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Doris Day RIP

Muore a Carmel-by-the-Sea, il 13 maggio 2019 l’attrice e cantante Doris Day, nata Doris Mary Anne Kappelhoff a Cincinnati, il 3 aprile 1922. Aveva 97 anni.

di Sergej - mercoledì 15 maggio 2019 - 2143 letture

Sicuramente Doris Day incarnava la faccia perbene dell’America - era la “fidanzata d’America” - che con la globalizzazzione nordamericana tra il 1943 e il 1968 divenne senza riserve la “fidanzata” del mondo che aveva nell’industria, nel cinema, nel supermercato il proprio modello di vita. Incarnare gli ideali della tolleranza e del buono - il sapore vuono dei manicaretti della massaia, il sapore buono del profumo, il sorriso sempre stampato sul viso - significa attraversare l’America ancora profondamente razzista degli anni Quaranta e Cinquanta, gli anni del consumismo e la nascita del rock. Doris Day si pone tra Frank Sinatra e Elvis Presley per dare la giustificazione all’America perbenista, violenta, segregazionista, maccartista. L’America che torna a casa dopo la morte di Carol Lombard e la cacciata di Charlie Chaplin. E trova una casa perfettamente pulita, sistemata, dotata di scale ampie che portano al primo piano; la cucina senza una sola macchia di sporco - piena di elettrodomestici come quelli esibiti nell’esibizione all’Esposizione di Mosca del 1959 davanti a Kruscev -, in cui la donna ha il compito di preparare il drink al maritino che torna dal lavoro di dirigente ma è capace anche di prendere la macchina (enorme, molleggiata) e accompagnare i bambini a scuola. E tra una cosa e l’altra fare una cantata cinguettante.

Nella mia cinefila giovinezza non credo di essermi mai perso un suo film - trasmesso dall’unico canale Rai dell’epoca, solo dopo affiancato dal secondo canale fino al miracolo del colore. Film spensierati, canterini, persino in quelli più “impegnati” (regia di Alfred Hitchcock) con una vena di leggerezza, aproblematicità. Il mondo roseo, poi portato all’estrema conseguenza da Ed Wood nelle tinte del travestitismo horror fino al travestitismo di Divine (Polyester, 1981 regia di John Waters). Sono gli Studi di Hollywood, depurati dal codice Hays - l’America che ringrazia Roosevelt e il new deal ma che sceglie Truman e la bomba atomica.

Doris Day era la versione femminile di Ronald Reagan (se guardate i due volti, si somigliano…). Entrambi repubblicani, entrambi parte di quell’America WASP - bianca, anglo-tedesca-sassone, protestante e puritana - che hanno dominato questa parte del mondo esportando poi i propri valori al resto del mondo e donando a noi Topolino e la NATO (stesso anno, settant’anni fa, non a caso).


"«La mia immagine pubblica è inevitabilmente quella dell’integerrima vergine d’America, la ragazza della porta accanto, spensierata e sprizzante felicità. È un’ immagine più lontana dalla realtà di qualsiasi ruolo abbia mai interpretato. Ma non c’è verso: sarò per sempre la signorina cintura di castità», Doris Day diceva a A.E. Hotchner in un libro di interviste pubblicato nel 1976, tre anni dopo che l’attrice di Il letto racconta, Amami o lasciami, L’uomo che sapeva troppo, si era ritirata dagli schermi.

Day – che, nonostante i quattro mariti (uno peggio dell’altro, a sentire il necrologio del New York Times), il critico Dwight McDonald definì perfidamente: «sana come una scodella di cornflakes e almeno altrettanto sexy» – è mancata lunedì a Carmel, all’età di 97 anni."

Fonte: Giulia D’Agnolo Vallan da: Il Manifesto, 14 maggio 2019.



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