Del tempo libero nelle carceri

Quali reazioni la parola carcere provochi in ognuno di noi, una cosa è certa: è una presenza che non può essere ignorata.

di Massimo Stefano Russo - mercoledì 5 ottobre 2022 - 2088 letture

Il tempo e ancor di più il tempo libero nei luoghi di costrizione, dello stigma, identificati e riconosciuti come “istituzioni totali,” assume senso e significato diverso rispetto alla normale regolarità scandita nel quotidiano.

Parlare di tempo e di tempo libero nel carcere, argomento problematico di assoluto interesse e priorità, causa diretta e indiretta di problemi, di cui si hanno scarse conoscenze, dove ogni cosa acquista forza e risonanza profonde, è difficile. Il carcere dall’esterno allarma, mette paura, spaventa, è visto come un mondo irreale che fa rabbrividire nel pensare alla vita, in tutto il suo malessere, torbida, abietta e famelica.

Il tempo in carcere viene rapportato e cadenzato in primo luogo alla pena imputata, in uno scorrere uniforme, dove tutto è concepito in modo che a un giorno ne segua un altro, nel ritrovarsi spesso fermi a guardare il muro, o fissare il pavimento. Privi di forza, in carcere si è immersi in un mondo oscuro, dove nulla sembra muoversi. L’assenza è percepita con difficile intensità e per questo lo sguardo distolto dove si intrecciano le vite. Facile il rischio di cadere in una sorta di “bontà dolorosa”, nel voler riuscire a domare il vissuto e provare a badarvi con cura. Frequentemente ci si ritrova così in uno stato di sfinimento e, avvolti dai frantumi degli istanti, ogni cosa incute un timore profondo, in preda a un senso di diffuso disagio. Chi è ancora pieno di voglia di vivere, pur incerto e vacillante, palpa con indifferenza l’intimità, avvertendone sorpreso tutta l’ansia: nonostante la vita corrente insistentemente si presenti silenziosa, lenta, inespressiva, sopraffatti dagli anni che inutilmente passano. La pietà, con animo benevole e indulgente, per essere autenticamente tale, deve scandagliare il cuore nel profondo.

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Piranesi - Carceri

Come scegliere e avviare da soli, isolati, in muta solitudine, senza aiuto alcuno se non delle proprie istintive risorse, un percorso attivo di recupero e riabilitazione? Come ricostruire il passato, nel guardare a nefandezze e miserie del percorso di vita vissuta, con una volontà di rinascita, in un concreto impegno, volti a un potenziale recupero grazie allo studio e al lavoro? Il carcere, universo chiuso, sordido, spesso bipolare e malato dove è presente l’esaltazione e l’abbrutimento si preferisce rimuoverlo sotto silenzio.

Il tempo diventato ostile, abbandonati alla propria personalità, fa percepire l’istintualità e temere l’aggressività. Come iniziare un percorso di trasformazione interiore, accogliere il negativo e l’oscuro, capaci di intraprendere una vita diversa? Il coinvolgimento emotivo produce afflizione e nel carcere, pericolosamente perduti, si testimonia e si tocca con mano, la tragedia della sofferenza. Dopo aver scontato tantissimi anni di carcere c’è chi si rende conto di aver buttato via in passato la propria vita, ma vuole continuare a vivere, dando senso all’esistenza, nel prendersi cura di sé, a partire dalle emozioni fatte di piccole cose, così da poter diventare un essere umano migliore. Nel carcere, le finestre sbarrate, si è chiamati a scendere a patti con la temporalità in prima persona, in un racconto retrospettivo della propria storia di vita.

Ci si ritrova concentrati, con lentezza carica d’ansia, chiamati a punire se stessi, giorno dopo giorno. Impossibile fare le cose con leggerezza e dimenticare completamente quanto accaduto, ma va pur sempre riconosciuto quanto c’è di buono nell’essere umano. Nel rimanere soli con i propri pensieri c’è chi, ostinato e risentito, si ritrae a dire: “è stato il destino a volerlo!” Nel vuoto, col cuore pieno di colpa, c’è l’assenza di una mancanza grande. Sottoposti a comandamenti e restrizioni le parole si accompagnano al linguaggio dei gesti dove paura e fiducia richiamano a comunicare, ritrovandosi a rappresentare il proprio io nel vivere alla giornata, nell’incunearsi di lamenti e meditazioni. Il pensiero fisso, senza possibilità alcuna di progettare nulla, nel procedere ci si rivolta su se stessi.

