Editoriale
L’uso delle biografie nella ricerca e nella didattica della storia di genere
L’uso delle biografie nella ricerca e nella didattica della storia di genere
L’aspetto che più mi ha interessato delle biografie è stato sempre il rapporto della vita individuale con la storia, cioé quanto le vite mi permettevano, attraverso un racconto meno astratto e “tecnico” di quello del saggio e del manuale di storia, di conoscere della storia, del “contesto”. Pensavo che così come piacevano a me , così come mi rendevano più “godibile” la storia avrebbero potuto renderla ai miei alunni.
Una mia alunna, qualche anno fa, parlandomi di suo nonno che gli raccontava la guerra e del valore che questa testimonianza "diretta" e da parte di una persona autorevole aveva per lei, mi ha dato ulteriori motivi per un uso didattico delle biografie.
Virginia Woolf e Lytton Strachey
Le tre ghinee di Virginia Woolf pongono per la prima volta in maniera molto chiara l’utilità del ricorso alle biografie per quanto riguarda la storia delle donne. Dovendo parlare dell’istruzione femminile e di quella Società delle estranee che teorizzae propone nel saggio,non ha altre fonti per indagare che le biografie, o almeno così si giustifica. La stessa immagine della sorella di Shakespeare usata nel saggio “Una stanza tutta per sè” è in fondo una biografia,anche se immaginaria. C’ è da dire che la sua scelta non era isolata a Bloomsbury. Lytton Strachey (1880-1932), anche lui membro del famoso Bloomsbury Group, ha fatto della biografia il perno della sua ricercastorica e ha scritto alcune delle biografie più interessanti sull’età vittoriana (Cardinale Manning, Florence Nightingale, Dottor Arnold e Generale Gordon), raccolte nel libro “Eminenti vittoriani” (Rizzoli, 1973) .
Simone de Beauvoir e Hannah Arendt Altre indicazioni in questo senso credo siano venute, almeno per me, da Hannah Arendt e Simone de Beauvoir, per motivi diversi. Nel caso di Hannah Arendt la sua attenzione alla vita, alla singolarità e alla pluralità come dimensioni della politica,nonché l’aver iniziato la sua riflessione proprio con una biografia, la vita di un’ebrea tedescadurante l’illuminismo, Rahel Varnahgen. Ma anche Simone de Beauvoir nel suo Il secondo sesso trova le parole più convincenti quando abbandona l’analisi storico-antropologica della prima parte del saggio, per dedicarsi alla descrizione fenomenologica di alcuni momenti dellavitadelle donne attraverso il racconto. (a cui poi ricorre esplicitamente nei racconti e nei romanzi che compongono la sua stessa autobiografia).
Storiche (Varikas) e filosofe(Cavarero) hanno in tempi recenti ripreso la questione, facendo convergere nella narrazione biografica e autobiografica l’apporto dello sguardo di genere nelle due discipline.
["Un uomo, che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna.’Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?’si chiede a questo punto Karen Blixen" Da karen Blixen, citata da Adriana Cavarero. "la storia di vita in cui siamo impegnati lungo tutto il corso della nostra vita non ha alcun visibile o invisibile artefice perché non è fatta". Anche se per chi agisce "il significato dell’atto non consuiste nella storia che ne consegue", dal succedersi delle sue rivelazioni attive risulta sempre una storia: la sua storia di vita. Egli non ne è l’autore, ne è però il protagonista. La storia, risultata dalle sue azioni, è così una trama impalpabile che va in cerca del suo racconto, ossia del suo narratore.(Adriana Cavarero, "Tu che mi guardi, tu che mi racconti.Filosofia della narrazione", Feltrinelli, 1997, con citazione da Hannah Arendt, "Vita activa", Bompiani, Milano, 1989)]
Basti pensare qui alla Storia delle donne filosofe di Gilles Menages. La tesi di Chiara Zamboni mi sembra molto condivisibile. Le filosofe ci sono state nella storia, solo che la filosofia era una pratica diversa da quella che poi si è imposta nell’età moderna. Era una pratica di scuola, di gruppi, di famiglie, ed era soprattutto una pratica legata all’oralità, e questo fino all’età ellenistica. E’ molto probabile,come attesta lavicenda di Ipazia, ed èanche la tesi di un libro sul rapporto tradonne escienza, che sia stato il cristianesimo,e soprattutto la sua versione medievale,la versione dei dottori della chiesa, dei chierici scrivani e della scolastica, a imporre la pratica filosofica come letturadei testi delle autorità.Malgrado Galilei in realtà la filosofia moderna non riuscì a liberarsi di questo principio continuando a ruotare attorno alle questioni di Dio e mondo come erano state impostate dalla visione scolastica dello stesso pensiero dei grandi classici greci.[ma questo è argomento di un altro saggio].
