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Elogio Pd dei lager modello di Lampedusa

In data 20 settembre 2011, quando già da tempo sull’isola si respirava un’aria pesante per effetto dei mancati trasferimenti degli immigrati, è stato incendiato un padiglione del CSPA mentre erano presenti oltre 1.500 ospiti

di Antonio Mazzeo - martedì 17 gennaio 2012 - 3302 letture

A Lampedusa i due fatiscenti centri di “soccorso e prima assistenza” per migranti sono vuoti dal 28 settembre 2011, quando manu militari vennero deportati in Tunisia o nei grandi CIE d’Italia gli ultimi ospiti-detenuti. Un indegno modello di accoglienza, fatto di quotidiane sopraffazioni e scientifica deprivazione di identità e soggettività, che adesso i deputati del Partito democratico chiedono di rilanciare riaprendo le strutture-ghetto per affidarle all’ente gestore del passato, fiore all’occhiello di Lega Coop Sicilia.

Con un’interrogazione indirizzata al Ministro dell’Interno, sette parlamentari siciliani del Pd (primo firmatario l’on. Angelo Capodicasa, ex Presidente della Regione ed ex viceministro all’Infrastrutture dell’ultimo governo Prodi), sostengono che la chiusura del centro potrebbe “causare anche un problema di carattere internazionale in vista di ulteriori sbarchi che potrebbero interessare l’isola delle Pelagie”. “Lampedusa – aggiungono i sette - è divenuta di fatto, anche per l’abnegazione e la sensibilità dei suoi abitanti, e sopportando oneri sociali e d’immagine non indifferenti, area di prima accoglienza pronta ad ospitare le decine di migliaia di disperati che attraversano il Canale di Sicilia”. All’uopo, era stata destinata una struttura (CSPA), gestita “egregiamente” ed ininterrottamente dal giugno 2007 da LampedusAccoglienza, società nella disponibilità del consorzio di cooperative siciliane “Sisifo”.

Nell’interrogazione vengono elencati alcuni gravi atti intimidatori verificatisi recentemente a Lampedusa ai danni del centro di primo soccorso e dell’ente gestore. “In data 20 settembre 2011, quando già da tempo sull’isola si respirava un’aria pesante per effetto dei mancati trasferimenti degli immigrati, è stato incendiato un padiglione del CSPA mentre erano presenti oltre 1.500 ospiti; nonostante fosse andato distrutto ciò non ha pregiudicato lo svolgimento dell’attività, in quanto i luoghi sono stati messi in sicurezza e recintati; inspiegabilmente i lavori sono stati interrotti, pregiudicando, stavolta sì, l’accoglienza anche se limitata a 440 posti”. Tre giorni dopo veniva incendiata l’auto dell’amministratore delegato di LampedusAccoglienza, Cono Galipò. Tra l’11 e il 13 novembre veniva appiccato il fuoco ad un furgone ed un pullman della società, mentre il 2 dicembre veniva distrutto un magazzino di oltre 500 mq dove LampedusAccoglienza aveva stipato “indumenti e materiale di cucina per un valore stimabile in circa 300.000 euro”. Il 18 dicembre, infine, veniva danneggiata l’auto del direttore del centro. “La situazione riguardante l’ordine pubblico a Lampedusa è grave”, scrivono i parlamentari, invocando l’intervento del Governo per “garantire lo svolgimento sereno dell’attività di chi ha espletato con impegno e dedizione il proprio lavoro, a volte in condizioni proibitive, nell’esclusivo interesse del popolo Italiano”.

Attentati di matrice razzista, riconducibili al clima di caccia al migrante e limpieza social scatenati con la compiacenza di imprenditori e politici xenofobi, utilizzati però dal Pd siciliano per elogiare un modello di gestione dell’“accoglienza” stigmatizzato da più parti per la sua disumanità, le sue caratteristiche repressive e i suoi insostenibili costi umani e finanziari. “Nell’interrogazione non si parla invece delle pesanti e pubbliche responsabilità del sindaco De Rubeis, che andrebbe perseguito per istigazione all’odio razziale per le ronde e le aggressioni contro i migranti”, commenta Alfonso Di Stefano della Rete antirazzista siciliana. “Ancora più gravi le responsabilità dell’ex ministro Maroni, che con premeditazione ha costruito nel febbraio scorso l’emergenza Lampedusa, allarmando l’opinione pubblica sull’invasione di 1.500.000 migranti, quando in sei mesi ne sono arrivati 50.000. Se un’interrogazione andava fatta era per revocare la delirante scelta del precedente governo di dichiarare l’isola porto non sicuro o per denunciare le vergognose condizioni di segregazione dei richiedenti asilo nel megaCara di Mineo, il cui ente gestore è lo stesso consorzio di cooperative interessato al megabusiness di Lampedusa”.

