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Detenuto muore dopo 50 giorni di sciopero della fame

Era a Lecce per piccoli reati e qualche rapina. Aveva 38 anni, veniva dalla Romania. Una storia "normale" come quella del tentativo di suicidio a Reggio Calabria e la morte di un ragazzo di 28 anni a Pavia

di Adriano Todaro - martedì 15 maggio 2012 - 3000 letture

E’ morto un criminale. Era in galera e quindi, era un reietto, un bandito, un malvagio. Pop Virgil Cristria, 38 anni, romeno, si è lasciato morire dopo 50 giorni di sciopero della fame fra il 12 e il 13 maggio scorso. Non è una notizia. Nelle carceri, lo ripetiamo spesso, ne muoiono tanti, l’anno scorso 66. Ma Pop Virgil Cristria da 50 giorni non toccava cibo e pochi hanno fatto qualcosa per salvare questo "criminale".

L’agenzia Ansa chiarisce che aveva sul groppone un cumulo di pena di 18 anni di reclusione. Aveva ucciso? No. Aveva falsificato bilanci? No. Aveva fatto speculazioni edilizie sulla pelle dei cittadini? No di certo. E allora? Allora il romeno aveva compiuto piccoli furti, qualche rapina, altri piccoli reati per ‒ come scrive l’Ansa ‒ "assicurarsi la sopravvivenza nel Paese dove era giunto, dalla Romania, per avere un futuro migliore: per questo era stato condannato".

Pop Virgil Cristria ha inviato diverse lettere al suo avvocato che stava a Monza mentre lui stava nel carcere di Lecce, una struttura affollatissima come tutte le carceri: 1400 detenuti con 650 posti previsti. Il suo avvocato, Renata D’Amico, è stata però l’unica persona che aveva un rapporto con lui e lui si lamentava che non lo stavano a sentire, che lui era innocente, che desiderava poter disporre di una macchina per scrivere o un vecchio Pc.

Alla fine la terribile decisione di rifiutare il cibo, di lasciarsi morire (pesava ormai 50 chili ed era alto 1,80), per gridare il suo "no" al carcere, al modo con cui era stato condannato, all’essere solo un numero e non più un essere umano, Pop Virgil aveva cambiato diverse carceri, in Campania, in Lombardia, in Puglia. Viveva in strada, si arrabattava nel cercare di vivere in qualche modo, era passato in diversi processi difeso da avvocati d’ufficio frettolosi e non coordinati tra loro, stritolato da una macchina giudiziaria che non tratta tutti allo stesso modo, dove i potenti non fanno mai un giorno di carcere e i poveracci come Pop ci muoiono.

L’avevano mandato anche nel carcere psichiatrico di Aversa ma lì avevano deciso che non era incompatibile con il carcere e allora di nuovo dentro, nella bolgia infernale dei senza diritti, senza speranza. A Monza aveva tentato il suicidio, poi atti autolesionisti. Tutto inutile. La giustizia deve fare il suo corso. La certezza della pena. Quante palle hanno messo in testa alla gente. Per Pop la pena era certa, anzi certissima. Eppure questa certezza l’ha condannato a morte.

Conoscendo un po’ l’ambiente carcerario non crediamo troppo che nessuno l’abbia ascoltato all’interno del carcere. Sappiamo che tecnici e volontari fanno egregiamente il loro dovere. Ma sono senza troppi poteri (soprattutto i volontari) e subissati da mille problemi da risolvere. Solo un caso che a Lecce ci siano solo 8 educatori ogni 180 detenuti? E uno psicologo ogni 240?

Ma questa è la normalità nei 205 istituti detentivi italiani. Mentre Pop Virgil Cristria moriva, proprio nelle stesse ore, nel carcere di Reggio Calabria, gli agenti di polizia penitenziaria sono riusciti a sventare un tentativo di suicidio di un detenuto italiano di 30 anni. Non hanno dato il nome, solo la nazionalità. E anche in questo carcere grossi problemi di vivibilità: i posti disponibili sono 200; i detenuti 400!

E in carcere si muore anche per malattia, perché non sempre è possibile ricevere le cure necessarie. Il 7 maggio scorso è morto un detenuto di 28 anni, Dani Renati, per tumore. Era detenuto per furto di una bicicletta e borseggi vari. Ora i genitori, Elsa ed Antonio, vogliono vederci chiaro e accusano che non l’hanno curato adeguatamente. Era in carcere da 22 mesi e il 25 aprile era stato scarcerato perché malato terminale. Lui stava a Pavia, aveva chiesto di andare ad essere curato a Milano.

Storie di ordinario carcere. Ne succedono ogni giorno di queste terribili storie. Sarà bene non dimenticare mai che in carcere si muore ogni giorno e che in carcere si finisce anche per aver rubato una bicicletta o per aver effettuato piccoli furti per sopravvivere.


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