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Digiunano in tremila ma non interessa a nessuno

Giornali e Tv fanno il totonomine per il posto di ministro della Giustizia e si disinteressano dei diritti dei detenuti. Intanto si ammazza il 26° detenuto dall’inizio dell’anno.

di Adriano Todaro - martedì 7 giugno 2011 - 3043 letture

Il dottor Carmelo Musumeci ha appena terminato di discutere la tesi di laurea “Pena di morte viva”. Musumeci, 56 anni, è dottore in Legge e può fare festa con familiari e volontari della casa d’accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII. Una festa a tempo limitata, 12 ore. Dopo rientrerà in carcere, a Perugia.

Gli ergastolani, in Italia, sono 1400 e il dottor Carmelo Musumeci è la prima volta che esce dal carcere dopo 20 anni di reclusione. Ha avuto 12 ore di permesso, ore che non aveva mai avuto né per il matrimonio del figlio e neppure per altri momenti importanti che avvengono in una famiglia nel corso di 20 anni. Dal carcere, il dottor Carmelo Musumeci non uscirà più perché ha una condanna all’ergastolo ostativo. E’ dal 1992 che esiste questo speciale ergastolo e si applica a quei detenuti che non collaborano con la giustizia, in pratica che non fanno i nomi di complici ma anche dei nemici.

Mentre nell’ergastolo, diciamo così semplice, rimane un barlume di speranza, nell’ergastolo ostativo non c’è nessun spiraglio alla speranza, sei murato vivo. Ecco perché il titolo della tesi di Musumeci era “Pena di morte viva”. Perché coloro che hanno sulle spalle l’ergastolo ostativo sono morti viventi.

Questo è uno dei tanti episodi avvenuti nelle carceri in questi giorni fra suicidi, mancanza di cure mediche, sovraffollamento, violenze. Un episodio positivo, certo, che però non inficia quel girone terribile che sono le carceri italiane. E c’è un altro episodio avvenuto in questi giorni nelle carceri che sta passando nel più completo silenzio dei vari mezzi di comunicazione di massa.

Si tratta di uno sciopero della fame attuato da 3 mila detenuti iniziato da giorni e portato avanti, in varie carceri italiane, in solidarietà con lo sciopero della fame per la democrazia e l’amnistia perseguito dall’anziano leader radicale Marco Pannella da più di un mese. Ma per i giornali questa è una non notizia. Tre mila persone che scioperano non è una notizia degna di essere riportata da giornali e Tv; meglio parlare del tempo o delle diete in preparazione della prova bikini dell’estate, meglio interessarsi di Angelino Alfano e di chi lo sostituirà o delle cazzate che dicono due ferrivecchi come Daniela Santanchè e Flavio Briatore.

E’ una protesta, la loro, pacifica e coraggiosa con obiettivi non univoci ma mossi comunque da un denominatore comune, quello della maggior democrazia necessaria nelle nostre carceri. Si digiuna per poter avere la guardia medica anche dopo le 22, si digiuna per avere celle meno affollate perché non è possibile vivere in cinque persone in dieci metri quadri, si digiuna affinché si possa lavorare, studiare, fare volontariato all’interno di quelle mura. Si digiuna per veder, finalmente, applicato l’articolo 27 della Costituzione dove si afferma che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Già. Bellissime parole. Un articolo, il 27, chiaro e semplice che i nostri legislatori, reduci di aver provato e sofferto la galera fascista, hanno voluto inserire proprio per dare una speranza a tutti, anche a coloro che si sono macchiati di orrendi delitti e che, giustamente, devono espiare la loro colpa ma sempre con “senso di umanità”. Come è possibile tendere alla “rieducazione del condannato” vivendo in cinque in pochi metri quadri? E perché oltre alla pena, alla mancanza di libertà, contrariamente ad altri Stati europei, il detenuto italiano deve privarsi anche degli affetti familiari?

Lo sciopero della fame, che interessa tremila detenuti, ha avuto la solidarietà fattiva dell’Unione delle Camere Penali. Dal 1° giugno, a turno, ogni componente della Giunta ha cominciato a digiunare per 24 ore. L’Unione delle Camere Penali, si legge in un comunicato, “da tempo denuncia la drammatica situazione delle carceri italiane e ha più volte ribadito la necessità di predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti nelle carceri italiane a contenere il sovraffollamento. Il governo, e gran parte della politica, sono sordi a queste richieste”.