“Il CPSA aveva come suo principale scopo quello di assistere le persone appena arrivate e trasferirle nell’arco di 48 ore sul territorio italiano”, ricordano gli operatori volontari dell’ARCI che hanno potuto fare ingresso nel centro di Lampedusa solo dopo il giugno 2011. “In realtà è stata una struttura di reclusione, dove non era consentita l’uscita e l’entrata libera, i migranti non potevano spostarsi liberamente, confinati in parti residenziali chiuse da inferriate e cancelli e da filo spinato. Le forze di polizia si muovevano all’interno armate e in casi di tensione in tenuta anti sommossa. I trasferimenti in altri centri avvenivano lentamente, obbligando i migranti a permanenze che variavano, per i maggiorenni da 15 giorni a un mese e per i minorenni per periodi ancora più lunghi, fino a un mese e mezzo”. La privazione della libertà personale dei migranti in quello che è stato a tutti gli effetti un centro d’identificazione ed espulsione, non era legittimata da provvedimenti giurisdizionali, né giustificata da situazioni di emergenza. “Coloro che sono stati detenuti e respinti in Tunisia, a partire dal 6 aprile 2011, per quanto risulta da numerose testimonianze e notizie di stampa, non hanno mai potuto comunicare con un avvocato o con un giudice, né tantomeno con un membro della commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, né hanno ricevuto alcun tipo di comunicazione scritta sui motivi del loro trattenimento né sulla durata dello stesso o sulle possibilità di difesa o di esercizio dei propri diritti”, ha denunciato il prof. Fulvio Vassallo Paleologo dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI).

“A Lampedusa il Governo ha violato l’art. 13 della Costituzione italiana e l’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”, incalza l’avvocata Carmen Cordaro, referente CIE e frontiere dell’ARCI. “Si tratta di macroscopiche violazioni del diritto fondamentale alla libertà personale. Nei fatti sono rimasti inattuati il diritto a ricevere assistenza legale e, più in generale, il diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione”. È un report di tre esperti volontari legali dell’associazione, Francesca Cancellaro, Luca Masera e Stefano Zirulia, a descrivere le disumane condizioni di vita all’interno del centro di contrada Imbriacola. “Nella zona della gabbie, all’interno delle quali sono trattenuti i migranti adulti, le temperature sono elevatissime. Le camere sono riempite di letti a castello con materassi sintetici di gommapiuma, l’aria risulta irrespirabile sin dal primo mattino, sia in ragione dell’elevata concentrazione umana, sia a causa della tipologia di edificio e dell’assenza di aria condizionata”. Elevatissimi gli stress psicologici a cui erano sottoposti gli “ospiti”. “Decine e decine di ragazzi tra i venti e i trent’anni sono costretti a trascorrere lunghissime e torride giornate stando immobili, rannicchiati in striscioline d’ombra”, prosegue il report. “I migranti sono impossibilitati a svolgere semplici attività e gli unici svaghi concessi sono il pallone, e talvolta le carte da gioco. Non sono ammesse né radio né televisioni. Le telefonate sono contingentate, in quanto a ciascuno viene consegnata una tessera telefonica ogni dieci giorni, della durata di appena sei minuti. Per il resto sono vietati la carta, e dunque i libri e i giornali, per il rischio di incendi, e le penne, per il rischio di autolesionismo”. Ciononostante, a Lampedusa è accaduto di tutto: “persone hanno mangiato pezzi di neon o una lametta o si sono ferite con tagli nelle braccia; altri hanno minacciato di buttarsi dalle scale o dal tetto o hanno provato ad impiccarsi”.

Deleterie le condizioni igieniche e sanitarie. I bagni, insufficienti, erano luridi e la spazzatura veniva depositata dappertutto e portata via solo dopo diversi giorni. “A molti migranti con problemi di salute è stato negato l’accesso diretto all’infermeria”, raccontano i volontari dell’ARCI. “I posti letto a disposizione erano pochi e non c’era un servizio infermieristico che passasse per le camerate. Si poteva assistere a migranti che portavano di peso connazionali in infermeria o all’autoambulanza. C’era una carenza sistematica di materiale medico e medicinali. Ad un migrante è stato fasciato un braccio con delle bende e un pezzo di cartone al posto di un tutore rigido”.

Di scarsissima qualità era il cibo distribuito. “Di solito veniva data la pasta a pranzo e il riso a cena conditi con alimenti in scatola. I secondi erano o polpette o scaloppine di varia natura fritta. Alle volte uova sode. I contorni variavano dalle patate ai legumi. Non abbiamo mai visto dare verdura fresca e/o di stagione. La frutta era quasi sempre una mela e in alternativa era distribuito un succo di frutta. Venivano utilizzati cibi precotti o scatolame. Benché la maggior parte delle persone erano mussulmane non ci risulta che la carne fosse Halal”.