Quale spazio concedere alla rappresentazione degli istanti, nel recupero della vita interiore? A risuonare nel silenzio sono i passi pesanti che attraversano i corridoi e che si avvertono con insistenza quando finisce il turno e c’è il cambio. Sopraffatti dalla depressione, gonfi e dolenti, con le ombre che oscurano il viso e la mente, lo sguardo cupo e indifferente, è difficile trarre un po’ di conforto dal pensiero, pur consapevoli che nel passare del tempo nell’amare ci si relaziona ed emoziona.

Il mondo del carcere, è simbolicamente, ma anche concretamente caratterizzato da rapporti di forza gerarchici, vissuti in un immaginario collettivo di azioni regolari e ordinate, combinate e integrate abilmente, nel ripetere la solita routine. Seduti immobili a fissare il pavimento, in uno stadio precario di dolore, con astratte immagini di sofferenza e tragedia, balenanti in testa, si arriva a stare senza avere la minima idea del tempo che passa. Lo sguardo fisso e silenzioso, perplessi e disperati, ci si chiede come occupare il tempo, senza restare inerti, inattivi nel lasciarsi andare totalmente. Nel disagio del congedo dei colloqui quando non si sa cosa dire, fiduciosi e perseveranti, si può solo attendere che le parole arrivino, con un linguaggio breve, semplice ed essenziale, adoperando pochi vocaboli.

Si sente il bisogno di dare nome a ciò che esiste, ma nel fare ordine, quando manca la volontà di fare, facilmente si può smarrire la ragione e perdere il senso del limite. Il silenzio che cattura avvolge minaccioso. C’è chi ha la forza di retrocedere e finisce per accamparsi nel cuore del passato, riscoperto sotto una nuova luce. Una strategia di difesa in prima persona, da idealisti esploratori, nel chiamare le cose con i gesti. Senza poter godere della libertà materiale si va a caccia di essa con la mente, idealmente, inventando sogni raffinati, fatti di sentimenti timidi e delicati, struggendosi di una tenerezza di cui nessuno si riterrebbe mai capace. Nel guardare con coraggio in sé si tratta di evitare l’essere colti da perversa tristezza, per non rimanere in preda al turbamento, nel riflettere sulla crudele necessità di amare e il desiderio maligno di voler essere felici a tutti i costi.

Come andare oltre, con l’istintiva saggezza degli sconfitti orgogliosi, alla paura della tirannia del tempo, nell’indeterminatezza dei tanti anni da trascorrere e saper godere della vita che rimane? Di quali risorse poter disporre? C’è chi perde qualsiasi curiosità e rifiuta ogni incoraggiamento esplorativo. Nel movimentare l’oscuro della vita di cui poco si parla, pian piano le immagini del passato tornano nitide. L’immaginazione fervida è chiamata a nascondere a se stessi l’ansia, i sogni e le illusioni degli anni perduti.

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San Pietro in carcere - Serodine, 1620-1630

Col tempo i ricordi tendono a impallidire, a sfumare, rimangono i contorni. Far ruotare la propria esperienza attorno all’irrecuperabilità/recuperabilità consente ai ricordi di ricostruire un filo narrativo. Il connettere la propria vita personale del passato al presente diventa di indispensabile aiuto per gli interventi riabilitativi. Se la gioia è qualcosa di delicato che scalda il cuore, l’irrecuperabilità è spesso un’etichetta di comodo che serve per evitare l’impegno e il coinvolgimento. Capire com’è organizzata la vita in carcere è impossibile senza averlo vissuto. Le regole vigenti negli spazi di reclusione devono garantire che l’ordine non sia intaccato, a partire dal quotidiano.

