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Descolarizzare la società - leggendo Ivan Illich

Circola nell’istituzione scolastica il disprezzo verso ogni attività non funzionale al mercato. Si induce alle scelte programmate mediante un’operazione di “ridimensionamento programmato” di talune discipline...

di Salvatore A. Bravo - venerdì 2 agosto 2024 - 400 letture

Il mercato a scuola

La vera rivoluzione è la partecipazione. La rivoluzione comunitaria-comunista non è semplice ridistribuzione dei beni materiali e soddisfazione dei diritti individuali e sociali, la rivoluzione è il popolo che prende la parola nei corpi medi e nella politica. Le rivoluzioni hanno sempre reso secondaria tale aspirazione, ponendo le condizioni per il declino delle conquiste rivoluzionarie. La scuola è il corpo medio per eccellenza: è il corpo medio sospeso tra famiglia e mondo del lavoro, in cui si impara a prendere la parola, ad ascoltare e a decidere assieme.

L’attacco alla scuola e alla sua riduzione a semplice “arte e mestieri”, in cui si forma l’operaio-tecnico ubbidiente cela da sempre il timore della partecipazione. Le recenti proposte in attuazione con cui gli istituti tecnici sono riqualificati con la formula 4+2, descolarizzeranno la scuola trasformandole in officine, i cui alunni risponderanno ai bisogni del mercato-imprenditori, è l’ultima tappa di questa china conservatrice-reazionaria iniziata con l’autonomia delle scuole. Si forma il tecnico ridimensionando l’uomo.

Dove vi è sottomissione il potere diventa dominio e reca con sé la reificazione dei popoli e dei singoli. La scolarizzazione quale forma di controllo e formazione di personalità da inserire nel mercato produce personalità anonime; le resistenze personali sono vinte con l’abbaglio della carriera e con la minaccia della marginalità sociale. Circola nell’istituzione scolastica il disprezzo verso ogni attività non funzionale al mercato.

Si induce alle scelte programmate mediante un’operazione di “ridimensionamento programmato” di talune discipline e di intronizzazione delle discipline che consentono al mercato di proliferare e radicarsi. Su tutto brilla ancora una volta la figura dell’uomo-imprenditore. Le nuove forme di razzismo e di discriminazione sono striscianti; si lascia formalmente inalterata la forma giuridica della democrazia, ma si agisce per svuotarla di senso nei luoghi deputati alla formazione. Democrazie e scuola sono un binomio inscindibile.

Nel nostro tempo a capitalismo totale per democrazia si intende unicamente il mercato. Il popolo è solo carne da mercato. La sottomissione si concretizza e organizza mediante processi subdoli di sottomissione e di condizionamento delle personalità. Il lessico quotidiano nelle scuole è rigorosamente aziendale; gli alunni e gli operatori scolastici imparano ad utilizzarlo. L’uso comporta la progressiva formazione di personalità specializzate nella lingua del mercato, al punto da non saper pensare che per calcoli e risultati. L’utile è il paradigma che destabilizza le personalità e smantella la formazione integrale (paideia). Non vi è discussione alcuna sulle finalità della pubblica istruzione, ma solo un accomodante silenzio da cui esala un’impotente frustrazione.

Descolarizzare con Ivan Illich

Ivan Illich con le sue critiche al sistema sociale e formativo prepotentemente asservito all’utile delle oligarchie ci consente di comprendere il nostro tempo inquietante. Nelle sue opere egli ha denunciato le forme di sottomissione al modo di produzione capitalistico e le smaschera nella loro violenza. Bisogna “descolarizzare la società”, liberarla dall’apprendimento curvato sull’utile e sull’accumulo di titoli.

La superbia sociale è uno degli effetti della società-scuola che ha come obiettivo l’accumulo di titoli da spendere sul mercato. La superbia sociale è divisoria, poiché gli individui imparano a ragionare e a calcolare per titoli. Negli ultimi decenni questa deriva, già presente, si è estesa e ha irretito trasversalmente le nuove generazioni. I titoli sono un mezzo per affermarsi e vendere le “competenze”. La formazione umana è così oggetto di disprezzo, perché inutile e indisponibile alla vendita. La privatizzazione della scuola ha accelerato tale processo, al punto che i titoli determinano la professione, ma essi sono legati al censo e non certo al “mito del merito”. Descolarizzare significa riappropriarsi della formazione ed emanciparsi dalla fabbrica dei titoli con le sue metodologie precostituite a cui ci si deve adattare. I processi di sottomissione didattica servono a formare l’essere umano rigorosamente “conforme alla pedagogia del mercato”.

