Del giusto diritto
“Posso dire che ho riletto di recente la Fenomenologia dello spirito di Hegel e sono riuscito a capirla, ho letto quest’ordinanza e non ho capito nulla” (Carlo Nordio).
Un illustre docente d’altri tempi con tanto di cattedra all’Università di Urbino e alla Normale di Pisa dove insegnava Filosofia teoretica, il prof. Arturo Massolo (Palermo, 19 agosto 1909 – Pisa, 30 marzo 1966) si narra che in sede d’esame fosse solito domandare agli studenti se avessero letto, studiato e capito la Fenomenologia dello spirito di Hegel. Si racconta che di fronte ai tentennamenti manifestasse tutto il suo disappunto, ancor di più gli salì la rabbia e la stizza la volta che una giovane studentessa tutta impettita e saputella alla sua rituale domanda con tono altero e assertivo rispose: “Ma certo, professore! Cosa crede, se no … mica mi presenterei all’esame!”. Massolo a quel punto infuriato urlò: “E come ha fatto a capirla, che io ci ho messo più di trent’anni a studiarla e ancora non l’ho capita… se ne vada!”
Massolo era professore a tutto tondo, alternava ossessivamente e in modo imprevedibile toni drammatici a momenti decisamente comici, con stramberie e tic che lo rendevano unico e fenomenale; a lezione parlava spesso anche di Penelope la sua gatta e per capire se il candidato avesse frequentato le sue lezioni all’esame capitava che chiedesse: “Chi è Penelope?”
Se il saccente ministro, con la sua voce di “sabbia e colla”, fosse finito nelle grinfie di Massolo chissà come si sarebbe messa per quest’ultimo. Una querela con tanto di processo, di fronte all’intemperanza del sanguigno docente, con tanto di richiesta bollata e timbrata di legale risarcimento?
L’arroganza del potere e di chi lo detiene non conosce limiti. Le questioni giuridiche soprattutto quando pongono interrogativi penali complessi e con tante sfumature vanno trattate con cautela, altrimenti si corre il rischio di rivelarsi impreparati e inadeguati. Una constatazione che dispiace e delude.
Come inquadrare l’attività politica e la libertà di parola nell’esprimere idee, pensieri, studi e fantasie? Come dare un senso sociale alla professione politica? Le differenze nascono dalla libertà del pensiero che va sempre rispettato e tutelato, ma chi opera nell’ambito politico oltre a pretendere la libertà del dire si deve assumere anche l’onere della propria responsabilità.
Dal politico ministro ci si aspetta un compito e un impegno concreto, nella capacità di contribuire a stilare norme giuridiche da tradurre in legge, capaci di tenere insieme e far convivere l’insieme della società, per garantire la crescita e la stabilità economica. Il tono irrituale della denuncia che diventa proclama compromette e ha delle conseguenze che possono risultare devastanti nell’influenzare. Senza valutare la portata di ciò che si dice il dubbio arriva a regnare sovrano e nell’esaltare l’incertezza si volatilizza il sapere ragionevole. Interrogarsi e discutere è sempre importante e le puntualizzazioni sempre ben accette, ma bisogna evitare di predicare in pubblico e attingere ai filosofi più o meno compiacenti e invocare i santi protettori per accreditarsi; nel parlare troppo che diventa straparlare le azioni sconsiderate che ne susseguono hanno sempre degli effetti collaterali.
Quali le sue ragioni e lo scopo e il significato di così tanto ardire? Quale proposito nel sollevare il problema della magistratura? Senza tenere conto che le posizioni altezzose fanno male e impediscono l’obiettività? Con parole che trasmettono disagio, inducono tensioni e spaccature, spesso confonde chi lo ascolta e qualche volta anche se stesso. Convinto di rispecchiare la logica dei sapienti, si balocca nell’offrire spiegazioni che lo gratificano. Un patrizio elegante, che da uomo robusto e orgoglioso aspira, compiaciuto del suo ruolo, tra lunghe e cavillose discussioni, a proporsi come punto di riferimento nel rapporto tra politica e magistratura. Una persona che si presenta ammodo, ineccepibile, dalla cortesia altera, che non vuol essere confusa con i suoi colleghi di parte, da cui vuol prendere le distanze. In disaccordo, pedante e insopportabile, arriva a essere divisivo, conflittuale e distruttivo.
Un menestrello stravagante che senza indugio alcuno, sicuro di sé, nel decantare l’altra faccia della propria verità, aggrotta le ciglia e si presenta funambolico, da errante e solitario pifferaio della reazione conservatrice. Prestigiatore ambizioso, nel mettere in scena il proprio spettacolo, manipola il linguaggio con argomenti strumentali e fa intendere con aria di sufficienza di essere determinato nella volontà di raggiungere i propri obiettivi. Anche se dice di amare la semplicità e il saper stare in compagnia quando saluta e si fa largo tra la folla che disdegna e fissa con aria di sfida appare afflitto da un sentimento di “sconfitta invincibile”.
Eppure, nel ritenersi brillante e intelligente, impeccabile nel volto, imperturbabile nella sua narcisistica autoammirazione, si propone giornalisticamente accattivante alla pubblica opinione: pensa di dover fare grandi cose per meritarsi un posto di rilievo nella storia politico-istituzionale del Paese.
Nell’esercitare la professione di magistrato, con riconosciute capacità, ha goduto di una certa reputazione e anche per questo si difende, con tenacia ostinata e passione bizzarra e spera che nessuno dei suoi elettori lo rimproveri per i propositi di restaurazione che ispirano il suo operare giuridico. Nel procedere imperterriti perché nessuno dei tanti Fratelli d’Italia gli consiglia che farebbe meglio a tacere o parlare d’altro? La legge da studiare e interpretare va sempre in primo luogo e in linea di principio difesa.
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