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Effrazione corporale e domestica in L’ospite, di Elisa Biagini

Elisa Biagini, "L’ospite", Einaudi, 2004. Una poesia forte, espressionista e vitale come poche.

di Maria Gabriella Canfarelli - mercoledì 8 settembre 2004 - 11154 letture

Un sistema unitario e coerente che provoca smottamenti, dissidi, condivisione.

Elisa Biagini, poetessa fiorentina salutata dalla critica quale voce poetica tra le più interessanti degli ultimi anni, ha esordito con la raccolta "Questi nodi" ( Gazebo, Firenze, 1993), cui ha fatto seguito il volume bilingue "Uova" (Zona, Genova, 1999), e ha inoltre pubblicato traduzioni di grandi poetesse del secolo scorso (Dickinson, Plath, Sexton). Del 2004 per Einaudi "L’ospite", esito poetico denso di riferimenti alla realtà comune d’un recinto, la casa, luogo di rovesciamento delle sicurezze acquisite per familiarità e abitudine, percorso abituale e insidioso perimetro in cui si perpetua l’effrazione e la spoliazione dell’identità.

Nell’inquietante microcomo domestico, con i suoi impoetici oggetti che sono muti comprimari d’una scena chiusa, la vita si conclama quale dura nevrosi con le implicazioni / complicazioni angosciose di un doppio femminile, ovvero di un duplice io che ha tuttavia bisogno di una protesi o d’un ulteriore accertamento tattile per sopperire alla debolezza della vista: "Adesso vuoi che tocchi le fratture, / un alfabeto braille, / vuoi che le tocchi / dopo le lettere, le ricette e i punti./ Dammi i tuoi occhiali /perché separi il bianco da quell’osso / e vada dritta al ferro, / al tuo pensiero". L’alterità in bilico tra sperate rassicurazioni e constatazione del pericolo si configura nell’ospite - interlocutore, che interroga ed è interrogato, disamina e giudica, prende posto nel corpo e nella casa, si appropria dello spazio fisico e mentale.

Faccia a faccia con l’intruso, l’io poetico maneggia gli oggetti usuali, si muove in cucina, adempie al rituale del pasto e alla gestualità consequenziale della separazione di scarti e avanzi per riflettere sull’esperienza reiterata ciclicamente, apertura e chiusura del giorno. Mentre la camera da letto, apertura e chiusura della notte, è spazio del sentire - i sommovimenti del corpo, la schiusa ovulare, l’inquieta fissità d’altra presenza fisica e mentale. Teatro dei movimenti dell’ospite, dell’incontro con il doppio femminile, nella casa si esercita la tattilità che rassicura per la confortante padronanza delle cose, salvo poi a cogliere ripensamenti, constatazione che ci si muove in un campo di battaglia: "Coperte, asciugamani, tovaglioli, / federe tovaglie e poi presine, / ci facciamo una trincea / con questa roba / visto che non la merito/ (...)/ Questi panni che non mi copriranno / perché sola nel letto / perché con troppe uova nella pancia, / sono muro, / fortezza, intera rocca, / un fossato di lenzuola nuove". E come l’identità è ridotta a voce, suono "Non ti vedo persona/ ma voce che scarnifica l’orecchio", "Mi mostri le ferite, da soldato/ la tua battaglia /contro un’altra te che ti consuma", si dichiara l’ostilità, il dissidio profondo con l’ospite, nell’accezione estesa di nemico.

Un’ospitalità perturbante, dunque, chiede di lasciarle il posto, reclama e persegue la sostituzione, attiva strategie de-costruttive. Biagini si lascia ospitare dalle domande e dai rimproveri che l’ospite le muove
- un sistema unitario e coerente che provoca smottamenti, ferite, condivisione infine con un’altra sé: "l’uovo spezzato / sarà l’offerta / ogni mese - che anche tu mangi-, / il debito che io saldo a rate, per / il cibo e le ombre, / un mio pezzo di / rosso, di tempo." Sanare il dissidio, risarcire con il sacrificio sanguigno dell’uovo, ovvero un’ostia, parola che condivide l’etimo con "ospite" e "nemico".

E se il linguaggio è una rivelazione e un nascondimento, la volontà dell’impositore, di colui che impone il nome alle cose, e le enumera, la coerenza interna di questo dettato poetico corrisponde a una minuziosa indagine, alla dissezione d’ogni parola che rovescia l’accezione comune. Il libro di Biagini è scena/contenitore in cui sguardi e gesti sono invasivi e martellanti. Una poesia forte, espressionista e vitale come poche.


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Effrazione corporale e domestica in L’ospite, di Elisa Biagini
24 ottobre 2006, di : bea

elisa oggi ero all università di modena ad ascoltare la presentazione dei tuoi libri. se devo essere sincera mi ha un pò spiazzato il tuo fiume di parole,lasciandomi anche un pò confusa. però mi ha affascinato e volevo chiederti due cose. cosa ti ha avvicinato alla poesia? cultura o prevalentemente il sentimento? e una cosa che mi vergogno un pò a dire ma mi sento di farlo. perchè la poesia mi incuriosisce, non la giuduìico ma allo stesso tempo spesso non mi emoziona come vorrei facesse? beatrice
    Effrazione corporale e domestica in L’ospite, di Elisa Biagini
    23 gennaio 2007, di : giulia

    cara beatrice, io mi chiamo giulia e scrivo poesie. la poesia va cercata, devi trovare la tua, quella che ti emoziona, magari sarà solo una, tre versi in tutto, un canzoniere, o imparerai ad amarle tutte. continua a cercare, a lasciarti affascinare, a leggere tutto e tutti.