La stessa solidarietà ai detenuti in sciopero arriva dall’associazione Psicologi penitenziari i quali evidenziano il rapporto del Bureau of Democracy Human Rights and Labor che condanna il mancato rispetto dei diritti umani nelle carceri italiane e sottolineano l’articolo 32 della Costituzione sul diritto della salute che “deve essere ugualmente garantito ad ogni persona, sia in stato di libertà o di detenzione o comunque sottoposta a misura ristretta della libertà personale”. Non solo. Gli psicologi si chiedono come sia possibile che il colloquio con lo psicologo al momento del primo ingresso in carcere del detenuto, dopo 20 anni, sia ancora definito “in via sperimentale”. In più c’è la “umiliante riduzione del monte ore di lavoro di noi psicologi penitenziari… che umilia la nostra professionalità, il nostro impegno, i nostri anni di ‘manovalanza’ retribuita al di sotto dei minimi previsti dalle tabelle…”. E ancora solidarietà ai detenuti in sciopero della fame, è arrivata da parte del neo sindaco di Milano, Giuliano Pisapia.

Vedremo se queste prese di posizioni sortiranno qualche effetto. Per ora solo un assordante silenzio verso quel mondo che non si vuole accettare, dove anni di politica securitaria e messaggi roboanti e antidemocratici hanno creato una breccia nel sentir comune delle persone che vedono le carceri come qualcosa di distante, che a loro non interessa, ambienti popolati da banditi, assassini, pedofili. Buttare via la chiave, questa la linea governativa e tenendo conto che sulle carceri, come visto, si può lucrare allegramente, ecco allora che bisogna preparare il terreno nei confronti dell’opinione pubblica così da convincerla che sono necessarie la costruzione di nuovi istituti penitenziari, considerato che il numero dei detenuti si avvicina sempre più a 70 mila persone con disponibilità solo di 42/44 mila posti.

Le galere sono le discariche sociali, i nuovi ghetti. In galera ci finiscono sì gli assassini ma la stragrande maggioranza dei detenuti è costituita da chi ha contravvenuto alle leggi sull’immigrazione e droghe. Per ogni criminale esistente nelle carceri, ci sono almeno cinque persone finite in carcere spesso per ignoranza, perché non hanno soldi, non hanno un buon avvocato. Ci finiscono, soprattutto, chi non ha cultura, chi non ha avuto opportunità sociali.

E invece di battersi per cercare di inviare nelle carceri meno persone possibili, si pensa di aumentare i posti, costruire nuove carceri. Questa linea governativa è assurda anche dal punto di vista dell’economia perché ogni detenuto in carcere costa e costa molto. Più logico sarebbe depenalizzare certi reati spesso solo di carattere amministrativo e far scontare la pena a domicilio o in altre strutture.

In California, recentemente, la Corte suprema degli Usa ha imposto al governatore Schwarzenegger di ridurre di un terzo la popolazione detenuta entro tre anni, essendo tenuta a garantire il diritto alla salute e a condizioni di vita dignitose ai circa 150 mila detenuti di quello Stato.

Nel nostro Paese, invece, si continua a parlare. In Parlamento, qualche settimana or sono, c’è stato il dibattito sulla politica penitenziaria italiana. Molte le assenze fra maggioranza e opposizione e così sono state approvate tutte le mozioni, sia di maggioranza che di opposizione. Viene così approvata quella della maggioranza che “impegna il governo a proseguire nell’attività intrapresa, dando seguito alla completa realizzazione dei nuovi istituti penitenziari e alla programmata assunzione di nuovo personale” e quella dell’Udc che chiede depenalizzazione e riduzione delle pene detentive. Il Pd vuole monitorata la riforma dell’assistenza sanitaria in carcere e cancellare le preclusioni all’accesso alle alternative per i recidivi. L’Idv vuole organismi indipendenti di controllo delle carceri, la formazione permanente degli operatori sui diritti umani e reinserimento dei detenuti. Tutti, poi, chidono più poliziotti. Ma nessuno sottolinea che non è costruendo più carceri che si risolvono i problemi. Solo l’Udc afferma, in un passaggio, che per costruire nuove carceri ci vogliono i soldi e i soldi il governo non li ha.

Insomma, un gran bailamme, completamente inutile alla soluzione dei problemi dei detenuti. Ma già i nostri onorevoli sono distratti da altri fatti, a loro più congeniali. Se Alfano, attuale ministro della Giustizia, va a fare il segretario del Pdl, chi prende il suo posto? Comincia così il toto nomine e le pagine dei giornali si riempiono di nomi e di caselle da occupare. Cicchitto? La signora Gelmini? E al loro posto chi andrà?

E mentre i giornali parlano di questi “gravosi” problemi, nel carcere di Spoleto un altro detenuto si è tolto la vita, impiccandosi con un lenzuolo. Aveva 53 anni e stava scontato una pena all’ergastolo. Dall’inizio dell’anno è il 26° detenuto che si uccide per un totale di 71 morti. Anche questa, come i 3 mila che digiunano è una non notizia. Meglio capire se l’ex P2 Cicchitto arriverà alla Giustizia o sarà scalzato da una che per essere promossa aveva deciso di andare a sostenere gli esami in Calabria. Le persone giuste al posto giusto.


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