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Elogio dell’impertinenza

"Impertinente" nel significato di "non appartenente". Nell’epoca delle tre B - Bush, Berlusconi, Benedetto XVI - l’impertinenza, in questo senso, è una pratica necessaria. Dal libro "Il matematico impertinente" di Piergiorgio Odifreddi, Longanesi &C.

di Pina La Villa - martedì 25 ottobre 2005 - 4816 letture

Elogio dell’impertinenza

E’ l’introduzione al libro di Piergiorgio Odifreddi, "Il matematico impertinente" (Longanesi & Co,2005), è l’unica cosa che mi va di scrivere, oggi, anzi, di sottoscrivere, e spero che con me ci siano altri, tanti altri (la buona posizione del libro nelle classifiche di vendita me lo fa sperare). Il titolo dell’introduzione ricorda quell’Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam che, poco prima delle guerre di religione, cercava di scongiurarle in nome dei valori dell’"humanitas".Senza riuscirci.

"Nel 1848, mentre un impertinente spettro si aggirava per l’Europa, il Vocabolario di parole e modi errati dell’Ugolini dichiarava: "Impertinente, per non appartenente, non può dubitarsi che non sia buona voce; ma siccome nell’uso più comune si adopera impertinente per arrogante e insolente, conviene essere molto cauti nell’usarla nel primo significato".[...] Considero l’impertinenza come un buon modo, e a volte l’unico possibile, di affrontare i problemi in maniera pertinente. Soprattutto in campi come la politica e la religione, in un periodo storico che potremmo descrivere come l’era delle "tre B": che non stanno a indicare, come nei tempi andati, il trio Bach, Beethoven e Brahms, bensì la triade Bush, Berlusconi e Benedetto XVI. Io sento l’impertinenza nei confronti loro e dei loro seguaci come un imperativo morale e civile, in entrambi i sensi dell’Ugolini. Anzitutto, come non appartenenza a una visione del mondo ispirata dalla certezza che, per dirla nella lingua delnuovo papa, Gott mit uns, "Dio è con noi": meno che mai quando questa certezza rigenera mostri che credevamo ormai definitivamente scomparsi, dalle guerre imperaliste alle crociate integraliste. E poi, per proclamare ad alta voce che certi presidenti e papi sono nudi: una doverosa arroganza nei confronti di coloro che vorrebbero imporre all’universo mondo moderno il loro provincialissimo capitalismo e il loro antiquato cristianesimo. [...] Oltre che in politica e religione, che costituiscono una mission impossible in cui essa è destinata a recitare la parte della voce che grida solitaria nel deserto(mediorientale), l’impertinenza ha un ruolo meno impossibile da svolgere nel campo della filosofia. Specialmente in un periodo storico che potremmo descrivere come l’era della RCS: sigla che non sta a indicare un gruppo editoriale della concorrenza, bensì la Santissima Trinità della filosofia del Bel Paese, incarnata nelle persone di reale, Cacciari e Severino. Ancora una volta, io sento l’impertinenza nei confronti loro e dei loro discepoli come un imperativo logico e scientifico, in entrambi i sensi dell’Ugolini. Anzitutto, come non appartenenza alla filosofia intesa come un "sapere amatoriale" che pontifica sulle inesistenti cose prime e ultime, rimanendo tronfiamente ignaro di tutte le esistenti cose intermedie: in modo particolare quando questo "sapere" finisce insipientemente in Gloria, come tutti i Salmi. E poi, per ricordare, come disse Longanesi affilando le spade, che certa gente non capisce nulla, ma con grande autorità e competenza:una liberatoria insolenza nei confronti dei tromboni che nascondono dietro il sovrappieno del loro vocabolario il sottovuoto delle loro argomentazioni. Naturalmente, anche gli impertinenti hanno i loro modelli. Quelli che io trovo più pertinenti sono bertrand Russell e Noam Chomsky: non tanto per le loro posizioni politiche, religiose e filosofiche, sulle quali comunque spesso non discordo, quanto piuttosto per la loro metodologia, sulla