Della testardaggine umana e altre bizzarrie...
recensione del libro di Guareschi ’’Il Destino si chiama Clotilde’’
Bizzarro, ironico, imprevedibile. Sono i tre aggettivi che vengono prima in mente pensando al libro di Guareschi intitolato ’’Il Destino si chiama Clotilde’’. L’inconfondibile stampo di Guareschi emerge senz’altro in questo suo romanzo alquanto originale. Nelle prime pagine non si sospetta di un romanzo sentimentale; si e’ deviati piuttosto verso un’avventura fantasiosa dall’impronta grottesca.
Man mano che si sfogliano le pagine, e comunque gia’ prima della meta’ del libro, diventa piu’ che chiaro, anche poi attraverso le parole della protagonista, che il romanzo si colora del sentimento per eccellenza che domina tutta la trama: l’amore di Clotilde Troll per Filimario Duble’. Guareschi non risparmia certo la sua fantasia in questo suo lavoro; infatti basta solo pensare alle personalita’ degli altri personaggi che animano la storia, quali Settembre Nort e Pio Pis, per avere un quadro completo dell’originalita’ dell’autore. Nei tratti dei suoi personaggi, Guareschi costruisce delle perfette caricature dei difetti umani: particolare rilievo assume nella storia la testardaggine di Filimario che per nessuna ragione accetta di bere il famoso ’’bicchiere di olio di ricino’’ che sua madre lascia quale condizione sine qua non per ottenere l’eredita’ di famiglia.
Altrettanto ostinato si mostra nell’avversita’ verso la personalita’ di Clotilde, che sostituendosi al ’’destino’’ cerca di farlo cadere ai suoi piedi. D’altra parte riflessione dello stesso autore che vicino all’epilogo afferma: << ... in fondo Filimario e’ l’uomo piu’ infelice del mondo: e’ una vittima del suo carattere d’acciaio.>> Cio’ a conferma di quanto detto poc’anzi e cioe’ libro della parodia dei difetti umani, in particolare della testardaggine che contraddistingue non solo Filimario, ma anche Clotilde e se ci si sofferma un attimo sulla presentazione dei due personaggi che accompagnano Filimario nelle sue disavventure, ci si accorge che anche il signor Settembre non e’ da meno. Testardaggine contrastata poi da un’altra caratteristica umana,dipinta in modo non meno grottesco, e cioe’ la debolezza disarmante di fronte alla donna desiderata che rende l’uomo ridicolo a se’ stesso (lo si puo’ vedere in Pio Pis e in Giorgino). Ogni personaggio gioca un suo ruolo nella storia; anche le figure che in un primo momento sembrano semplici comparse, alla fine del libro, quando il quadro di tutta la trama e’ completo, acquistano il loro significato.
E’ il caso della contrabbandiera Ketty che inaspettatamente nell’ultimo capitolo, acquista un ruolo decisivo: con un classico trabocchetto fa incontrare nuovamente i due protagonisti e da qui si va’ velocemente e felicemente all’epilogo della storia e non senza i commenti che vengono dalla simpatica ’’nuvoletta’’ dei defunti genitori di Filimario che hanno seguito la storia da spettatori, scommettendo sul finale. Finale che svela qualche sorpresina come la capitolazione di Fil che da marito devoto da’ la prova piu’ grande del suo amore a Clotilde, che con un sortefugio gli fa bere il fatidico ’’bicchiere di olio di ricino’’. Anche qui come non notare quel sottile velo di ironia nel vedere una scena cosi’ usuale nella vita: quella della mogliettina che con le sue armi riesce a far fare quello che desidera al marito. E proprio nell’ultima scena si scopre il pragmatismo di Clotilde, simbolo voluto dall’autore della peculiarita’ femminile. Questo finale dona una rilettura a tutta la trama.
Tuttavia il lieto fine lascia sicuramente il romanzo in quell’aurea di sentimentalismo che si intravede dopo i primi capitoli. Interessante e da non far passare inosservata nel libro, la disgressione dell’autore su un periodo della sua vita nel Sud America, con le sue rocambulesche avventure immerse in uno scenario fantastico sul quale, azzarderei un’accostamento agli scenari dei romanzi di un altro grande autore quale Garcia Marquez. Lettura consigliata per chi vuole un libro sempre attuale, veloce da leggere, ma senza per questo trascurare di trasmettere dei messaggi, che se trovati, lasciano spazio alla riflessione.
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