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Eutopia, Utopia o Distopia? Oltre i confini di ogni immaginabile realtà

Un cambiamento d’epoca è di per se stesso traumatico e, di conseguenza, l’Utopia creata dai nostri sogni è l’unica forma di Speranza e di protesta che abbiamo.

di Evaristo Lodi - sabato 14 giugno 2025 - 527 letture

Eutopia, Utopia o Distopia [1].

Tre parole assonanti ma per niente simili, con significati che hanno accompagnato il genere umano fin dalle origini e che oggi ci suggeriscono un timore reverenziale. In effetti, sono tre parole fortemente connesse fra di loro.

Il significato della prima sembra essere un mistero ma se cerchiamo di capirne la genesi, scopriamo che il suo scopo è stato creato per rendere concreto l’ideale e naturale tendenza dell’uomo di spingersi verso l’assoluto, per creare una vita migliore, un mondo più umano. Il primo paradosso è quello fornito dalla Torre di Babele, libro della Genesi, dove si vuole tendere all’assoluto, minimizzando i rischi connessi che porteranno al crollo e al fallimento di quell’opera umana progettata per un mondo migliore. I presupposti erano però leciti: mantenere l’umanità unita e non disperderla sulla faccia della terra creando inimicizie, contrapposizioni, rivalità, genocidi e guerre a cui, purtroppo, assistiamo ancora oggi. La diffusione del cristianesimo, con la sua Utopia contagiosa, ha permesso un altro cambiamento: la fine dell’impero romano e la turbolenta frammentazione dei poteri a cui anche la Chiesa ha partecipato.

Poi i secoli trascorrono e giungiamo al passaggio dal Medioevo a una nuova Epoca, quella Moderna. I cultori dell’arte e della filosofia mi perdoneranno se cito opere di cui non conosco praticamente nulla e, con infantile leggerezza, le storicizzo. Ogni cambiamento d’epoca è cruento perché chi detiene il potere lo vede lentamente svanire sotto i suoi piedi e lotta con tutte le sue forze per impedirne la fine. Ma l’Umanesimo e il Rinascimento italiani sono riusciti a esprimere la centralità e la magnificenza delle opere dell’uomo anche in questo momento di passaggio. L’Italia non esisteva ma esistevano i comuni, un fenomeno assolutamente italico. Proprio questi sono riusciti a inserirsi nelle pieghe del cambiamento e a idealizzare un mondo migliore attraverso le loro opere d’ingegno artistico ma anche concreto e razionale come l’architettura. La politica batteva la fiacca, anche in Italia, e si andava cercando un Principe che potesse realizzare il sogno di un’unificazione. E così si progettò la città ideale, il luogo eutopico dove si sarebbe potuto vivere protetti dalla violenza dell’uomo.

Ma i poteri in gioco erano troppi e tutti attenti alla loro conservazione. Le masse appoggiavano i principi, i re, i papi o gli imperatori di turno senza troppa convinzione e si lasciavano trascinare dalle onde del fanatismo conservatore e/o dal fuoco della ribellione. Anche chi era vicino ai potenti, seguiva il potere che, di volta in volta, si affermava. Chi non lo faceva rischiava di venire soppresso e l’esempio più cogente, prima della Controriforma cattolica, è quello di Thomas More, alla corte londinese di Enrico VIII°, da cui provengono le seguenti citazioni [2].

«Quando considero tutti questi nostri Stati oggi vigenti e ci rimugino sopra, la sola cosa – Iddio mi guardi! – che mi viene in mente è che si tratti d’una conventicola di ricchi, che sotto nome e pretesto di Stato pensano a farsi gli affari loro: così almanaccano ed escogitano tutti i modi e le sottigliezze che consentano, anzitutto, di conservare, senza rischio di perderlo, tutto ciò che si sono accaparrato con mezzi disonesti, poi di assicurarsi col minimo esborso la possibilità di abusare del lavoro e delle fatiche di tutti i poveri. Queste macchinazioni, una volta che i ricchi hanno stabilito di metterle in atto con pubblico decreto (e perciò anche a nome dei poveri), assumono forza di leggi».

Se poi posseggo gli strumenti razionali ed analitici per comprendere la realtà la soluzione che mi si prospetta è quella dell’Utopia, anche a costo di essere annientato per essa.

«Siamo tutti imprigionati nella prigione del mondo, condannati e soggetti alla morte; in questa prigione nessuno sfugge alla morte. […] Così, quando la prigione viene amata come se non fosse una prigione, in un modo o nell’altro la morte ci porta fuori da essa».

