Esercizi spirituali e Filosofia antica

Appunti da Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, a cura e con una prefazione di Arnold I. Davidson, PBE Filosofia,2002 (Albin Michel), 1988 e 2005 (Einaudi)

di Pina La Villa - venerdì 1 dicembre 2006 - 6258 letture

Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, a cura e con una prefazione di Arnold I. Davidson, PBE Filosofia,2002 (Albin Michel), 1988 e 2005 (Einaudi)

“La filosofia non è la costruzione di un sistema, ma la ferma decisione di guardare ingenuamente in sé e attorno a sé”

Hadot si è occupato, partendo da Bergson e dall’esistenzialismo, dell’influenza che la filosofia greca ha esercitato sulla letteratura latina. “In queste indagini ho constatato come molte difficoltà che incontriamo quando quando cerchiamo di comprendere le opere filosofiche degli antichi spesso derivino dal fatto che, interpretandole, commettiamo un duplice anacronismo: crediamo che, come molte opere moderne, siano destinate a comunicare informazioni intorno a un contenuto concettuale dato, e che noi ne possiamo anche trarre direttamente chiare informazioni sul pensiero e sulla psicologia del loro autore. Ma, di fatto, sono assai spesso esercizi spirituali che l’autore pratica egli stesso, e fa praticare al suo lettore. Sono destinate a formare le anime. Hanno un valore psicagogico. Allora ogni asserzione deve essere intesa nella prospettiva dell’effetto che si propone di produrre, e non come una proposizione che esprima adeguatamente il pensiero e i sentimenti di un individuo”.

Dall’introduzione di Davidson vengo a sapere che c’era un progetto di Italo Calvino, che riguardava una collana di ricerca morale.(Italo Calvino, Appunti per una collana di ricerca morale, in Saggi, Mondadori, Milano 1995) . “La centralità etica dell’idea di una vita esemplare è abbordata da Calvino attraverso una serie di domande: “C’è qualcosa per noi che può corrispondere a quello che la “santità” è per chi crede ai santi? Cioé si può esprimere un valore umano esemplare non in rapporto a particolari cose che si fanno, a particolari situazioni in cui ci si trova, ma solo a un particolare modo di vivere la propria vita, di usare l’esistenza stessa come mezzo d’espressione?” Alla prima domanda di Calvino risponde la sentenza di Michelet citata da Hadot: “La religione greca finisce con il suo autentico Dio: il saggio”. [...] Proprio come la biografia fu un genere filosofico nell’antichità, così Calvino volle far rientrare in questa ricerca morale “quelle particolari operette, biografie o profili di personaggi illustri o meno scritti da grandi scrittori (per esempio gli scritti di Gor’kij su Tolstoj e Lenin) che hanno il potere di trasmetterci il fascino di una personalità unica, quello che si trasmette solo attraverso la persona vivente”. Hadot stesso riconosce che un romanzo può possedere una forza etica quando descrive, mediante “ciò che mostra direttamente”, lo sforzo di perferzionare la propria vita”.

Il metodo di Hadot comincia ad essere esposto attraverso il ricordo dello studioso P. Courcelle, che aveva dato un’interpretazione di Sant’Agostino in linea con i procedimenti letterari del genere, soprattutto in relazione al simobolo e all’allegoria. La sua interpretazione del brano della conversione suscitò molte polemiche, ma per Hadot il cammino era quello giusto.(p. 6)

“Una regolamentazione dell’imperatore Antonino Pio relativa ai salari e alle indennità osserva che, se i filosofi litigano per le loro proprietà, mostrano di non essere filosofi. I filosofi sono dunque gente a parte e strana (p. 12).

