Ferrovie: Spolpate sino all’osso
"Qualcuno ebbe a dire, forse Andreotti, che in Italia ci sono due tipi di pazzi: quelli che sono in manicomio e quelli che pensano di poter risanare le ferrovie..."
Mauro Moretti è uno della gavetta, solo che la gavetta non l’ha fatta tra i ferrovieri, in mezzo ai binari o sopra i treni, bensì nel sindacato, per essere precisi nello SFI, poi FILT-CGIL, prima di transitare, come premio alla carriera, a dirigere una delle strutture della nuova Holding, e da alcuni mesi, divenire nuovo Amministratore delegato dell’intero gruppo.
In questa veste, proprio in questi giorni ha lanciato l’allarme sulla situazione finanziaria di Trenitalia, che abbisogna di oltre 6 miliardi di euro, per mantenersi in piedi - ecco qui tutto lo spirito delle privatizzazioni - occorre che lo Stato rilanci i finanziamenti. Ma oltre a più soldi pubblici per un’azienda che nello spendere e spandere ha sbandierato la sua natura privatistica, Moretti ha individuato altre due "soluzioni": aumento delle tariffe ferroviarie e riduzione ulteriore del personale del gruppo.
Sui perché della crisi, sui percorsi che hanno condotto una società che agisce in regime di quasi monopolio il trasporto su rotaia, nessun accenno.
Proviamo a individuare le cause, premettendo che qualsiasi logica vuole che non possano esistere aziende ferroviarie non in perdita; neanche le più efficienti e moderne lo sono, figuriamoci la sgangherata Holding italiana, che assomiglia più al corpo di un animale ferito su cui si affannano sciacalli, iene ed avvoltoi sotto forma di appaltatori, politici, sindacalisti in carriera, ognuno per appropriarsi di un po’ di polpa. Solo che adesso la polpa si è quasi esaurita, e giunti alle ossa, si vuole scaricare tutto sui conti pubblici, l’arrivo dei quali ridarà sollievo all’animale ferito, mentre i parassiti attenderanno che si rimetta in sesto per rituffarsi sul suo martoriato corpo.
Qualcuno ebbe a dire, forse Andreotti, che in Italia ci sono due tipi di pazzi: quelli che sono in manicomio e quelli che pensano di poter risanare le ferrovie. Io mi permetto di dissentire sul primo riferimento, ma sul secondo sono pienamente d’accordo.
La crisi quasi mortale delle ferrovie rappresenta in tutta la sua essenza il fallimento della politica delle privatizzazioni delle grandi aziende; fallimento che è sotto gli occhi di tutti non tanto per le cifre fornite da Moretti, quanto per lo stato comatoso in cui versa la rete italiana, in modo particolare tutte le tratte del Mezzogiorno e le altre di interesse regionale e locale; stato che adesso comincia a contaminare anche i cosiddetti gioielli di famiglia, le linee ad alta velocità e gli eurostar. Mentre al vertice proseguiva la spartizione di cariche prestigiose e la distribuzione di amici, sindacalisti, compari di partito e manager di dubbia professionalità in materia, nei posti delle centinaia di consigli di amministrazione di società, sottosocietà, partecipate e compagnia bella, decenni di abbandoni hanno fatto sprofondare una situazione che si diceva di voler rafforzare. A fianco, l’interesse concentrato sulle Grandi Opere (a luglio un altro miliardo o 800 milioni per tenere aperti i cantieri nel 2006), sull’immagine, sul patinato, che hanno fatto salire le uscite, mentre diminuivano drasticamente le entrate. E sì, perché la cosiddetta "modernizzazione" delle ferrovie italiane non ha portato ad un aumento del traffico merci o viaggiatori, a fronte di ingentissimi investimenti. Il costo del lavoro è diminuito, causa l’eliminazione di oltre il 60% dei posti di lavoro. La sicurezza è andata a farsi benedire, essendo una "voce" a perdere, che poteva entrare nei bilanci soltanto nel capitolo delle economie di spesa. Il tutto mentre la concorrenza si organizzava, con voli aerei a basso costo, con servizi di autolinee a lunga percorrenza, con lo sviluppo del trasporto via mare.