Bisogna impedire che, in un clima di sorveglianza, stanchi e demotivati, l’ordine vigente sia forzato, per mantenere una routine consolidata, nell’acquisire comportamenti che poi diventano automatici, evitando le perturbazioni sempre minacciose. Ci sono emozioni, con i nervi a fior di pelle, che induriscono, nel respirare con sollievo, con la fronte aggrottata nel guardarsi le unghie e restare in silenzio con la testa bassa. Capita, in una rigida gerarchia di potere, che a sentirsi oppressi dalle restrizioni siano anche quanti, con qualifiche diverse, convivono con l’istituzione carceraria. Difficoltà e vulnerabilità dei singoli condizionano e influenzano i comportamenti e il coinvolgimento è importante per ottenere dei risultati.

All’omaggio rituale nei confronti dell’autorità si contrappone l’ostilità, avvertita sin dai piccoli comportamenti che, disattenti nei confronti dell’altro, tende a ignorare chi non ha potere alcuno. Privati di legami, di stimoli sociali, affettivi e cognitivi ci si sente rifiutati e abbandonati. Via via, assoggettati a regole e dinamiche istituzionali, si tende a perdere la propria identità in un processo di annullamento, privi di volontà.

Come iniziare un percorso di recupero, riabilitazione e stimolare interessi in universo sempre uguale a se stesso? Ci sono azioni meccaniche che si traducono in comportamenti sempre più rigidi, ripetitivi e inutili. I ritualismi, differenti dai rituali, costringono a comportamenti ripetitivi e rendono difficili nuovi apprendimenti.

Come recuperare idee vitali e restituire dignità, senso di vivere e forse anche il sorriso ai detenuti? In teoria e nella pratica l’aiuto va rivolto a uscire dall’anonimato della non esistenza. In prigione è importante mantenere buoni rapporti con gli altri e non rimanere completamente isolati, perché la forza facilmente diventa violenza e la brutalità lascia allibiti.

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Santa Caterina in carcere - Piacenza, chiesa di San Lorenzo - cappella di Santa Caterina, parete di fondo - ultimi decenni del XIV secolo

Si celano le emozioni e si mandano segnali ambigui, per costruirsi una corazza impenetrabile e impedire di indovinare le proprie vere intenzioni, sentendo su di sé l’altrui sguardo pesante, accerchiati dalle parole. “La gente non dimentica che sei stato un carcerato, anche quando si è scontata la pena.” Ci si può fidare di chi ha più volte consapevolmente sbagliato e si è posto fuori dalla legge? Il rischio è di essere prevenuti. Come rispondere alle nuove esigenze soggettive, in un rapporto diretto e dare forma alla propria figura di detenuto?

Gli esseri umani migliorano con gli anni e correggono alcuni lati negativi del proprio carattere? Bisogna stare all’erta, scaltri e attenti a non perdere tempo, per ottenere quanto richiesto e di cui si ha bisogno. La giornata, senza la praticare dell’attesa e della pazienza, diventa interminabile e seduti si corre il rischio di ritrovarsi disperati con la testa fra le mani. Solo la constatazione di essere forti, nascondendo le emozioni, libera dalla mercé degli altri. Il tempo, nello svegliarsi al mattino dentro lo stesso e immutato quotidiano mistero della vita, quando nell’arco della giornata scorre lento, sfibra e porta anche alla disperazione. Nell’ammettere gli errori fatti, con tutto il tempo per pensarci su, giorno dopo giorno, nell’attesa, si annotano mentalmente tanti dubbi, e responsabilità.

A essere messa alla prova, fermi a fare un bilancio della propria vita, nel riempire il tempo, è la forza di volontà e la resistenza fisica. Il ricordo oscuro della propria colpa, presa coscienza della verità, che attoniti fa male, non si spegne, quando lo sguardo rivolti verso di sé, ritorna alla violenza insensata, dolorosa e disonorevole per chi la commette. Se quando non si pensa nulla, distaccati e contemplativi, in tutta tranquillità, non ci si rende conto del trascorrere del tempo, come riprendere il controllo della situazione quando c’è l’inazione, il vuoto, la noia e l’apatia, con la sensazione di buttare via il tempo?

