Etty Hillesum Il diario di una donna ebrea
Una recensione di Simona Mafai
Etty Hillesum Il diario di una donna ebrea
La recensione-riflessione di Simona Mafai sul diario di Etty Hillesum, morta a soli 29 anni nel campo di concentramento di Auschwitz, si trova in http://medea.provincia.venezia.it/est/mafai.htm, ed è tratta dal n.9/10 dic-genn. ’99 di MEZZOCIELO rivista cartacea bimestrale di politica, cultura e ambiente pensata e realizzata da donne di Palermo.
SIMONA MAFAI, Il diario di una donna ebrea. Imparare la vita vicino alla morte.
Etty Hillesum, Diario 1941- 1943 , 1996, ed. Adelphi
Non è un libro uscito quest’anno, ma è il più bel libro che mi sento di proporre all’acquisto e alla lettura: così profondo, così sobriamente drammatico, delicato, che devo fare uno sforzo per parlarne pubblicamente.
Siamo, ancora una volta, dentro l’ultima guerra mondiale e dentro la Shoah. Ma non è un libro di invenzione, bensì un diario: il diario autentico di una giovane donna olandese, appassionata di letteratura, che si attende molto dalla vita, che sa amare gli uomini (.."ho una forte inclinazione erotica e sento un gran bisogno di carezze e di tenerezza..."), che si interroga sul proprio corpo, ha una difficile relazione con la madre, rifiuta una maternità insostenibile ("Rimarrai nella condizione protetta di chi non è ancora nato e sii riconoscente, essere in divenire...").
Una donna, apparentemente, come molte di noi.
Su di lei si abbatte il nazismo (nel 1941 l’esercito tedesco occupa l’Olanda); ed ha inizio un biennio luminoso e terrificante, dove si sviluppa il suo straordinario processo di crescita morale e spirituale ed insieme si allestisce, sasso dopo sasso, l’orrido tunnel dove sarà infilata e che la porterà alla morte (avvenuta ad Auschwitz, all’età di ventinove anni).
Entriamo trattenendo il fiato nei meandri della sua anima, seguiamo lo sforzo eroico compiuto ogni giorno per mantenersi lucida e serena. Agli ebrei viene ridotto progressivamente ogni spazio, con successive ordinanze prive di logica utilitaria, emesse solo per sadismo e per umiliarli: gli ebrei non possono comprare frutta e verdura nei negozi; non possono camminare dove ci sono alberi; non possono camminare in bicicletta; non possono prendere il tram. C’è chi muore, chi si suicida, migliaia di persone vengono condotte nei campi di concentramento. Registrando e riflettendo incessantemente su tutto questo, Etty Hillesum (questo il suo nome) è spesso presa da una preoccupazione primaria: non farsi trascinare dall’odio e continuare ad amare la vita.
"Se anche non rimanesse che un solo tedesco decente quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso...e grazie a lui non si avrebbe diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero" (15 marzo 1941).
"Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra" (20 giugno 1942)
Lucidamente consapevole di ciò che succede e di ciò che l’attende ("Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento", 3 luglio 1942) rifiuta di cercare una via personale di salvezza (forse) possibile.
"Chiunque si voglia salvare deve sapere che se non ci va lui, qualcun altro dovrà andare al suo posto. Come se importasse molto se si tratti proprio di me, o piuttosto di un altro, o di un altro ancora. E’ diventato ormai un "destino di massa" e si deve essere ben chiari su questo punto...un certo numero di persone non deve partire comunque? ...Spesso la gente si agita quando dico: non fa poi molta differenza se tocca partire a me o a un altro, ciò che conta è che migliaia di persone debbano partire" (luglio 1942).
Nel corso di questo lungo percorso di sofferenza, Etty Hillesum riscopre Dio.
"Si deve avere anche il coraggio di dirlo. Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio" (ottobre 1941).
Un Dio molto particolare che sorge dalla sua interiorità e non si sostiene su alcun dogma o rito, ma di cui e con cui si parla semplicemente
"E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio" (11 luglio 1942).
Ormai Etty si trova a Weterbock, il campo di smistamento da cui si partiva per Auschwitz. Le privazioni, le sofferenze, l’inesausta generosità la depurano fino allo stremo. Chiede ai suoi amici di Amsterdam se possono mandarle un cuscino, ma tanto piccolo da poter entrare dentro una busta per lettere. Ed ancora, in una lettera del luglio 1943, forse l’ultima, inviata ad un’amica cui ha anche affidato il suo diario:
"La gente non vuol riconoscere che a un certo punto non si può più fare, ma soltanto essere ed accettare...Io non posso fare nulla, non l’ho mai potuto, io posso solo prendere le cose su di me e soffrire".