Ancora più drammatiche le condizioni detentive per i bambini e gli adolescenti stranieri (a fine agosto a Lampedusa erano in tutto 225, 111 nel CPSA di Contrada Imbriacola, 114 nella ex base Loran della Guardia coste USA). “La loro permanenza nell’isola è stata un calvario”, dichiara l’assistente sociale Maria Billè. “I minori sono stati abbandonati per settimane senza potere uscire dalle strutture o ricevere visite, se non delle Ong autorizzate dal ministero e dal Prefetto. Per nessuno di loro è stato nominato un tutore come imposto dalla legge italiana né è stata disposta alcuna forma di affidamento. Non risulta che siano state avviate le procedure di segnalazione al Giudice tutelare e alla competente Procura dei minori per l’adozione tempestiva dei provvedimenti dovuti per prestare tutela ed assistenza. Questi minori avevano affrontato tutti viaggi drammatici e rischiosissimi ed esprimevano evidenti segni di sofferenza e disagio psicologico”.

“Ho avuto modo di constatare le precarie e indecenti condizioni igienico sanitarie in cui vivevano i minori non accompagnati ospitati nella ex base Loran”, ha raccontato Giuseppina Cassarà (Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti - INMP), medico internista a Lampedusa dal 22 al 28 agosto 2011. “La struttura è fatiscente, assolutamente non idonea ad assicurare un’accoglienza dignitosa per ragazzi minorenni che necessitano di tutela socio-sanitaria e giuridica”, aggiunge la dott.ssa Cassarà. “Nelle stanze al piano inferiore, adibite all’ospitalità delle ragazze, i materassi di gommapiuma luridi e malconci, sono buttati sul pavimento senza coprimaterasso o lenzuola se non quelle di carta, però non vengono cambiate e rifornite quotidianamente ma periodicamente”. La struttura era deficitaria di acqua corrente e priva di cabine telefoniche ed i minori “riuscivano a telefonare solo facendo code lunghissime per utilizzare dei cellulari forniti da LampedusAccoglienza”. Nel superaffollato centro di Contrada Imbriacola, invece, i minori erano costretti a dividere gli spazi con gli adulti, in contrasto con quanto previsto dalle leggi e dai regolamenti. “Durante l’illegittima permanenza nel CSPA, i bambini e i ragazzi migranti sono stati esposti giornalmente alla violenza derivata dall’esasperazione delle oltre 500 persone rinchiuse e in costante attesa di trasferimento”, ha denunciato Federica Giannotta, responsabile del progetto FARO di Terre des Hommes, per l’assistenza giuridico-legale dei minori a Lampedusa. “Abbiamo ripetutamente segnalato alle autorità competenti la promiscuità in cui si trovavano minori, famiglie con bambini e altre categorie vulnerabili come disabili, malati e richiedenti asilo, spesso presenti nelle zone chiuse dei centri in cui le organizzazioni umanitarie non potevano entrare, invece che in reparti loro dedicati e adeguati alle loro esigenze”.

Le immane sofferenze patite dai minori stranieri a Lampedusa erano state al centro di un’interrogazione presentata il 14 luglio 2011 da Anna Maria Serafini ed altri 38 senatori Pd. “La condizione psicologica ed emotiva dei minori trattenuti nei due Centri è decisamente peggiorata”, scrivevano i parlamentari. “La prolungata e incomprensibile detenzione, l’impossibilità di comunicare con l’esterno, la mancanza di spazi e di opportunità ricreative, lo stress dell’esperienza vissuta, senza un sostegno psicologico e medico, stanno generando nei bambini un forte senso di esasperazione e depressione e questo stato emotivo è la ragione delle recenti manifestazioni e proteste e degli atti autolesionistici verificatisi in entrambi i Centri”.

“All’arrivo di nuovi sbarchi, interi gruppi di minori sono costretti ad abbandonare le camere a loro assegnate per fare posto ai nuovi arrivati e a dormire per terra, al freddo, tra vespe e zanzare”, aggiungevano i senatori. “Preoccupano sempre più le pessime ed inaccettabili condizioni igienico-sanitarie: bagni sporchi e inaccessibili, camere buie, senza finestre e sporche con letti ricoperti da lenzuola di plastica su materassi sporchi e bucati; il cibo non è buono ed è maleodorante e i bambini si rifiutano di mangiarlo”. I centri venivano così bollati come “inadeguati” per la prima accoglienza e, di conseguenza, si chiedeva a Berlusconi e Maroni di “garantire ai minori la minima permanenza sull’isola, limitata al primo soccorso, realizzando il loro trasferimento nei centri in Italia in un tempo massimo di 48 ore”. Oggi, i cugini Pd-deputati la pensano diversamente. I centri di Lampedusa sono stati un paradiso e vanno riaperti. Restituendone le chiavi alle coop “rosse” del business migranti Spa.


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