Esercizi: “Diversamente dalle meditazioni di tipo buddistico dell’estremo oriente, la meditazione filosofica greco-romana non è legata a un atteggiamento corporeo, ma è un esercizio puramente razionale o immaginativo o intuitivo. [...] In primissimo luogo è memorizzazione e assimilazione dei dogmi fondamentali e delle regole di vita della scuola.[...] In tutte le scuole, per ragioni diverse, la filosofia sarà anzitutto una meditazione sulla morte e un’attenzione concentrata sul momento presente, per goderne, o per viverlo in piena coscienza” (p. 15)

E’ in questa luce che occorre comprendere i dogmi e il rapporto fra teoria e pratica. Quello che conta è la formazione spirituale, la vita e la teoria e i dogmi servono solo se aiutano a mantenersi in questo cammino. “In ogni scuola, non si devono discutere i dogmi e i principi metodologici. Filosofare, in tale epoca, equivale a scegliere una scuola, convertirsi al suo modo di vivere e accettare i suoi dogmi”

Ma per capire questo rapporto altrettanto importante è riflettere sul fatto che le opere di questi filosofi sono ancora fatte più per l’oralità - sono spesso dettate a uno scrivano e sono destinate a essere lette ad alta voce - che per la lettura e riflessione personale, come siamo abituati oggi. Da qui alcune dati interessanti:”Molto spesso l’opera si sviluppa per associazione d’idee, senza rigore sistematico; lascia che permangano le riprese, le esitazioni, le ripetizioni del discorso parlato. [...]le opere filosofiche sono legate all’oralità, poiché la stessa filosofia antica è, anzitutto, orale. [...] In rapporto all’insegnamento filosofico, la scrittura non è che un espediente per aiutare la memoria, un ripiego che non riuscirà mai a sostituire la parola viva. La vera formazione è sempre orale, poiché solo la parola orale permette il dialogo, ossia la possibilità per il discepolo di scoprire egli stesso la verità nello scambio delle domande e delle risposte, e anche la possibilità per il maestro di adattare il suo insegnamento ai bisogni del discepolo” (pp. 18-19)

Un errore fatale: la formula agostiniana “in interiore homine habitat veritas” , che poi è stata ripresa variamente dai filosofi, fino ad Husserl, nasce in realtà da un errore, cioé dalla formula “in interiore homine Christum habitare” “Ma queste parole non sono che una serie meramente materiale, che non esiste che in questa versione latina [lettera di Paolo agli Efesini]-, non corrispondono ad alcun contenuto del pensiero di Paolo, poiché appartengono a due membri di frase differenti. Da una parte Paolo desidera che “Cristo risieda nel cuore” dei suoi discepoli, in virtù della fede, d’altra parte, nel membro di frase precedente, auspica che Dio conceda ai suoi discepoli di essere fortificati nello spirito divino in ciò che concerne l’uomo interiore, in interiore hominem, come scrive la Vulgata. L’antica versione latina commette dunque un controsenso di traduzione e un errore di copiatura, riunendo ’in interiore homine’ e ’Christum habitare’”

Perché usare l’aggettivo “spirituali” per questi esercizi?

Perché riguardano l’etica e il pensiero ma non solo, e la parola spirito permette di comprendervi anche l’aspetto dell’immaginazione, dei sensi, lo psichico in senso lato, o più chiaramente, come dice lo stesso Hadot, “rivela le vere dimensioni di questi esercizi: grazie ad essi, l’individuo si eleva alla vita dello Spirito oggettivo, ossia si colloca nella prospettiva del Tutto (“eternarsi superandosi”) (p. 30)

La fonte per conoscere in cosa consistevano gli esercizi di una terapia filosofica di ispirazione stoico-platonica è Filone di Alessandria: attenzione, “una vigilanza e una presenza di spirito continue, una coscienza di sé sempre desta, una costante tensione dello spirito”.(p. 34 e segg)

L’importanza delle formule icastiche (p. 36)

Ma anche nell’epicureismo ci sono esercizi (vedi il quadrifarmaco) (pp. 40-41-42)

Dialogo socratico: l’importante è colui che parla (p. 43)

Dialogo platonico: la morte (Fedone) (pp. 47-57) Plotino: ”Se non vedi ancora la tua propria bellezza, fai come lo scultore di una statua che deve diventare bella: toglie questo, raschia quello, rende liscio un certo posto, ne pulisce un altro, fino a fare apparire il bel volto nella statua”. (pp.57-58)


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