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Della guerra odiosa: una catastrofe annunciata?

Essere in guerra e fare la guerra sono esperienze di natura diversa. Non a caso si “sfoggia” il detto: “armiamoci e partite”...

di Massimo Stefano Russo - domenica 27 marzo 2022 - 4450 letture

Nel parlare sulla guerra il rischio è di perdersi, si generalizza o ci si trastulla tra disquisizioni e chiacchiere, ci si scontra appassionati a sostenere risoluzione e appelli, sulla necessità di ricorrere alle armi e rafforzare gli arsenali per evitare la guerra. Un dibattito incessante e lungo, è interessante, ma alla luce dei fatti risulta fastidioso, per non dire stucchevole. Raccontare la guerra, farne testimonianza è importante, ma non può significare darne spettacolo. Negli studi televisivi i virologi hanno lasciato il posto agli esperti di geopolitica e a generali di cui non sapevamo nemmeno l’esistenza, mentre molti opinionisti si affannano a capire e farci capire.

Essere in guerra e fare la guerra sono esperienze di natura diversa. Non a caso si “sfoggia” il detto: “armiamoci e partite.” Se la guerra è morte perché la si fa? La guerra è anche definita giusta, per difendersi dal nemico aggressore ed evitare, con la chiamata alle armi, l’annientamento, la soppressione. Nei Balcani si arrivò a invocarla come fonte di salvezza e in questi anni tante guerre si sono preparate, ci sono state e continuano a esserci. Nella guerra si sottolinea il coraggio, il valore, l’ardimento, ma si teme la morte data dall’attacco, nello scontro micidiale con il nemico, delle cui potenziali azioni si ha paura. La guerra preventiva, quale operazione militare, è fatta di esercitazioni e addestramento. Il conflitto che degenera spesso in guerra vuole affermare il proprio potere, la propria volontà di potenza. “Eravamo in guerra” serve a giustificare le azioni di guerra, salvo poi a indicarle come criminali. “Siamo in guerra” sprona a combattere, ad attaccare e difendersi. La guerra pochi la vogliono, molti la fanno.

Da minaccia, intesa come deterrente a lungo è stata definita “guerra fredda”. Quanti nel futuro si interrogheranno sulla guerra in Ucraina dovranno molto ragionare e riflettere per rispondere alla domanda: “com’è potuto accadere?” Tanti i segnali e le avvisaglie succedutesi negli anni, di volta in volta ignorati. Non si è tenuto in debito conto la parola dei pochi analisti (“profeti di sventura”) che dicevano di stare attenti che prima o poi sarebbe accaduto. Anche stavolta siamo stati colti impreparati. Può essere una giustificazione? Le immagini che si susseguono su quanto accade in Ucraina sono terribili. La follia bellica porta via migliaia di vite umane.

Da un lato la Russia dall’altro l’Ucraina. L’aggressore e l’aggredito. Dell’uno e dell’altro spesso parliamo “a vanvera”, ignorando la complessità della realtà e delle situazioni in campo. Sotto quale luce va vista la battaglia per l’Ucraina? I criminali di guerra, processati e condannati, sono da mettere alla sbarra, con altri gli accordi e le trattative.

Kiev il 22 giugno del 1941 fu bombardata alle 4 del mattino dall’esercito tedesco e ci fu l’entrata in guerra della Russia; l’annuncio formale alla radio lo diede alle 12 Molotov, sarebbe stata la Seconda guerra mondiale. Dopo poco più di ottant’anni assistiamo impotenti a una riproposizione della storia con un’invasione insensata che vede ancora una volta protagoniste la Russia e l’Ucraina, su versanti opposti, in un conflitto armato dove le avvisaglie c’erano tutte.

Possiamo essere prigionieri della guerra? L’Ucraina è terra di confine, fertile e ricca di risorse naturali. Il crocevia tra l’Europa e l’Asia, nei secoli martoriata, vi sono accaduti atti terribili che abbiamo preferito rimuovere o ignorare. Il 6 dicembre 1240 i mongoli di Batu Khan presero Kyiv e la rasero al suolo. Il massacro fu orrendo.

Lo scontro fra Russia e Occidente ha avuto inizio il 18 marzo 2014, quando il Presidente russo e le autorità locali firmarono il trattato d’ingresso della Repubblica di Crimea nella Federazione Russa. Per trasformare la guerra in pace bisogna saper ricorrere al pensiero politico in grado di agire, capace di negoziare e mediare, garante attivo e concreto della vita. La guerra, oscena e orripilante, ci riguarda tutti, per questo va ripudiata e combattuta con le armi della ragione, alla ricerca di soluzioni alternative, nella logica della riconciliazione che riappacifica. Di fronte al pericolo nucleare non ci può essere alcun diritto né tantomeno un dovere a priori da riconoscere alla guerra. La guerra è pertinenza dei militari, dei soldati, ma investe e ricade sui civili, uccide gli inermi, soprattutto gli anziani, le donne i bambini, i disabili. Può essere giustificata? Ci può essere oggi ancora una guerra giusta? C’è bisogno di eroi e di guerra?

La guerra è violenza, male, cattiveria. Una malattia inquietante da prevenire e curare con le armi dell’intelligenza riconoscente e saggia. Perché si vuole, ci vuole la guerra? Quali le ragioni di chi fa la guerra? Il fatto che la parola guerra in Russia sia messa al bando indica il tentativo maldestro di volerla chiamare in altro modo per giustificarla, come se bastasse il nome di operazione militare speciale, per accreditarla e avvalorala in quanto necessaria e indispensabile. Nell’essere dalla parte del torto e pretendere di aver ragione c’è l’inaccettabile. Ma chi ha torto, chi ha ragione? L’aggressore e l’aggredito in campo, dove ognuno ostenta con forza le proprie ragioni, arrivano facilmente a scambiarsi le parti. L’operazione militare speciale inganna e camuffa la guerra, ma non basta la dissimulazione linguistica per renderla cosa buona e giusta. In Ucraina c’è in gioco il futuro del mondo, dal punto di vista sia materiale che ideale. L’economia mondiale, a partire da quella russa, ne uscirà distrutta.

