"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio"
è la massima del Vangelo che tante volte in questi giorni è corsa alla mente di molte persone e altrettante volte è stata scritta sui giornali palermitani...
"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" è la massima del Vangelo che tante volte in questi giorni è corsa alla mente di molte persone e altrettante volte è stata scritta sui giornali palermitani - in verità soltanto uno poiché l’altro tace, mostrando ancora una volta il suo spessore professionale infimo. Sono in effetti i giorni decisivi per il nuovo Statuto regionale, così com’è stato pensato dal governatore Cuffaro: cioè apertamente chinato all’autorità della Chiesa: «la Regione siciliana - vi si legge - favorisce il dialogo e la coesistenza fra la religione cristiana, i cui valori sono patrimonio storico-culturale e ispirazione delle proprie comunità, e le atre religioni». Non c’è da discutere sulle motivazioni intime del palese riconoscimento nel preambolo della riforma: Cuffaro è un fervente credente e questo si sapeva. Si potrebbe osservare l’asservimento bigotto alla Chiesa la quale, non avuto - giustamente - pieno riconoscimento nel preambolo della Costituzione europea, il Nostro vorrebbe ossequiare offrendole quello della Carta siciliana. Ma è una malignità che non è giusto lasci la nostra privata idea della personalità del Presidente. Ciò di cui si deve parlare è al contrario l’imposizione alla collettività dei siciliani di una «radice culturale e identitaria storicamente cristiana», volenti o nolenti: «si vada a fare una visita guidata al duomo di Monreale» ha apostrofato il Presidente a chi non vuole dargli ragione. Ed inoltre si deve evidenziare la statuizione nel documento di una preminenza di una confessione religiosa sulle altre: una disuguaglianza in fin dei conti fra i cittadini siciliani; un limite alla uguaglianza democratica stabilita da uno Stato laico. Una Regione dichiaratamente cattolica in uno Stato laico, questa ci piacerebbe ci venisse spiegata da Totò. Ma si dovrebbero anche palesare le questioni puramente prosaiche della faccenda. In Sicilia la Chiesa è sempre stata - in massima parte - quella descritta da De Roberto, da Verga, da Pirandello e da Sciascia. «Il sospetto», ha scritto Nino Alongi, è che dietro ci sia il consenso di potentati economici di «organizzazioni cattoliche» che hanno fatto del «rapporto privilegiato» fra Stato e Chiesa un punto di forza. In Sicilia in effetti chi vuole mantenere il potere, maggiormente chi vuole raggiungerlo, deve per forza di cose fare i conti con certi centri di potere: la mafia è sempre stato uno di questi, evidentemente la Chiesa siciliana ne è un’altro.
massimo oriti
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