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Dell’irragionevolezza dell’agire politico

Nel tentare di arginare i problemi difficili da affrontare, senza scrupolo alcuno la scelta cade sulla via definita dell’aggirare si altera la realtà: si sceglie il raggiro a tutto danno del popolo sovrano.

di Massimo Stefano Russo - mercoledì 23 ottobre 2024 - 436 letture

L’agire politico dovrebbe essere sempre associato alla “ragionevolezza”, in modo immediato e quasi istintivo. Nell’affidarsi alla ragione umana, riconoscendone i limiti e mettendone in dubbio l’infallibilità si permette di restringere la validità di un argomento, in relazione a determinate circostanze. La ragione “sensata” capace di guidare l’azione politica diventa indispensabile per tutelare i diritti fondamentali e universali, mentre l’uso della ragione solo quale abilità retorica che ricerca il consenso produce parole astratte, suggestive e mette in crisi il valore dell’agire. Quando la ragione manipola la verità e mistifica la realtà diventa nociva: può solo generare malessere e una “cattiva” politica, con conseguenze nefaste. Le idee e ancor più le leggi poco chiare ancor più oggi generano facilmente confusione nell’esprimere una “cattiva” ragione o affermare “una ragione non ragionevole”. Bisogna sempre tener presente che la crisi della “ragione” e della “razionalità” porta a determinare eventi disastrosi. Questa problematica premessa è essenziale per intendere l’insensatezza e l’evanescenza dell’attuale compagine che ci governa.

Di fronte ai migranti, accomunati dall’aver patito dolore e sofferenza che aspirano e desiderano la salvezza, nel voler vivere con dignità e liberamente la propria vita, oggi assistiamo a una politica governativa di “respingimento” che giunge alla pretesa di richiamare i magistrati al dover assecondare chi sta al potere. La democrazia viene così fortemente compromessa, col rischio di derive autoritarie e illiberali. È un paradosso che la politica e i politici chiamati a legiferare si considerino al di sopra delle leggi da loro stessi emanate.

Nello specifico la premier, nel ritenersi realista e pragmatica, ritiene e pretende che “le cose debbano andare in un certo modo” da lei medesima prestabilito, anche senza sapere bene in quale modo. Posta messaggi e riempie i social per comunicare a senso unico con l’elettorato: spesso nell’esprimere il suo disappunto mostra rozzezza e ingenuità; dal suo cercare di parlare in modo semplice, nel diventare guardinga e ironica si percepisce la sua scarsa preparazione, incapace di comprendere gli effetti delle sue azioni. Ce l’ha con amarezza e fredda collera con i magistrati ingrati. Ma si può stravolgere il diritto, l’ordinamento giuridico che ha forti legami con la scienza politica per fini politici di parte? Il diritto, attenti alle istituzioni e alla loro evoluzione nel vivere nelle norme, nelle leggi, fonda il “consorzio umano” e la polis. L’ordinamento giuridico ha in dote delle proprietà precise che individuate analiticamente, servono a definire l’agire e interpretarlo in base ai principi costitutivi fondamentali, per garantire la forma Stato e i cittadini.

La premier “scherzosa”, da donna più potente del paese, nel rallegrarsi del suo ruolo e definire la sua posizione “non ricattabile” si ritrova spesso inconsapevole e in singolare solitudine. Pienamente convinta del suo dire e fare nel suggerire le sue “interpretazioni giuridiche” intende guidare, anticipare e orientare nello specifico, con vere e proprie incursioni di campo per orchestrare gli eventi e dominarli. In tutto ciò dimentica che conoscere il contesto è fondamentale; un prerequisito essenziale per comprendere e agire di conseguenza. Proprio perché si ritiene pragmatica, nel voler mettere in atto situazioni concrete, dovrebbe riconoscere gli effetti possibili e potenziali delle sue azioni, mentre affidandosi alla “superficiale furberia italiana” si rivela instabile e incapace di autocorreggersi. Una premier che già comincia a vacillare e quando crollerà il suo “fortilizio politico” facilmente rivelerà la catastrofe del suo operato. Caduta in disgrazia perderà e finirà col ritrovarsi in contrasto lacerante con la propria intima coerenza.

Quanto oggi accade in merito al fenomeno migratorio mette in forte discussione l’agire politico nel voler affermare il potere della maggioranza in chiave populista, con molti effetti incerti proiettati nel futuro. Impreparati a governare, si tenta di semplificare la politica e ridurla a mera propaganda all’insegna del richiamo al popolo sovrano. Assistiamo così a un percorso inestricabile e tortuoso dove si intersecano e si mescolano tutta una serie di azioni contraddittorie e conflittuali in un incomprensibile andirivieni.

Nel voler esprimere la sovranità, intesa come il principio alla base del potere dello Stato moderno, si vuole formalizzare il diritto “assoluto” per esercitare un dominio incontrastato su un determinato territorio: un desiderio di supremazia che riflette la volontà di ristabilire con forza esclusiva il predominio a priori dell’autorità politica. Difficile condividere le politiche, le azioni e i fondamenti intellettuali di questa destra al governo, in particolare quando nel voler affermare il potere assoluto dello Stato sul territorio e sui suoi confini esprime e giustifica azioni drastiche contro l’immigrazione che alla prova dei fatti si rivelano irragionevoli e irrazionali.

Nel venir meno dell’armonia tra il pensiero e la realtà dove l’uno paradossale e polemico assilla e sa sempre meno dell’altra, si arriva facilmente ai conflitti che nel creare forti tensioni escludono: nel proseguire su questo percorso si rischia di aprire la strada alla dittatura. Nella migliore delle ipotesi nel tentare di arginare i problemi difficili da affrontare, senza scrupolo alcuno la scelta cade sulla via definita dell’aggirare si altera la realtà: si sceglie il raggiro a tutto danno del popolo sovrano.


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