La società di massa e i diritti dell’individuo
Il XX secolo è il secolo in cui si afferma la società di massa. Si va dalla omologazione dei consumi a quella dell’informazione e quindi della politica. Sono tutti fenomeni legati alla seconda industrializzazione che si affermano negli Stati Uniti e in Europa alla fine dell’ottocento per dispiegarsi poi soprattutto con la prima guerra mondiale e i regimi totalitari.
Di contro alle masse non può non far valere i suoi diritti l’individuo. Ecco l’emergere, nella letteratura, nella filosofia, nell’arte del novecento, l’individualità, il soggetto. Scomposto e ricomposto (Proust), frammentato (Pirandello). Non più l’individuo eroico o virtuoso delle vite di Plutarco, ma il singolo “gettato”nel mondo (Heidegger),diverso e solo, alle prese con l’oscurità della sua coscienza e dei suoi atti (Freud)
Da qui probabilmente l’importanza delle biografie. Si diffondono e autorizzano soprattutto il discorso dell’eccezionalità (nascono come abbiamo detto, in un’epoca di massificazione e di rifiuto, da parte di alcuni, di questa massificazione), ma poi si prestano, essendo comune l’esistenza naturale e storica di ogni uomo almeno nelle linee essenziali – la nascita, l’infanzia, l’educazione, le scelte, il rapporto con gli altri, l’amore, il rapporto con la società, la malattia, la vecchiaia, la morte - ad esser usate come testimonianza storica, come dato fenomenico, esistenziale, del vissuto di ognuno di noi, in ciò che ha di comune – ma anche in ciò che ha di diverso - col vissuto degli altri.
La storia di genere La storia di genere ha dovuto fare i conti con l’assenza di fonti (come Virginia Woolf),di punti di riferimento nella stessa periodizzazione, nella individuazioni degli stessi spazi, oltre che delle categorie e dei temi.
Ancora secondo l’insegnamento di Simone de Beauvoir, siccome donne non si nasce ma si diventa, allora occorre vedere da vicino come si diventa donne .
Alcune riflessioni
Eleni Varikas
Eleni Varikas, nel suo L’approccio biografico nella storia delle donne, in Altre storie. La critica femminista alla storia (a cura di Paola Di cori), Clueb1996, dice che l’attuale interesse per la biografia, da più parti e con diversi fini ed esiti, mostra comunque un aspetto della nostra epoca. L’approccio femminista si iscrive in questa atmosfera ma non è motivata solo da questa, avendo la biografia una tradizione di ben più lunga durata negli studi femministi. L’autrice parte addirittura da Christine de Pisan, ma si sofferma soprattutto sulle biografie del XIX secolo nelle pubblicazioni femminili e femministe. Le quali in primo luogo cercano di sostituire alle categorie, ai criteri di selezione maschili quelli femminili. Ovviamente questi criteri risentono delle battaglie politiche dell’epoca, sono volte a rinvenire l’oppressione, le figure eccezionali nella loro sofferenza o nella loro emancipazione (si citano Fanny Lewald che pubblica nel 1888 un’antologia di ritratti biografici di uomini e donne, Claire Démar, ma soprattutto Louise Otto che riunisce in una raccolta ritratti di dodici streghe sentendo il bisogno di ridefinire il termine). L’attuale interesse delle femministe fa parte di quella che l’autrice definisce una sfida antipositivista. Quest’approccio comporta tre aspetti: "in primo luogo la diffidenza verso i paradigmi interpretativi tradizionali dell’esperienza sociale delle donne; infatti, se l’analisi della realtà sociale ha finora escluso, marginalizzato o mal interpretato le esperienze femminili, un modo di fare biografia che consideri il genere come fattore centrale per la costruzione dei rapporti sociali passa in larga misura per ’una problematica che pone come suo centro le vite individuali delle