quale invece spesso concordo. questa metodologia, che giustifica l’aggettivo nell’espressione "matematico impertinente", altro non è che il sostantivo che la regge: perché senza uno strumento di analisi come la matematica, dalle forme pure della logica a quelle applicate della scienza, l’impertinenza si ridurrebbe soltanto a un puro esercizio (o a una mancanza) di stile. Basata sulla ragione logica, matematica e scientifica, l’impertinenza diventa invece un giudizio universale e assoluto, che dispone delle opinioni particolari e relative alle quali sono condannati i politici, i religiosi e i filosofi. E istiga a rispondere per le rime a pronunciamenti come quelli dell’ineffabile e immanente senator Pera, o dell’affabile e trascendene cardinal Ratzinger, che in assoli e duetti hanno di recente più volte lamentato che il relativismo appaia come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi moderni. Evidentemente i due ex filosofi, entrambi ormai passati a miglior vita professionale, parlano del film di Chaplin. Perché se si riferiscono al mondo reale, e non a uno di celluloide, di primo acchito non si capisce da dove mai traggano la balzana idea che il sistema di vita tecnologico che l’intero mondo ha ormai adottato si basi sul relativismo, invece che sull’assolutismo matematico e scientifico. Ma leggendone gli scritti si scopre che essi fondano i loro pregiudizi sull’equivoco che le immaginarie tesi post-moderne sulla scienza, dolo(ro)samente amplificate dai media, abbiano una qualche rilevanza riguardo a ciò che realmente succede nei laboratori. Gli scienziati invece le prendono per quelle che sono: delle Imposture intellettuali [delle stronzate, direbbe Frankfurt, vedi recensione al suo libro "Stronzate",Rizzoli, 2005], come recita il titolo di un libro di alan Sokal e Jean Brickmont che documenta quante stupidaggini possano dire sulla scienza i post-moderni (come probabilmente di tutto il resto) non capiscono un accidente (figuriamoci l’essenziale). All’assolutismo politico-teologico, impantanato nelle sabbie mobili della rivelazione e della fede, va dunque contrapposto non il relativismo filosofico ma l’assolutismo matematico e scientifico, fondato sulle rocce della dimostrazione e della sperimentazione. Questo assolutismo differisce però dai fondamentalismi che hanno afflitto la storia dell’umanità, per due motivi. Anzitutto perché, diversamente dalle ideologie politiche, dalle fedi religiose e dalle teorie filosofiche di ogni tempo e luogo, la matematica e la scienza esistono in un’unica versione: solo ad esse si possono dunque applicare senza usurpazioni gli aggettivi katolikòs, "universale", e global, "globale". E poi, perchè l’assolutezza delle verità matematiche e delle leggi scientifiche è stemperata dalla limitatezza dei mezzi conoscitivi, dimostrata da Godel e heisenberg: le cose che sappiamo le sappiamo veramente, ma una delle cose che sappiano è che non potremo mai sapere veramente tutto. Ci sono dunque più verità in cielo e leggi sulla terra di quante potranno mai essere scoperte dalla matematica e dalla scienza, ma sarebbe ingenuo pensare che ad esse si possa arrivare per altre vie: meno che mai attraverso "prove del nove" come quella proposta da Pera per dimostrare che la nostra (o meglio, la sua) cultura èmigliore delle altre, e cioè "perchè i flussi migratori vanno dall’Islam all’Occidente, e non viceversa". E’ un bel ragionamento, che dimostra anche che le discariche sono meglio dei supermercati, i bidoni della spazzatura meglio dei frigoriferi, il vuoto meglio del pieno, e dunque le teste di pera meglio di quelle d’uovo.Ma, chissà perché, ho l’impressione che di fronte a questa conclusione non saranno solo gli impertinenti a farsi una bella risata."


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> Elogio dell’impertinenza
2 novembre 2005, di : Saverio Tommasi

Ehi, le "B" sono quattro, c’è anche l’emerito Blair!