Si apprende in una pluralità di modi, e specialmente, ci si deve liberare dalla sacralizzazione dei titoli, i quali producono e riproducono la società delle caste. La sottomissione e la gerarchia sociale si riproduce mediante l’industria dei titoli verso la quale si ha una “fede salvifica”, da essa sembra dipendere il destino dei singoli ormai atomi che “comprano e consumano in formazione”:

“La scuola non favorisce né l’apprendimento né la giustizia, perchè gli educatori insistono a mettere nello stesso sacco l’istruzione e i diplomi. L’apprendimento e l’assegnazione dei ruoli si fondono in una cosa sola. Ma apprendere significa acquisire in proprio una nuova capacità o una nuova conoscenza approfondita, mentre si è promossi grazie a un giudizio che altri si è formato. L’apprendimento è spesso un risultato dell’istruzione, ma la selezione per un ruolo o per una categoria nel mercato del lavoro dipende in misura sempre maggiore dalla mera durata della frequenza scolastica. L’istruzione è la scelta delle circostanze che facilitano l’apprendimento. I ruoli invece vengono assegnati stabilendo una serie di condizioni cui il candidato deve ottemperare se vuole ottenere il diploma. La scuola ancora l’istruzione - non però l’apprendimento - a questi ruoli. Il che non è né ragionevole ne é educativo. Non è ragionevole perché stabilisce un rapporto dei ruoli non con le qualità o le competenze a essi attinenti, ma con il processo mediante il quale si postula che tali qualità vengano acquisite. Non è liberatorio o educativo perché la scuola riserva l’istruzione a coloro che in ogni fase dell’apprendimento sanno adattarsi a un dispositivo di controllo sociale precedentemente sanzionato” [1].

La società per caste si riproduce mediante la distribuzione dei titoli. Con l’aziendalizzazione della scuola e la sua privatizzazione, il valore dei titoli dipende dal prestigio monetario delle istituzioni, per cui è il censo che determina la compravendita dei titoli e la casta. Le istituzioni prestigiose in teoria sono per tutti, in realtà sono “luoghi istituzionali”, dove il privilegio si riproduce e si naturalizza. La formazione globale e la partecipazione sono oggetto di pubblico disprezzo e di ostracismo. Ci si deve specializzare per essere competitori specializzati sul mercato dell’offerta lavorativa:

“Il curricolo è sempre servito ad assegnare il rango sociale. In certi casi era prenatale: il karma ti ascrive a una casta, il lignaggio all’aristocrazia. Oppure poteva assumere la forma di un rituale, di una sequenza di ordinazioni sacre, o consistere in una successione d’imprese di guerra o di caccia; poteva anche avvenire che l’avanzamento dipendesse da una serie di precedenti favori del principe. L’istruzione universale avrebbe dovuto separare l’assegnazione del ruolo dalla storia personale; il suo scopo era di dare a ognuno eguali possibilità di accedere a qualsiasi mansione. Ancora adesso molti credono erroneamente che la pubblica fiducia poggi su titoli culturali pertinenti in quanto la scuola se ne fa garante. Ma invece di eguagliare le possibilità, il sistema scolastico ne ha semplicemente monopolizzato la distribuzione” [2].

Liberarsi dalle catene

Il sistema dei titoli produce un taglio nell’immaginazione e nell’intelligenza critica e favorisce la iattanza castale dei titoli. Non vi può essere democrazia nella sottomissione e nella produzione di individui da immettere e da sacrificare sul mercato secondo l’ordine della produzione, consumo e riproduzione dei titoli.