La pace è un valore da garantire costantemente, combattendo per migliorare la qualità della vita, per ridurre le disuguaglianze economiche e dare a tutti pari opportunità.

La Grande Russia, immolatasi nella Grande guerra patriottica, per sconfiggere il nazifascismo, da tempo ha smesso di ergersi come valore e punto di riferimento mondiale per gli oppressi e gli sfruttati. Ha rappresentato un mito, spesso trasformatosi in un incubo, per le scelte scellerate compiute dai politici.

Il dominio sovietico è durato 74 anni, e oggi l’autocrate al governo della Russia da 22 anni nutre ambizioni nostalgiche nel ricercare un nuovo potere imperiale. L’obiettivo primario del Presidente moscovita è garantire la propria longevità politica. Il suo avventurismo, alfa e omega di tutti i mali, nasconde dei lati oscuri, con una componente delinquenziale, vuole cancellare e stravolgere quanto sviluppato negli anni. Eppure il 27% degli italiani nel 2019 (+ 11 punti rispetto al 2014) dichiarava la propria fiducia e stima in Putin, considerandolo per il 39% il leader del futuro. La Russia piaceva e piaceva Putin a tanti italiani. (La vicinanza di Berlusconi e Putin passa attraverso la reciproca convinzione che tutto si possa comprare e vendere). La Russia, sempre più democratura e sempre meno democrazia, che pur affascina e seduce, abbiamo una scarna informazione. La vita in Russia, dove scendere in piazza e protestare comporta rischiare pene giudiziarie, anche molto pesanti è dura e la gente stanca.

Un paese terribile dove le persone buone diventano cattive o capitano loro brutte cose narra Keith Gessen che in Un paese terribile riflette sulla realtà della Russia di oggi, invitando a capirne i cambiamenti e le trasformazioni avvenuti e in atto. Pensare all’ex Unione Sovietica solo in termini di errori e crimini ci aiuta nel comprendere la situazione attuale, che si è venuta a creare? Perché c’era e c’è molta gente contenta di vivere lì? Cosa simboleggia la Russia odierna e quale opinione se ne ha? Perché il suo modello ha attratto e ha avuto successo? Nel vivere in Russia c’è l’orgoglio di appartenere a un Paese dalla storia antica e forte. Quale la posta in gioco?

La demolizione dell’URSS, ha segnato la fine di un’epoca, ma la Russia resta misteriosa. Da modello ibrido, rappresenta molte culture senza essere multiculturale si è affermata quale roccaforte di un rinato nazionalismo. Il delirio nazionalista e la guerra civile, nell’essere sovranisti è un rischio. La Russia, con i russi solo in parte occidentali, è considerata estranea, se non ostile all’Occidente. C’è chi sostiene che la società russa sia intimidita dall’intrusione dello Stato nella vita privata delle persone, eredità della mentalità sovietica che sopravvive nell’educazione familiare. Il contesto socio-economico, alla base del successo e del consenso dell’ordine putiniano, ha visto il ventennio putiniano migliorare la qualità della vita dei russi, con l’aspettativa di vita passata dal 65,9 del 1999 al 72,9 del 2017. Puntare alla stabilità da carisma e consenso a Putin. L’Occidente per Putin porta il caos e la stessa democrazia occidentale è al tramonto. Solo gli stati autocratici, Russia e Cina in primo luogo, possono gestire il nuovo ordine mondiale. Chi beneficia dell’attacco all’Ucraina che al crollo dell’URSS era la terza potenza nucleare del mondo? Putin confida nelle risorse energetiche della Russia da cui dipende l’Occidente. Controlla sapientemente i media e col manganello politico assesta colpi bassi ai suoi oppositori. Ha indirizzato il voto politico, con metodo illiberale, senza truccare le elezioni: l’OSCE ha certificato la sostanziale correttezza del voto alle parlamentari del 2016. Manipola aggressivamente l’opinione pubblica, con metodi spregiudicati, ma legali, inammissibili nella democrazia matura. I guai di Navalny, fondatore del partito del Progresso, definito liberale, libertario, nazionalista e populista e anche opportunista sono iniziati per aver bollato “Russia Unita,” il partito di Putin, “un’accolita di ladri e o imbroglioni.” Per Navalny, Putin - da vero zar - per rimanere al potere ha scelto la formula del presidente a vita. Quale sostegno reale ha Putin? I russi lo amano veramente e il suo consenso è realtà o finzione? Ha basato e costruito il suo potere sui clan familiari che controllano i ministri, le principali banche, le compagnie del Paese e gran parte dell’economia nazionale. La Russia nella classifica delle nazioni più corrotte è al 120esimo posto (su 163). Gli oligarchi, nati col crollo dell’Unione Sovietica, hanno trasferito, con metodi discutibili e incredibili, ricchezze pubbliche al privato.

Il 7 maggio 2018 Putin, rieletto per il suo quarto mandato, ha tracciato le linee programmatiche con l’obiettivo di aumentare l’aspettativa di vita a 78 anni, dimezzare il numero di persone che vivono sotto la soglia della povertà, migliorare le condizioni abitative per almeno cinque milioni di famiglie all’anno e rendere la Russia la quinta economia mondiale. Un piano ambizioso e costoso che da zar lo vede dettare le linee guida.

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