Le condizioni di vita sono difficili e le prospettive future evanescenti, ancor più col tempo immobile che sembra eterno e pare durare all’infinito! Può bastare passare gran parte del tempo a guardare la televisione, e quando possibile chiacchierare e giocare? Lo sguardo che vaga, la vita ormai inaridita e appassita, condannati a un’amara indifferenza, ci si presenta come fantasmi, nel mettere a nudo la propria parte istintiva, animale e riconoscere il terrore e l’orrore della violenza vissuti, tra smania di potere e avidità criminale. Nel domandarsi cos’è stata la propria vita, e chiedersi perché è andata com’è andata e il senso che tutto ciò abbia avuto, ritornano i fatti essenziali che contano, con tutti i possibili rimpianti. Trascurati, col viso pieno e pallido, il corpo appesantito: troppo tardi per rimediare. Le mani intorpidite toccano diffidenti le pieghe di pelle avvizzita, con la mente a realizzare che si tratta del proprio stesso corpo, tirando sospiri di sollievo. La coscienza lentamente attutita. Impossibile, girando in tondo, pensare di cancellare il ricordo del male fatto, così come passare le giornate a compiangersi, o incolpare il mondo.

I disperati, senza vie di fuga o di salvezza, cedono e si arrendono, si lasciano vincere e inghiottire. La presenza, trasformati in entità generiche, lontane, privi di sembianze, si riduce a una sorta di rumore di fondo monotono. Il carcere, posto ritenuto pericoloso, è fittamente insidiato da sopraffazione e da violenza da contenere, ma dare vita a un’istituzione carceraria sana e sostenibile, ripensandone ruolo e funzioni, in connessione con il sistema sociale, è fondamentale e importante per la società. Se carcere, parola di sette lettere, evoca molte emozioni negative, a partire dal male subito e fatto, costruire un carcere “perbene” è essenziale per salvaguardare il benessere della società; fa bene agli esseri umani indistintamente e a tutta la società. A quale modello ispirarsi? Molte le ragioni e tutte importanti, per attivare azioni di giustizia riparativa, tali da indirizzare in modo equilibrato verso la giusta strada della protezione e impedire di reiterare i reati.

Come proteggere lo Stato e le istituzioni di fronte alla violenza? La violenza va combattuta nel rispetto dello stato di diritto, con le esigenze di sicurezza della popolazione raccordate alla democrazia. Lo Stato, attento alle libertà sostanziali, nel rispetto della Costituzione, ha il compito di proteggere il popolo e i cittadini e deve attrezzarsi per contrastare la violenza che attacca istituzioni e valori. I bisogni di sicurezza della popolazione vanno garantiti e i diritti fondamentali difesi.

Chi ha contatti diretti col carcere lo vede spesso come un problema, a differenza di chi, vivendolo con distacco, lo ritiene necessario e di indispensabile utilità, per soddisfare il bisogno fondamentale della propria e altrui sicurezza, in grado di proteggerci.

Quali reazioni la parola carcere provochi in ognuno di noi, una cosa è certa: è una presenza che non può essere ignorata. Come avere una prospettiva critica, nell’incrocio di opinioni e punti di vista diversi, per cambiare e ridisegnare il carcere così pieno di tante contraddizioni? Del campo carcerario, dove tanta è la disinformazione, con la comunicazione spesso improvvisata, percepiamo l’esistenza, dalle notizie fornite, dai fatti di cronaca più disparati di cui veniamo informati. Difficile muoversi in equilibrio tra i ricordi di qualcosa che è già stato e i desideri che si manifestano ed evitare che nel sopravvivere, l’apatia emerga minacciosa.

Nel giudicare positivamente qualcosa o qualcuno se si considera solo un singolo aspetto, si finisce nel cosiddetto “effetto alone.” Come godersi il tempo a disposizione, con quel che resta della propria vita? Ogni camera di pernottamento ha un suo mondo con foto, provviste d’acqua minerale, piccoli lavori artistico-artigianali. Il corridoio intervallato da cancelli automatici che si aprono e si chiudono alle spalle.