donne. Si è chiamati (e) a rendere conto di quello che succede realmente nella vita quotidiana delle donne e a chiarire come quegli eventi siano da loro vissuti’ [Acker, Barry, Esseveld] Si tratta cioè "di non sottomettere più l’esperienza sociale delle donne a delle categorie d’analisi già predisposte, ma al contrario di elaborare queste categorie partendo dall’esperienza sociale delle donne [biografia di Catherine Beecher] . "Un secondo aspetto della sfida femminista è la critica di ogni approccio scientifico che consideri le donne (ma anche gli uomini) come oggetti scientifici di osservazione e di manipolazione da parte del ricercatore-soggetto. E’ evidente che questo tipo di critica non è stata inventata dalle donne e che costituisce ormai da tempo l’oggetto di dibattiti, in particolare nel campo dell’etnologia e dell’antropologia. Ma è forse perché le donne hanno costituito (proprio come le ’tribù’ di ’selvaggi’) uno dei gruppi sociali più radicalmente cosificati dagli approcci normativi di questa visione scientifica, che la ricerca femminista ha tanto insistito […] sulla necessità di riconoscere a sua volta l’oggetto della ricerca come un soggetto a pieno titolo; e di istituire al rapporto di sfruttamento che esiste tra questo e i ricercatori - o le ricercatrici - un rapporto di reciprocità.[…] Questo approccio ha uno statuto etico poiché affronta il nucleo centrale della struttura gerarchica della ricerca. Possiede anche uno statuto politico nella misura in cui postula che la ricerca debba essere condotta con una finalità di emancipazione, ossia in una prospettiva che dovrebbe contribuire all’eliminazione dei rapporti di oppressione e di sfruttamento di cui sono vittime le persone e i gruppi studiati […] E’ ilcondividere una stessa posizione sociale che fonda la legittimità dell’atteggiamento empatico, terzo elemento della sfida femminista all’oggettivismo delle scienze sociali e della storia: questo atteggiamento di empatia nei confronti dei propri soggetti acquista anche uno statuto cognitivo, dato che conduce la ricercatrice a porre come problemi tutta una serie di ’fatti’ che la sociologia o la storia ufficiale considerano come in sé evidenti." In questo approccio non mancano ambiguità. [vedi fotocopie]
Eileen Power
“Io credo che la stroia sociale si presti soprattutto ad essere trattata in un modo che potremmo chiamare individualistico, e che di fronte al lettore comune si possa far rivivere il passato più concretamente personificandolo, anziché presentandolo sotto forma di dotti trattati sullo sviluppo della signoria terriera o sul commercio medioevale, pur tanto necessari allo specialista. Perchè in definitiva la storia vale in quanto vive, e l’affermazione di Maeterlinck, “Qui non ci sono morti”, dovrebbe essere sempre la divisa dello storico” (Prefazione a "La vita nel medioevo", Einaudi scuola) . Patrizia Gabrielli
In Biografie femminili e storia politica delle donne ("Italia contemporanea", n.200, settembre 1995,pp.493-509) Patrizia Gabrielli parla di un nuovo statuto della biografia e dell’autobiografia nella disciplina storica.
"La documentazione autobiografica, strettamente connessa al "vissuto" dei protagonisti, permette di indagare la politica al di là degli aspetti normativi e prescrittivi; di soffermarsi sulla rielaborazione, nell’esperienza quotidiana, del termine politica e dei suoi valori; di tenere conto della dimensione soggettiva della militanza.
Assenze e silenzi hanno un valore rilevante per la ricercatrice. Scrivere la propria autobiografia è infatti "un atto creativo" (Georges Gusdorf) nel quale "giocano un ruolo fondamentale le gerarchie di valori e di idee dominanti nel contesto storico sociale in cui la biografia è prodotta.