Altre due donne ebree in quegli stessi anni affrontavano le temperie della guerra e si interrogavano su di esse. Non conoscevano Etty Hillesum e non si conoscevano tra loro. Diverse per temperamento, cultura e destino, le loro riflessioni hanno a volte accenti sorprendentemente simili (tra l’altro, tutte e tre, socialiste nella prima giovinezza, abbandonano poi - attraverso diversi percorsi - l’ideale socialista).
Simone Weil, nata qualche anno prima di Etty, muore quasi contemporaneamente a lei, nei pressi di Londra, nell’agosto del 1943. Quello che per la sua coetanea olandese è una semplice terribile realtà (la condivisione e l’immedesimazione nelle privazioni altrui), per Simone Weil è un’aspirazione dell’anima, ma così profonda che si lascia praticamente morire di fame.
Il 24 settembre 1942 Etty Hillesum aveva scritto nel diario:
"Voglio trovarmi al fronte, tra gli uomini sofferenti...Vorrei trovarmi in tutti i campi che sono sparsi per tutta l’Europa, vorrei essere su tutti i fronti...voglio esserci, voglio che ci sia un po di fratellanza tra tutti questi cosiddetti "nemici" dovunque io mi trovi";.
Due anni prima Simone Weil aveva elaborato il Progetto per una formazione di infermiere di prima linea, nel quale proponeva la costituzione di un piccolo gruppo di donne disposte a farsi paracadutare sui fronti di combattimento per assistere feriti e moribondi, senza differenza di nazionalità. Si sarebbero trovate nelle donne le qualità rare ma non impossibili per condurre a termine tale missione: "una fredda risolutezza unita alla tenerezza necessaria per confortare le sofferenze e le agonie".
In una tale "formazione di infermiere" Etty certo sarebbe stata idealmente la prima volontaria!
Com’è noto (e in fondo, amaramente e realisticamente, logico) il progetto di Simone Weil, inviato a Roosvelt e a De Gaulle, non fu preso in considerazione e fu valutato la proposta di una folle: ma esso esprimeva, come il delirio di Etty Hillesum, la necessità di superare con una modalità superiore le logiche della guerra.
Hanna Arendt si salvò dal nazismo, fuggendo da Berlino: contrariamente a Etty Hillesum ed a Simone Weil scelse la strada dell’azione e dell’autoconservazione, ma si dedicò successivamente allo studio dei totalitarismi, affermandosi come uno dei più lucidi teorici della politica del dopoguerra.
Recandosi negli anni cinquanta in Israele ad assistere al processo contro Eichmann, su cui scrisse il famosissimo libro "La banalità del male" criticò il comportamento dei Consigli nazionali ebraici che non si erano ribellati ai nazisti e si erano in qualche modo resi complici delle deportazioni degli stessi ebrei.
Problema dolorosissimo, su cui chi non è stato vittima o protagonista di quella tragedia preferisce non esprimere un giudizio.
Ma una condanna forte come una lama insanguinata emerge dal Diario di Etty Hillesum e pare alzarsi dalle ceneri a sostegno della tesi di Hanna Arendt:
"Il risentimento contro quel particolare organo di mediazione (il Consiglio nazionale ebraico) cresce di ora in ora. Inoltre: più tardi toccherà anche a loro" (11 luglio 1942).
E qualche giorno dopo:
"Naturalmente, non si potrà mai più riparare al fatto che alcuni ebrei collaborino a far deportare tutti gli altri. Più tardi la storia dovrà pronunciarsi su questo punto" (28 luglio 1942).
Così tre donne ebree, nel turbine della guerra, cercando sempre di tenere uniti corpo, cervello e cuore, hanno incarnato una esigenza morale superiore, che è andata ben oltre la solidarietà di classe, di razza o di nazione, e si è espressa in una tensione d’amore straziante verso l’umanità intera.
L’ultima guerra si dimostra ancora il luogo mentale dei principali interrogativi sulla nostra vita e sul nostro futuro.
Per quanto se ne sia scritto e parlato, dalle sue tragedie abbiamo sempre abissi di dolore da scoprire, vette di generosità ed intelligenza da ammirare e cercare di comprendere. (aprile 1999)
Alcune risorse in rete su Simone Weil e Hannah Arendt:
In italiano
Alcune brevi note biografiche su Simone Weil http://web.arca.net/pentag/4_98/SimoneWeil.html
Una bella pagina in cui si parla sia di Hannah Arendt che di Simone Weil. Vi si trova pure una breve ma essenziale bibliografia http://www.memex.it/wu/Antonio/arendt.htm
In francese:
"Reflexions sur la notion de totalitarisme" di Jean Paul Noté sul concetto di totalitarismo secondo la Arendt. Buona bibliografia in francese. http://www-eleves.int-evry.fr/ note/totalitarisme.html
In inglese:
"Simone Weil. An introduction". Una pagina abbastanza ricca dedicata a Simone Weil http://www.rivertext.com/simone_weil.shtml
Su Hannah Arendt: biografia e bibliografia http://aj.encyclopedia.com/articles/00696.html I siti indicati sono stati visionati il 2 aprile 1999
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