Un fallimento annunciato, iniziato con la Riforma delle FS nei primi anni ’80 e poi con la divisionalizzazione; percorsi realizzati con fondamentale supporto dei maggiori sindacati, che hanno approvato contratti a perdere funzionali alla ristrutturazione in atto ed hanno rappresentato un serbatoio di dirigenti per i nuovi posti manageriali; uno scambio osceno e sotto gli occhi di tutti, che è stato anche denunciato dai ferrovieri e dai loro sindacati di base, ma forse, senza quella forza necessaria che il caso avrebbe richiesto.
Oggi Moretti propone i soliti accorgimenti, cioè far pesare il fallimento in atto sui cittadini-clienti e sui ferrovieri, chiedendo (ed ottenendo già nella finanziaria) nuovi stanziamenti, ma senza una strategia di rilancio del trasporto ferroviario che porti, attraverso una pianificazione seria, ad un aumento delle quote di traffico, quindi ad un decongestionamento delle strade. Non è previsto alcun intervento serio in materia, né da parte del governo, alcuna politica di "imposizione" di quote minime di trasporto su rotaia, come contributo italiano alle politiche ambientali. Anzi, le dichiarazioni di Cipolletta, neo presidente della Holding, seguite a quelle di Moretti, sono ancora rivolte al proseguo delle strategie sin qui seguite: completamento dell’Alta Velocità entro il 2009. Come faranno non lo sappiamo, vista la grande opposizione in atto sia in Valle Susa che in altre aree interessate, ma è certo che le loro attenzioni sono sempre rivolte a placare l’appetito delle grandi aziende appaltatrici.
La realtà è davvero sconcertante: mentre si chiudono i gabinetti nelle stazioni (cosa che non sarebbe permessa nemmeno ad un chiosco di gelati, in quanto esercizio commerciale), si danno 7 milioni di euro di liquidazione al signor Catania, presidente in quota AN degli ultimi anni. Nessun manager viene chiamato a restituire le generose prebende per i risultati fallimentari della propria gestione. Cimoli, col malloppo della sua liquidazione, è andato a far danni all’Alitalia, la quale, è quasi fallita, ma domani lo dovrà liquidare con un’altra cifra milionaria.
La situazione è tale che oggi si impone una lotta, sia dei ferrovieri che di tutti i soggetti politici e sindacali esterni od interni alle ferrovie, per denunciare la politica delle (finte) privatizzazioni e per chiedere una ferrovia pubblica e sociale. Questo vuol dire rilanciare le lotte sul territorio, contro l’abbandono e per l’ammodernamento, lotte che vanno contro la politica di Alta Voracità per imporre il rispetto del territorio ed un trasporto al servizio dei lavoratori, dei disoccupati, delle realtà produttive. Lotte di questo tipo se ne svolgono ovunque in Italia; proprio sabato 11 novembre, in Sicilia, una marcia a piedi tra le città di Modica e Ragusa, ha ricompattato un vasto fronte sindacale, politico, associativo, per l’ammodernamento di una delle ferrovie più bistrattate d’Italia, la Siracusa-Ragusa-Canicattì, ancora a binario unico e non elettrificata; in questo modo si aggirano le scelte dei vertici delle FS e si tenta di accerchiare le loro strategie fallimentari.
Perché se c’è qualcosa che è fallito, sono proprio le pretese imprenditoriali applicate ad un servizio pubblico e complesso come questo; sono le pratiche concertative di sindacati e politici, al servizio del capitale privato.
Da: Umanità Nova, n 38 del 26 novembre 2006, anno 8
http://www.ecn.org/uenne
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