San Tommaso Moro aveva ben presente che l’alternativa era una Distopia apocalittica ma riuscì con la sua fede (a chi non la possiede, con i suoi ideali e le sue convinzioni utopistiche) a cogliere la speranza. «Se uno ha orecchi, ascolti! Se a uno toccherà il carcere, vada in carcere! Se a uno toccherà d’essere ucciso di spada, di spada sia ucciso! Sta tutta qui la perseveranza e la fede dei santi. [...] Sta tutta qui la sapienza.» (Apocalisse 13, 9-10, 18)

Il cambiamento d’epoca è sotto i nostri occhi e noi non vogliamo accorgercene. Ormai siamo attanagliati dall’Utopia di una società libera e democratica mentre i potenti della terra si affannano a conservare il loro potere senza cedere minimamente alle novità, anzi utilizzando le stesse per manipolare e soggiogare le masse che inconsciamente stanno avallando quelle scelte scellerate in sacrificio al benessere consumistico. Sto affermando che sia le società occidentali che, fino a qualche decennio fa si potevano ancora considerare grosso modo libere e democratiche, sia le società autocratiche e dittatoriali (che non hanno mai conosciuto la democrazia e la libertà, ad esempio la Cina e/o la Russia) non si aggrappano più a un ideale, a un’Utopia di un mondo migliore, ma al nazionalismo e alla voglia di prevalere sugli altri.

Ormai l’esercizio di trovare il colpevole, il capro espiatorio, è fuorviante e senz’altro inutile. L’inutilità dei media italiani di trovare la verità su un omicidio avvenuto diciotto anni fa è paradigmatico.

Il genocidio dei Palestinesi è un fatto. Chi comanda le popolazioni in conflitto non ha nessuna intenzione di cedere il proprio potere. Da una parte ci sono alcuni regimi che non ha mai conosciuto la libertà e la democrazia e dall’altra c’è un regime democratico e liberale che è stato fortemente voluto, sostenuto e foraggiato di armi micidiali, nei decenni seguenti la seconda guerra mondiale.

Non tutti però sono in sintonia con i governanti del mondo e, guarda caso, il dissenso proviene da ambienti più poveri, meno strutturati, da continenti che hanno visto persecuzioni di parte della loro popolazione, sia provenienti dall’esterno, sia dall’interno del proprio paese.

Leonardo Boff è uno di questi: teologo brasiliano ottantaseienne (uno dei principali esponenti della Teologia della Liberazione che si è opposta ai regimi sanguinari e militari dell’America del Sud) si aggrappa all’Utopia per protestare e per porre un freno alle macerie prodotte dall’Occidente.

Si affida all’Utopia per esorcizzare una realtà agghiacciante, una Distopia che non lascia spazio a quella Pace disarmata e disarmante che ha invocato Leone XIV° nel suo primo discorso ufficiale. La grande sfida di Boff è quella di sfidare la storia, proponendo di de-occidentalizzare e di de-patriarcalizzare la Chiesa cattolica [3].

Basta parlare di fascismo, nazismo e comunismo: sono termini che oggi sono privi di significato e, per le nuove generazioni, appartengono a un’epoca distante millenni dalla realtà virtuale che ci obbliga a essere profondamente autoreferenziali e quindi nazionalisti. Siamo convinti che la nostra identità sia l’unica Utopia possibile, l’unica degna di essere proposta come fosse la concreta possibilità di creare un mondo migliore.

Mentre scrivo, Israele ha bombardato l’Iran, creando un episodio (speriamo sia solo questo) di guerra senza precedenti.

Un cambiamento d’epoca è di per se stesso traumatico e, di conseguenza, l’Utopia creata dai nostri sogni è l’unica forma di Speranza e di protesta che abbiamo.

Un’Utopia Pacifica che sia oltre i confini di ogni immaginabile realtà, per un mondo migliore.

[1] Il Rinascimento e la città ideale: Wikipedia, Arts and culture, Finestre sull’arte. Per poi arrivare alle (E)Utopie più contemporanee che ci riguardano anche da vicino: La città ideale.eu. - La parola Eutopia è il capovolgimento della parola Utopia: quest’ultima infatti indica un mondo perfetto ma totalmente irraggiungibile. L’Eutopia, invece, è uno scenario “bello e possibile” e in Greco significa “POSTO BUONO“. Il posto buono della natura, oggi molto di moda: eutopia, in FuturePower. La Distopia, in realtà, può essere considerata il fallimento dell’Eutopia, quel fallimento cioè degli sforzi dell’uomo di creare un mondo migliore. Apparentemente la Distopia è il contrario, la negazione dell’Utopia anche se, nei cambiamenti d’epoca, ci aggrappiamo a quest’ultima per esorcizzare la tremenda realtà che ci circonda.

[2] Vedi: Tommaso Moro e la sua utopia, in: Centro studi Livatino.

[3] Vedi: Leone XIV la grande sfida.


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