L’olocausto dell’indole personale è la prima richiesta che la scuola-mercato richiede. Il ruolo dell’insegnante è fondamentale in tale sistema, è il servo che consente al dispositivo di riprodursi. Il docente fa parte della classe dirigente, ma in funzione dell’abile servo che deve riprodurre il sistema. Deve controllare e normalizzare, la funzione educante declina a favore di quella adattiva. Deve passare il messaggio che il mercato è il “dito di Dio” in Terra che tutto decide e garantisce l’inclusione a coloro che si offrono alle sue leggi. La sottomissione si impara a scuola nella quale si insegna il disprezzo per l’economia vernacolare e per l’autonomia culturale ed economica. Dipendere dal sistema è il punto finale del processo di “deformazione della natura umana e dunque dei singoli” che gradualmente diventano sudditi, perché ragionano da subalterni senza speranza:

“In ciascuno di questi tre ruoli l’insegnante fonda la propria autorità su una prerogativa diversa. Come insegnante-custode funge da cerimoniere, che guida gli allievi nei labirintici meandri di un lungo rituale. Vigila sull’osservanza delle regole e gestisce le complicate norme dell’iniziazione alla vita. Nei casi migliori, predispone il terreno adatto all’acquisizione di qualche capacità particolare, come hanno sempre fatto i maestri di scuola: senza illudersi di produrre una profonda cultura, addestra meccanicamente i propri allievi ad alcune tecniche basilari. Come insegnante-moralista si sostituisce ai genitori, a Dio o allo stata. Catechizza l’allievo su ciò che è giusto o inammissibile, non soltanto a scuola ma nella società in genere. Sta in loco parentis per ciascun ragazzo e garantisce in tal modo che tutti si sentano figli dello stesso stato. Come insegnante-terapeuta si ritiene autorizzato a frugare nella vita privata dell’allievo per aiutarlo a crescere come persona. Ma questa funzione, esercitata da chi si sente anche custode e predicatore, comporta di solito che egli persuada l’allievo ad accettare passivamente la sua visione della verità e le sue idee su ciò che è bene” [3].

I processi di reificazione collettiva sono sempre più evidenti, e come ha insegnato Marx l’alienazione è espressione delle contraddizioni sociali e della negazione della natura generica dell’essere umano (Gattungswesen), si favorisce l’idiotismo specialistico che struttura individui che si lasciano usare dal dispositivo di potere. Ripensare la scuola è rimappare l’ordito linguistico e concettuale in cui siamo implicati. Senza tale operazione di emancipazione personale e collettiva non vi è speranza e non vi è politica. Il problema principale è quanto vogliamo donare al nostro processo di liberazione, il quale ha il suo cominciamento con la testimonianza personale, ma può diventare modello di emancipazione comunitaria: la scommessa è la prassi, che smentisce la condizione di tragica assuefazione. Il conformismo specialistico non è l’ultima parola, l’essere umano senza “paideia” è mutilo della sua natura, pertanto con Ivan Illich dobbiamo resistere e testimoniare, anche in silenzio, affinché la barbarie non sia l’ultima parola. Dobbiamo rammentarci di Platone che nel Libro VII de La Repubblica ha descritto senza fraintendimento il senso della formazione:

«E a questo procedimento non dai il nome di dialettica?» «Certamente». «La liberazione dalle catene», continuai, «la conversione dalle ombre alle immagini e alla luce, l’ascesa dalla caverna sotterranea al sole, e qui la persistente incapacità di guardare gli esseri viventi, le piante e la luce del sole, le loro immagini divine riflesse nell’acqua e le ombre degli esseri reali, ma non più delle immagini proiettate da un’altra luce analoga a quella del sole: lo studio di tutte le arti che abbiamo passato in rassegna produce questo effetto e innalza la parte migliore dell’anima alla contemplazione della parte migliore dell’essere, come prima elevava il più acuto dei sensi corporei alla contemplazione dell’oggetto più luminoso nel mondo materiale e visibile».

La formazione è liberazione dalle catene della sottomissione che in ogni epoca assumono “forme istituzionali diverse”. Una civiltà che ama le sue catene e le indora con aspettative illusorie non può che essere destinata a cadere in terribili tragedie.

[1] Ivan Illich, Descolarizzare la società, capitolo I: “Perchè dobbiamo abolire l’istituzione scolastica”

[2] Ibidem.

[3] Ivan Illich, Descolarizzare la società, capitolo II: Il fenomeno della scuola, paragrafo III


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