naturalezza e la schiettezza di chi ha deciso di raccontarsi nella sua pienezza, anche sessuale.

Ferzan Ozpetek ci ha addentrato nel suo percorso di vita, non solo artistica. Le ispirazioni tratte dal suo quotidiano che lo hanno portato a scrivere quelli che, oggi, è davvero riduttivo considerare solo capolavori. Il regista ce li mostra attraverso le locandine dei film e gli aneddoti personali, dentro i quali hanno trovato spazio la madre, figura emblema di una vitalità trascinata fino alla morte che ha saputo trasmettere al resto della famiglia come unico spirito da emulare per godersela a pieno, nonostante gli inevitabili imprevisti, a volte anche dolorosi.

Il rapporto con il padre che lo ha denigrato nelle sua scelta artistica, considerandolo da sempre come destinato al fallimento e affidato alla clemenza economica dei fratelli. E poi le sue amicizie più intime, quelle che ritroviamo nelle sequenze dei film, quelle storie di ambiguità e di contraddizione, dove il nero si tinge di bianco e, forse, non riesce mai a essere neanche un grigio.

Un messaggio è trapelato in quella mezz’ora di monologo nella quale siamo stati coinvolti: la vita è imprevedibile, dura, complicata da interpretare. Fonte inesauribile di ispirazione che nessun film riuscirà mai emulare completamente. Meritevole di essere vissuta con il completo coinvolgimento, non precludendosi nessuna esperienza e, soprattutto, rimandendo sempre se stessi.

Perché le storie sono lì davanti agli occhi di tutti, tra le persone che si frequentano tutti i giorni, tra le parole che si ascoltano distrattamente, tra gli sguardi di intesa che il mondo ha paura di scambiarsi. Basta saperle raccogliere e qualsiasi vita è già un capolavoro. Il regista è il miglior ladro di storie. Acclamato e perdonato, specialmente quando un poeta delle immagini sa trasformale nelle nostre storie.

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Red Carpet
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Mostra fotografica
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Ferzan Ozpetek
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Il Bagno turco
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Il pubblico in sala
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Le Fate Ignoranti
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Saturno contro
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Mine vaganti
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Un momento del monologo
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La madre
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Ozpetek saluta il pubblico


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