Esseri umani

Le parole sono importanti. Non è solo una famosa battuta di un film di Nanni Moretti.
Un articolo di Rossella Miccio di Emergency, pubblicato nella rivista della ong a settembre di quest’anno, evidenziava come il nostro Paese apparisse molto contraddittorio sulla questione migranti. Nello stesso articolo, si faceva riflettere su una sorta di guerra tra le motivazioni atte ad ottenere un minimo di attenzione da parte di chi, in modo non del tutto lineare, professa leggi ed opinioni su chi meriterebbe di essere accolto e chi no. Nella fattispecie, siamo giunti ad una distinzione netta tra coloro che fuggono da un paese martoriato dalla guerra ed, invece, da chi lo faccia solo ed esclusivamente per liberarsi da una condizione di povertà, che il proprio Paese non riesce a migliorare.
Quello che, in forme diverse e con contenuti altalenanti, ha fatto parte della storia di ogni nazione, interessata involontariamente da situazione di invivibilità e regresso economico, tanto da costringere le popolazioni a cercare oltre confine le risorse negate dai propri luoghi di origine. Basterebbe cadere nella stessa banalità, utilizzata per affrontare questi argomenti, con le reminiscenze storiche sulle migrazioni da sud a nord, o da est ad ovest che hanno riempito i libri di storia. Ma il vero pericolo che si corre oggi, è la banalizzazione della vita umana.
Si passa dagli attacchi mediatici e propagandistici contro le più antiche e basilari regole sui salvataggi in mare, che chi vive di mare da sempre, non riuscirebbe mai a disconoscere. E’ un’evoluzione, ma chiamiamola anche involuzione, verso quella identità nazionale, che lo stesso articolo di Rossella Miccio ha voluto precisare. Quell’idea di negazione dei diritti agli italiani, solo per la semplice difesa dei diritti dei migranti, da qualsiasi angolo del mondo provengano. Come se, ancora oggi nel terzo millennio, tanto decantato da descrizioni enfatizzate delle imprese dell’uomo, tra sonde inviate su Marte e nuove ancora sperimentazioni rivolte ad allontanare un immaginario confine di conoscenze, si potesse rivendicare quell’assolutismo di appartenenza ad una nazione, esclusiva tra valori, lingua e cultura.
Verrebbe da immaginarsi un universo vissuto da altri esseri viventi, pronti ad aspettarci e a ricacciarci in una mare della galassia, mietendo vittime interplanetarie, rivendicando un’esclusiva marziana, da mantenere per i millenni successivi. Sembra fantascienza, molto simile alle dichiarazioni che molti politici vomitano su un mondo volutamente globalizzato all’interno del quale, non si riesce più a trovare una sola molecola che non sia contaminata da incroci di razze e culture.
La realtà, spesso lo dimentichiamo, forse volontariamente, è molto più cruda di una qualsiasi immaginazione. Non è soltanto un verificato ripetersi di corsi e ricorsi storici, è prendere coscienza, se si ha ancora la voglia di farlo, di un ingranaggio perverso di interessi politici, economici e di potere del quale ignoriamo completamente quali saranno i risvolti finali. Nelle pagine del nostro giornale, abbiamo in varie occasioni trattato l’argomento, con articoli descrittivi su investimenti milionari sui territori mondiali che, stranamente solo adesso, accostiamo a un fenomeno migratorio senza controllo.
Dietro ad ogni acronimo, locuzione, aggettivo fantasioso o collegato alla letteratura della nostra infanzia, si nasconde la perfida realtà di una volontà di restringimento e di controllo delle risorse economiche mondiali, da mantenere e conservare nelle mani di "pochi". E per far questo, i "molti" devono essere tanti. Per sempre. Sono strategie di potere, le cui radici si perdono davvero nella notte dei tempi. Quelle che ai nostri giorni, vengono rinnegate davanti alle più elementari evidenze, come la vendita di armi, lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo dei paesi più poveri del mondo e la presunzione che, chi è nato in questi dissanguati luoghi, debba subire passivamente un dittatore scelto dalle democrazie del mondo e rassegnarsi ad un disegnato destino.
Cosa serve ancora descrivere gli affari malsani, frutto di un decreto di finanziamento delle missioni internazionali delle forze armate predisposto dal governo Gentiloni-Minniti-Pinotti per il periodo compreso tra l’1 gennaio e il 30 settembre 2018 e prorogato dall’attuale governo fino alla fine dell’anno, che prevede una spesa di oltre 118 milioni di euro in nove mesi (vedi articolo Girodivite "La nostra Africa. Missioni italiane e guerre ai migranti a sud del Mediterraneo" del 14 novembre 2018)? A cosa, se viviamo in un’epoca nella quale chiunque può approfondire gli slogan propagandistici delle varie coalizioni politiche, che si susseguono in Italia, ma che nessuno ha davvero interesse di andare svuotare, annoiati da troppe parole martellanti e da una mera ambizione che, niente o nessuno, debba venire a mettere in dubbio le nostre misere certezze?
Il recente summit sulla Libia a Palermo, blindata come Taormina un anno fa, avrebbe dovuto dare delle risposte. Il dubbio rimane se, effettivamente, qualcuno abbia fatto le domande. Un incontro internazionale su una questione delicatissima, la Libia appunto, dentro la quale confluiscono diritti umani calpestati, guerre mai concluse, terrorismi più o meno costruiti a tavolino, ma snobbato dai leader storici delle due grandi potenze mondiali, Stati Uniti e Russia, quest’ultima recuperata con la presenza del primo ministro Dmitrij Medvedev.
Incontri, strette di mano, foto ricordo, trattative, accordi internazionali, propositi. Argomenti troppo complicati per noi poveri mortali. Parole che si sommano alle altre. Inutili? I dati di fatto di questi ultimi anni, ne darebbero la conferma. Riducendo il discorso a livelli più terreni, forse è arrivato il momento di non commettere lo stesso errore dei grandi della Terra, quello di arzigogolati e ipocriti giri di parole, promesse e buoni propositi, neanche più credibili sulla carta. Forse è arrivato davvero il momento di ammettere che, quello che cova dentro noi, tra dubbi e riflessioni, commenti e approvazioni delle sentenze, che si ostinano a disegnarci un mondo di privilegiata etnia, sia riassumibile in un’unica cruda ma veritiera parola: razzismo.
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