Essere detenuti in Sicilia come in Italia

L’appello di don Raffaele Grimaldi, Ispettore dei Cappellani della Carceri, le considerazioni di Bruno Di Stefano, di ASVOPE (Associazione di volontariato penitenziari) di Palermo
La condizione dei detenuti non è mai stata invidiabile. Non è un caso che, da secoli, la Chiesa cattolica inserisce nel novero delle sette opere di misericordia corporale “Visitare i carcerati”. Sul piano legislativo-istituzionale, con la Costituzione italiana in vigore dal 1948, sono stati compiuti rilevanti passi in avanti, a cominciare dal terzo comma dell’articolo 27: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Tuttavia, se ci spostiamo dal piano teorico-programmatico all’esperienza quotidiana, la situazione è ben diversa. Quanti di noi sono impegnati in associazione di volontariato penitenziario toccano con mano ogni giorno una contraddizione clamorosa: proprio là dove lo Stato democratico reclude i contravventori delle leggi, esso per primo non le rispetta. I diritti dei detenuti sono disattesi da tanti punti di vista (a causa del sovraffollamento, del malfunzionamento dei servizi igienici, dei ritardi nell’assistenza sanitaria, delle carenze di riscaldamento, delle difficoltà a imparare e svolgere un mestiere o a studiare e conseguire un titolo di studio e così via). In non pochi casi si tratta di soggetti abbandonati dalle famiglie d’origine e impossibilitati a procurarsi il vestiario essenziale e altri piccoli strumenti per la sopravvivenza e la pulizia.
Con i limiti fisici, economici, professionali noi volontari cerchiamo di rimediare ai disagi, ma non intendiamo supplire alle deficienze delle istituzioni pubbliche se non in misura provvisoria: la supplenza si trasformerebbe in oggettiva complicità se non fosse, contemporaneamente, denunzia e pressione affinché lo Stato faccia la sua parte. Non intendiamo costituire un alibi per nessun ente e per nessun responsabile a capo degli enti preposti a questo delicatissimo settore della vita sociale.
In questa logica non possiamo tacere la nostra amarezza e la nostra indignazione per tutte le volte che – perforando l’abituale cortina di silenzio – arrivano alla luce della cronaca abusi fisici e psichici ai danni di nostri concittadini reclusi. Poiché operiamo a Palermo abbiamo appreso con particolare dolore dei maltrattamenti inferti da alcuni agenti della polizia penitenziaria di Trapani e, pur da associazione aconfessionale per statuto, condividiamo e rilanciamo l’appello di don Raffaele Grimaldi, Ispettore dei Cappellani della Carceri: «Questi episodi rappresentano una ferita profonda non solo per le vittime, ma anche per la missione di giustizia e recupero che ogni istituto penitenziario è chiamato a svolgere. Nessun reato, per quanto grave, può giustificare la negazione della dignità umana. Come ci ricorda la Bibbia: “Nessuno tocchi Caino”. Quanto accaduto non solo viola i principi fondamentali di rispetto della dignità umana, ma tradisce la missione stessa degli operatori penitenziari, chiamati a custodire e rieducare. Questi atti deplorevoli gettano un’ombra sulla professionalità della maggior parte degli agenti, che quotidianamente svolgono il loro difficile compito con dedizione e rispetto”.
Ovviamente, nella terra in cui magistrati come Falcone e Borsellino hanno dato luminoso esempio di tatto nel relazionarsi con gli inquisiti al punto da meritarne spesso gratitudine e fiducia, attendiamo che la magistratura svolga con equanimità e rigore il suo compito. Anche per bilanciare, nell’opinione pubblica, alcune pericolose tendenze forcaiole, alimentate perfino da personalità politiche, evidentemente legate a culture del passato che speravamo ormai alle nostre spalle. E’ giusto che si sappia: se un Sottosegretario alla Giustizia può esprimere “intima gioia” all’idea che, in alcune situazioni, ai detenuti possa “mancare l’aria”, ci siamo in Italia centinaia di cittadini e di cittadine che provano “intima gioia” quando possono constatare che una persona in stato di detenzione intraprende, anche grazie al supporto di professionisti e volontari, percorsi riparativi per tornare a respirare l’aria della libertà e della civiltà.
Bruno Di Stefano
L’autore Bruno Di Stefano è presidente dell’ASVOPE (Associazione di volontariato penitenziari) di Palermo
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