È stata la mano di Dio

Un film di Paolo Sorrentino, con Toni Servillo, Filippo Scotti, Teresa Saponangelo, Marlon Joubert, Luisa Ranieri. (Genere Drammatico - Italia, 2021, durata 130 minuti).
Come si racconta una storia biografica? Con quale stile narrativo? Quali particolari personali inserire e, soprattutto, come renderla appetibile al pubblico senza il rischio di annoiarlo? E’ più di una diceria da dietro le quinte quella che vuole l’autore del racconto, che sia letterario o cinematografico, come un indiretto protagonista che si nasconde tra le righe o le sequenze filmate.
È la dimostrazione che non si può narrare un evento senza averlo, almeno in parte, vissuto personalmente. Su questo particolare ci giocò lo stesso Massimo Troisi nel suo film d’esordio Ricomincio da tre del 1981, quando a un giovane Lello Arena in una scena pronuncia la battuta "Ma pecché Dante nun’a cunusceva veramente Beatrice?".
Sorrentino sceglie la semplicità di uno stile narrativo che richiama al teatro partenopeo d’altri tempi, quell’intramontabile sceneggiata dolce e amara che ha conquistato le platee di tutto il mondo e che, dentro ognuno di noi, ci fa sentire tutti napoletani. Una metafora comunicativa prevale sulle altre tra i vari piani sequenza del film È stata la mano di Dio, l’ultima opera del regista insertia già tra i 15 titoli in shortlist che si contenderanno l’Oscar 2022 per il miglior film internazionale, una metafora che il regista centellina in tre episodi separati, distanziati tra loro e apparentemente con nessuna logica narrativa.
Ad un certo punto del film fa la sua comparsa Aldo (Alessandro Bressanello), il fidanzato attempato di una delle zie zitelle di famiglia e con diversi problemi fisici, tra i quali l’utilizzo di un laringofono per parlare. Durante una gita in mare con il resto della famiglia, la zia Patrizia del protagonista Fabietto Schisa (Filippo Scotti), alter ego di Paolo Sorrentino. personaggio di conturbante follia interpretato da Luisa Ranieri, stanca degli sproloqui metallici dell’anziano, gli sottrarrà il laringofono per gettare in acqua le batterie.
È la premessa che appare come una delle tante scene comiche che arricchiscono il film di Sorrentino, ma che nello sviluppo della trama si ricollega con una scena successiva nella quale il protagonista Fabietto rimane a discutere con il regista Antonio Capuano, interpretato da Ciro Capano. Durante questa che diventerà una lezione di vita, il giovane Fabietto riceverà lo sprono per decidere di raccontare una storia, una qualsiasi suggerita dal fascino del crepuscolo che lentamente sommerge il panorama di Napoli nella notte che risveglia l’istinto di vita al quale nessuno può sottrarsi.
Uno sprono che non sarà solo il motivo che farà decidere al protagonista di abbandonare Napoli, il ricordo dei suoi genitori morti a causa di un incidente domestico provocato dall’avvelenamento da monossido di carbonio emesso da un caminetto durante il loro soggiorno a Roccaraso, la voglia di affidare la propria vita al sogno che la carriera da regista cinematografico sa rendere una realtà artefatta ma vera. Sincero, come il bisogno che Paolo Sorrentino percepisce in forma di necessità ineludibile nella quale rifugiarsi.
Uno sprono che la zia Patrizia (Luisa Ranieri), ormai rinchiusa in un sanatorio mentale, irriversibile visione del mondo che non può essere compreso dalla massa, che affascina e terrorizza, che ammalia e disorienta. Quella zia che in un ideale ultimo incontro con il nipote, pronto a raggiungere Roma e la sua ambizione da regista, gli lancerà attraverso le sbarre della sua "cella" una batteria elettrica che sostanzialmente gli darà il veto della parola e quindi del raccontare.
Il titolo del film richiama al Pibe de oro, un richiamo soltanto sfiorato nelle sequenze, tra immagini di repertorio e qualche scena ricostruita. Diego Armando Maradona, altra fonte di ispirazione per Sorrentino in tutta la sua carriera cinematografica. Il vero dio, rivoluzionario, irrispettoso delle regole, genio e follia, spartaco o donchisciotte contro i falsi dogmi di regole di vita, non solo di gioco.
Il coraggio di inseguire il sogno, la promessa infantile da mantenere ad ogni costo. Contro tutti e tutto. Perché come ebbe a dire Fabrizio De André: "Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare".
Il film è stato presentato in concorso alla 78ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove ha vinto il Leone d’argento - Gran premio della giuria e il giovane Filippo Scotti, alla sua prima esperienza cinematografica, ha ricevuto il premio Marcello Mastroianni.
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