Nella solitudine della cella, percorsa a grandi passi, tra gli spazi ristretti, disposti in silenziosa confusione, il tempo passa inesorabilmente lento e monotono, nel ripercorrere il proprio vissuto all’indietro e tentare di recuperare nel presente un proprio equilibrio e ritrovarsi. Costretti ad attese inspiegabili, tenuti in sospeso a perdere tempo. Si prescrivono psicofarmaci e sonniferi da assumere con regolarità, per fronteggiare incubi e attacchi di panico. Vigili a veder svanire nell’oscurità e ritirarsi lentamente, in punta di piedi, tutti nello stesso tempo, gli spettri del passato intrisi di idee funeste. Nel prendere tempo, concentrati, con gli occhi profondamente chiusi, a considerare in modo critico gli avvenimenti vissuti, cancellati dal mondo. C’è un tempo alieno, ostile, terrificante senza niente di umano: la tenebra divora e si va alla deriva nello spazio profondo, nel portarsi dentro le peggiori ferite.

Nell’aver sprecato, senza rendersene conto, gli anni migliori, nell’esistenza insensata, senza riuscire a combinare nulla di buono, si vive all’insegna della negatività, più lenti e meno lucidi. Accarezzando distrattamente la pancia, negli anni sempre più gonfia, senza ottenere risposte dal passare del tempo, inebetiti e frastornati, esausti, apatici e depressi, spesso ci si ritrova incapaci di dare senso alla realtà, o in balia delle proprie allucinazioni. Il tormento interiore diventa indicibile: fatica non rassegnarsi, nel desiderare di sopravvivere, guardandosi intorno.

Nei colloqui programmati si intrecciano i fatti spicci, esposti frettolosamente, per non sprecare i brevi momenti di vicinanza, ai legami affettivi tanto attesi. Immobili e muti, refrattari a domande, richieste e speranze, con lo sguardo mortificato. Nel condividere un po’ di tabacco si scambiano chiacchiere e banalità: si fuma, si beve il caffè, con un bicchiere d’acqua per togliere l’amaro. In carcere con le idee che vanno e vengono e certe volte attecchiscono vale ancora la differenza fra autorevolezza e autorità; paradossalmente l’individuo si ritrova capace di una chiara concentrazione, spesso mai sperimentata prima, con tutto il tempo che serve, per una profonda introspezione, nel tener fermo il pensiero ed esaminarlo intenzionalmente.

Si prova il senso dell’essere responsabili dei propri pensieri, anziché alla loro mercé. Nel provare a immaginare quello che sarebbe potuto accadere e non è accaduto le parole, con la coscienza che va alle fonti di dolore più vecchie e profonde, suonano incerte e sbiadite. Nel guardare attenti si scopre il sospeso tra passato e avvenire. Il presente che cambia continuamente, trasforma anche il passato che si va riguardando, nell’indefinito protrarsi dello stato attuale delle cose, nel quotidiano indistinto. Il tempo trascorso tra l’osservatore e l’evento frappone un filtro ordinante, liberi di lasciarsi andare ai ricordi.

In personale solitudine ognuno fa i conti con se stesso e con la propria coscienza, per arrivare alla consapevolezza profonda delle azioni compiute. Oltre al passo lento e strascicato in carcere c’è il cammino interiore di chi, riconosce gli errori commessi e nel pagarne il prezzo personalmente, scandisce il tempo.

Nel passare le giornate incollati alla televisione e alle radioline, come sopravvivere in un ambiente disumanizzante e riuscire a tenere vivi sensibilità e affetti? È necessario intessere di sogni il mondo circostante, per rispondere all’indolenza che fa perdere di interesse e innanzitutto evitare che la violenza generi altra violenza. Limitati nella libertà di movimento, seduti immobili, ore e ore, è veramente difficile essere felice del proprio tempo libero.


Per saperne di più

- G. Abis, Chi sbaglia paga: certezza della pena e della rieducazione: la voce dei detenuti e l’esperienza di un carcere alternativo, Chiarelettere, Milano 2020.

- M. Bortolato-E.Vigna, Vendetta Pubblica: il carcere in Italia, Laterza, Roma-Bari 2020.

- C. Buccoliero, con S. Uccello, Senza sbarre: storia di un carcere aperto, Einaudi, Torino 2022.

- C. G. De Vito, Camosci e girachiavi: storia del carcere in Italia, 1943-2007, Laterza, Roma-Bari 2009.

- L. Manconi et al., Abolire il carcere: una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, Chiarelettere, Milano 2022.

- L. Manconi-S. Anastasia, Carcere, Treccani, Roma 2021.



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