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E’ trascorso un anno di pandemia senza averci capito niente

.... non è mai sorta la domanda fondamentale: perché ci è toccato patire per primi e poi anche con il più alto numero di morti e con maggiori perdite economiche il contagio del SARS-COV2 cinese, rispetto a altri paesi europei, che pure tengono con la Cina rapporti commerciali ben più fitti del nostro?

di Gaetano Sgalambro - sabato 2 gennaio 2021 - 1954 letture

Per quasi tutto il 2020 l’acuta e greve domanda che tutti i media si sono posti è stata se la drammatica pandemia ci stesse cambiando in meglio o in peggio: quasi fosse lo stress test preliminare del giudizio universale. Il quesito è senz’altro pieno di sussiego etico quanto di provincialismo culturale. Comunque sia, accettandola per celia, posso dire che delle due opzioni resterebbe praticabile solo la prima, non essendo ulteriormente degradabile la seconda (“in peggio”).

Invece non è mai sorta la domanda fondamentale: perché ci è toccato patire per primi e poi anche con il più alto numero di morti e con maggiori perdite economiche il contagio del SARS-COV2 cinese, rispetto a altri paesi europei che pure tengono con la Cina rapporti commerciali ben più fitti del nostro?

Non si è posto la domanda il ministro della salute, né alcun componente del CTS, costituito dai più alti ministri delle discipline mediche e ospedaliere, fra i quali vi sono diversi professionisti d’indubbia vaglia nel loro settore di specifica competenza. Della stampa d’informazione cosa resta da dire? Che dopo la faticosa domanda testé accennata, more solito si è adagiata su posizioni di comodo e diplomatiche, senza nulla mai approfondire e verificare.

In particolare, ci siamo fatti vanto di essere stati i primi a essere attaccati improvvisamente dal nuovo coronavirus, che da due mesi avevamo visto in tv impervesare violentamente sulla provincia cinese di Whuan (6mln di abitanti), senza mai spiegarci il perché ci fosse toccato di conquistare questo non invidiabile primato europeo Abbiamo millantato il merito di essere stati d’esempio per gli altri paesi, nonostante stessimo riportando risultati fra i peggiori, e nessuno ha sollevato eccezioni. Neanche al ricordo di quando i paesi limitrofi ci chiusero entro una cintura sanitaria di sicurezza. Non ci siamo mai chiesti se le generiche «individuali misure cautelative sanitarie» (il portare la mascherina chirurgica, il distanziamento fisico, declinato fino alla sua espressione massima, la quarantena generale, e l’igiene delle mani), valessero anche come le più opportune «misure epidemiologiche» per meglio controllare la diffusione del virus pandemico nella società o se non ci fossero strategie sistemiche specifiche. E quelle adottate dai paesi orientali? Tutti hanno denunziato l’iniziale mancanza totale di mascherine chirurgiche e di tamponi diagnostici, ma nessuno s’è chiesto il perché.

La ragione di tutti questi perché mancati sta nel semplice fatto che in un paese dove quasi la totalità delll’attività politica dei partiti e legislativa del parlamento è improntata all’estemporaneità (perché doverci pensare anzitempo?) e al pressapochismo non può albergare la cultura pragmatica della prevenzione, della quale, nella fattispecie, l’epidemiologo è il protagonista assoluto. Tuttavia nessuno ha visto e sentito parlare con competenza specifica un vero epidemilogo. Abbiamo visto solo moltissime sue controfigure, anche se alcune di queste avevano un alto profilo professionale, peròdi diversa competenza. «Ma perché è rimasto sconosciuto?», qualcuno si sarebbe dovuto chiedere. «Perché non ce n’è stasto il bisogno, improvvisando l’abbiamo supplito un pò tutti. Come d re nessuno!», io avrei risposto.

Premetto che esso non ha il compito di attaccare con presidi farmacologici, ove ci siano, direttamente il SARS.COV-2 o di curare i pazienti infetti. Questo compete ovviamente ai farmacologi e ai medici (generici e specialisti). Ha il compito specifico (come detto, usurpato) di limitare la diffusione del contagio nella società. A ciò individuerà, per tutto il paese, le varie quote percentuali espressive dei soggetti infettati (i sintomatici) e soprattutto di quelli solo infettanti (gli asintomatici) per evitare che s’incrocino nelle attività sociali e familiari con i soggetti sani, acciocché il virus non si trasmetta a quest’ultimi per via aerea. Evitando, così, di farne esplodere la mortalità complessiva e di arrivare al punto di dovere imporre la quarantena generale, dalle gravi conseguenze economico-sociali.

Per fare questo, valendosi delle sue conoscenze multidisciplinari, raccoglierà i dati espressivi del precedente contagio al fine d’individuarne fonte d’origine, direttrice portante e percorso. Nel nostro caso, già giunto alla dimensione omni-macroscopica, il tragitto principale è stato Cina-Italia e la direttrice il lavoro-affari. Sulla base dei dati quantitativi epidemiologici acquisiti calcolerà la velocità di diffusione del coronavirus e ne individuerà le direttrici di diffusione entro il paese, delle cui varie attività sociali conoscerà i particolari essenziali: uomini e mezzi impegnati, sedi, organizzazione e modalità di svolgimento. A questo punto, valendosi della specifica competenza sulle più sofisticate tecniche statistiche di rilevazione dei dati significativi, e della conoscenza dei più idonei mezzi diagnostici disponibili, predisporrà un intelligente piano di screening diagnostici, articolati in diverse tipologie di protocolli, per differenziare le zone di «rischio potenziale» da quelle di «rischio attuale», entro le quali potere predisporre più precise strategie di protezione per le diverse categorie sociali di soggetti. Predisporrà anche piani di monitoraggio continuo e di raccolta immediata dei dati significativi su piattaforma digitale per velocizzarne l’elaborazione. Il tutto da gestire da una sola cabina di regia per il territorio nazionale, tenendo conto dello stato del quadro sanitario, gestito da una seconda cabina di esperti clinici e ospedalieri. Alla fine suggerirà alle autorità politiche centrali lo spettro delle misure preventive applicabili per il riassesto organizzativo delle attività sociali e per la migliore salvaguardia della salute individuale.

Ma niente di tutto questo abbiamo visto in Italia, mentre lo abbiamo visto succedere in paesi orientali. Nelle recenti leggi e nei numerosi DPCM relativi a «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19» si parla solo d’impieghi flessibili di misure restrittive, sempre fondate sulle arcinote (dal medioevo) misure sanitarie cautelative di protezione individuale. Il paradosso è stato raggiunto con l’allegato al DPCM del 3 novembre ultimo, contenente la lista di 21 parametri per valutare automaticamente “il rischio COVD-19”, il cui valore è espresso in tre colori diversi. Peccato che “il rischio COVD-19” sia una miscellanea tra i fattori del “rischio contagio” e del “rischio clinico”, laddove sarebbero stati da stimare separatamente e da correlare solo dopo. Ciò per due ordini di motivi, uno di principio e l’altro metodologico: il peso dei parametri del rischio clinico sono di ordine morale e quindi di natura diversa e molto più pesanti dei primi; la rilevazione dei dati del primo è eseguita con strumenti diagnostici di sensibilità e specificità diversi, quindi decisamente non omologabili. Ne è nato tecnicamente un pastrocchio clinico-politico, fedelmente espressivo della scarsa cultura sanitaria e politica dei suoi autori, ma che è una bestemmia per gli epidemiologi e non certo una fortuna per i cittadini.


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