"riformulazione del concetto di politica avanzata dalle donne , dove il privato sembra dilatarsi superando le rigide barriere che lo dividono dal pubblico... la ridefinizione del rapporto tra pubblico e privato consente una rilettura delle sedi della politica ampliando i margini di studio e mettendo a fuoco meglio le vicende e i luoghi in cui le donne furono protagoniste. Una particolare attenzione meritano i momenti dell’aggregazione sociale, non soltanto le società di mutuo soccorso e le leghe di mestiere, ma anche le associazioni a scopo ludico ed educativo. p.506
Un territorio fecondo di indagine riguarda l’attività svolta nel campo dell’istruzione e dell’educazione. Molte ragazze all’indomani dell’Unità d’Italia sono chiamate ad attendere alla formazione del buon cittadino. E’ un compito nuovo nel quale le donne mettono alla prova le loro capacità, si assunmono nuove responsabilità....Giovani volenterose, animate dal desiderio di migliorare il proprio status, popolano gli edifici scolastici fatiscenti e malsani dei comuni rurali, vivono la contraddizione profonda tra i desideri, le ambizioni di affermazione personale e lo scarso riconoscimento ricevuto dalle istituzioni; educano all’amor di patria, porgono agli allievi i primi rudimentali isegnamenti sullo Stato e i diritti doveri del cittadino, mentre sono, in virtù del loro sesso, escluse dalla cittadinanza Sono contraddizioni laceranti che aprono, in molti casi, ripensamenti e riflessioni sul ruolo sociale appena conquistato e sui personali progetti di vita" p.507 "Il ruolo di insegnante ed educatrice sembra strutturare la loro personalità per porsi a fondamento della identità politica"p.508 "Scuola ed educazione, ma anche assistenza e sviluppo delle politiche di Welfare, sono terreni fecondi ai fini di un ampliamento della storia politica delle donne."p.509
Il Novecento: antifascismo e resistenza
Un caso particolare in cui le memorie rivestono una particolare importanza è quella della storiografia sull’antifascismo e sulla Resistenza.
"In questo ambito (filone della storiografia legato alla memorialistica), sia per le donne sia per gli uomini, accanto ai diari, alle memorie, ai racconti, anche le biografie degli antifascisti confluiscono in una scrittura sia personale sia biografica che alimenta ’ una sorta di autobiografia corale, costruita nel tempo, che intende restituire e rivendicare ruoli, oltre che trasmettere dei valori’ (Laura Mariani, Note di storia delle donne: l’enciclopedia della resistenza, in "Storia e problemi contemporanei", n. 4, luglio-dicembre 1989)
In Italia, ovviamente, le biografie e le autobiografie sulle donne, se si sceglie il ’900, sono occupate interamente dalla tragedia della guerra e del fascismo. In genere poi per lo più si tratta di persone giovani (Capponi), adolescenti (Maria Occhipinti) o addirittura bambine (le sorelle Mafai, Giuliana Saladino) durante il fascismo, in ogni caso mature o quantomeno consapevoli, durante la guerra e la resistenza. Anche nelle biografie meno “politiche” - Rita Levi Montalcini, Paola Masino, Maria Antonietta Musumarra – lo sfondo è inevitabilmente quello, e quindi queste biografie ci fanno conoscere la storia italiana, del fascismo in particolare, attraverso uno sguardo del tutto inedito, che è quello delle donne – sguardo eccentrico per eccellenza – ma anche dell’infanzia – sguardo “puro” (vedi a questo proposito “Il testo autobiografico del ’Novecento, a cura di Reimer Klein e Rossana Bonadei, Milano, Guerini, 1993, in particolare il saggio Lejeune in cui parla del valore dell’infanzia che ha meno filtri per riflettere la realtà).
Diversi i casi di donne ( e uomini...) di altre nazioni. E’ il caso della autobiografia di Leni Rifenstal e della biografia di Ingrid Bergmann. Da notare che il mondo del cinema forse a causa del fenomeno del divismo ha prodotto molte biografie e autobiografie, forse più che il mondo della letteratura (insomma da verificare, proprio quantitativamente). A proposito, non c’è niente che accomuni le due donne e le loro storie, a parte il fatto che non sono italiane...anche se a pensarci bene entrambre, anche se in maniera estremamente diversa, hanno avuto a che fare col nazismo, vedendone, per il loro ruolo e per il loro lavoro, gli aspetti meno atroci.Nel caso della Rifenstal addirittura si tratta della regista del furher.
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