Danza di morte: ".. ricordi di certezze un tempo assidue e morte d’anima .."

“DANZA DI MORTE” DI August Strindberg ( trad. Franco Perelli). Regia di Marco Bernardi con P. Bonacelli e P. Milani. Teatro stabile di Catania
La morte è solo un punto d’arrivo, una sosta obbligata o forse la morte vera è quella dell’anima, quella che ti fa aprire gli occhi sul nulla? Si può morire mille volte anche da vivi in una triste sequela di eventi come quelli che accompagnano due personaggi che si muovono su un palco piccolo e finito, quale la loro “vita”.
La metterò tra virgolette questa “vita” che vita non è!
Che è misera esistenza!
E’ questo lo spettacolo che ho visto. Ho portato la mia vita e l’ho seduta in poltrona. L’ho portata a vedere la “vita” degli altri. Ho sbirciato dal buco della serratura.
Strindberg scrive la sua opera di getto in una sola settimana nel 1900, scrittore e drammaturgo svedese dalla tumultuosa vita sentimentale, matrimoni falliti e rapporti finiti in breve tempo con donne diverse, che contribuiranno a forgiare i personaggi femminili delle sue opere. Il regista Marco Bernardi coglie questi tumulti mettendo in scena “Danza di morte”, grazie alla traduzione attenta di Franco Perelli e alla sceneggiatura decadente di Gisbert Jaekel. Il mosaico si compone: battute lente, gioco di luci, la minaccia del cielo e del mare su una stanza buia con carta da parati disfatta e mobili che tradiscono il ricordo di una svanita ricchezza.
“Suoneresti qualcosa per me?” è un triste Capitano che parla, sconfitto come la divisa che porta, sconfitto dagli eventi e dal tempo che scorre inesorabile, un uomo che vive la solitudine dei vinti e degli invidiosi, dei prepotenti e dei folli. Una donna stanca risponde con brevi frasi e eloquenti smorfie, sbiadita ma provocatoria. Edgard e Alice, interpretati magistralmente da Paolo Bonacelli e Patrizia Milani, sono un uomo e una donna che si sono incontrati troppo giovani e si sono lasciati presto, che hanno rinunciato alle mille altre vite che li attendevano. Ma alle soglie delle nozze d’argento il trucco si scioglie, la maschera si infrange, la casa si sgretola con loro all’interno, vinti dall’abitudine e dal mancato amore, i loro figli sono solo fantasmi del passato e motivo di ripicche. Nessuno si preoccupa della loro lenta fine, della loro anima morente! Tutto senza sangue, senza sofferenza o dolore. Nella pura apatia! Soli come quando vennero al mondo. Banali e perversi. Rinchiusi nella torre alta di un’isola infernale dove la morte diviene orribile presagio nell’apparizione unica e inquietante della Vecchia. Il tutto velato da sarcastica ironia, rincorrendo la vittoria sull’altro come panacea dell’infelicità. Battibecchi a tratti comici se non nascondessero la tragedia dell’accidia e del difficile cammino verso la felicità.
Il mondo arriva quasi per caso dall’unica finestra esistente, che segna lo scorrere delle ore del giorno. Loro recitano i copioni di una vita morta, compiendo sul palco una danza macabra! Suonano note spente e fanfare stonate per coprire la musica della vita! Cristallizzati nel reale perché la capacità di inventare è venuta meno. Diabolico sadomasochismo!
Ma la vita è prepotente! Irrompe dalla finestra e dalla porta d’ingresso, si fa strada tra i fili del telegrafo, è la luce del giorno che offusca la lampada ad olio. La vita rompe i catenacci ed entra in casa, la vita è Kurt che rimette in discussione tutto. E’ lo scherzo del destino che inserisce il “terzo” nella coppia, che rompe gli schemi. Lui lei l’altro. Vita morte malattia. Furore gelo crudeltà. Triangoli continui e imperfetti dove la religiosità si insinua. La paura dell’ignoto, dell’annullamento. Della fine senza fine!
Un pugno nello stomaco. Stai osservando lo specchio mostruoso della natura umana! Ieri oggi domani. Ciò che siamo o che potremo essere. Strindberg anticipa i tormenti del secolo e ci tocca nel profondo, ci toglie la benda per farci vedere la nuda morte!
“Quando ho visto la morte negli occhi allora la vita m’è parsa sotto un altro aspetto!” con questa frase lo spettacolo diventa monito! Diventa voglia pazza di vivere, di scuotersi e danzare musica nuova, musica viva...
Ma nel teatro suona ancora il Valzer mentre Edgard e Alice invocano la fine del cammino che hanno scelto!
“Forse quando arriva la morte inizia la vita?” Impossibile eliminare tutto e reinventarsi.
“Non vorrai credere all’inferno?” ride Edgard... per loro l’inferno è questo e ne basta uno, la punizione divina per un orribile peccato!
La morte consola più di ogni altro calmante.
La danza si compie. Prima lenta poi veloce e infine frenetica.
Verso un dove indefinito. Verso la fine di tutto.
Come un ultimo immenso desiderio. Di vita eterna. Di pace.
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