Dalla Milano da bere alla Milano da cogliere
Nicola Ferrelli, gastronomo pugliese, milanese di adozione, ci mostra alcuni aspetti tra i meno conosciuti di una professione di cui tanto si parla...
Milano dagli anni ’80 a oggi. Stili alimentari e ristorazione: tra trasformazioni urbano socioeconomiche e pandemia. Incontro con Nicola Ferrelli nella sua trattoria di via Farini 6.
- Nicola Ferrelli
Nicola Ferrelli, gastronomo pugliese, milanese di adozione, ci mostra alcuni aspetti tra i meno conosciuti di una professione di cui tanto si parla iniziando dalla sua storia. Erano gli anni ’90, lavoravo per l’industria chimica, prima Montedison poi Total dove ancora oggi si produce plexiglas: inizialmente alle produzioni, poi alla ricerca dove da sempre ambivo arrivare. Purtroppo la ricerca è stata chiusa e sono passato alle spedizioni dove per me era frustrante.
L’apertura della trattoria in via Farini risale al 2008: è un momento difficile per l’economia ma l’attività funziona molto bene sin da subito. In breve tempo entra nella guida Eurotok che annovera gli chef cui appartengono quasi tutti i ristoranti stellati. Ferrelli inizia così questa sua seconda vita di imprenditore e di chef anche se preferisce essere definito cuoco poiché non ama sovrastrutture e inglesismi creati attorno alla gastronomia, così come ci tiene a sottolineare che la sua è una trattoria e non un ristorante. L’interesse recente per la preparazione del cibo ha fatto dilagare le scuole di cucina dove spesso lo invitano a tenere aula con i più giovani. Per lui, come per altri della sua generazione, la prima scuola è stata la famiglia. Eravamo quattro figli, ci trovavamo in Puglia. Mia mamma ha sempre cucinato benissimo, con molta verdura o legumi abbinati alla pasta: una dieta estremamente equilibrata. Di fatto la mia cucina è basata su un principio di materie prime naturali che vado a scegliere personalmente girando tutti i mercati della zona, o che faccio arrivare dalla Puglia (come l’olio). Chi esce dalla mia trattoria desidero si senta bene.
Nei confronti degli show televisivi per giovani aspiranti chef è piuttosto critico: la passione per la cucina in lui è maturata nel tempo. Io stesso ho girato la puntata zero di “Cuochi d’Italia” ma questi programmi offrono un’immagine non veritiera di un mestiere che nella realtà significa stare tante ore in piedi, patendo il caldo, costretti a lavorare negli orari in cui la gente generalmente si riposa o si diverte.
Nel 2008 la ristorazione continuava sul modello poi identificato come la “Milano da Bere” degli anni ’80: locali asettici, cucina convenzionale e consumazione veloce specie nel fine settimana per lasciare il posto a un altro giro di clienti. Tener fede a un principio di qualità del cibo, in un momento in cui ancora la gastronomia si distingueva a livello di immagine, è stata per Ferrelli una scelta coraggiosa: In generale non ne si può più di locali uguali e cibi standardizzati. Ora si va fuori a mangiare più per gustare: anche la cucina di massa, con le pizzerie e i ristoranti cinesi, tende a raffinarsi. Per il resto continuano i ristoranti franchising e altri creati a tavolino da alcuni businessman che propongono un format cui cuochi e camerieri devono attenersi in ogni dettaglio: dalla presentazione del piatto al loro abbigliamento. Per me al primo posto c’è sempre stata l’originalità dei menù e la genuinità degli alimenti. In un certo senso ho anticipato ciò che adesso la gente va cercando.
- Trattoria Ferrelli a Milano
Con l’espandersi di attività del tempo libero (sempre intorno agli anni ’80) iniziavano a cambiare le abitudini alimentari, con gli aperitivi pomeridiani, gli happy hour, i coffee break di metà mattina e tutte le varianti di spuntino fuori pasto. Il ristorante come ambiente che accoglie il cliente si imprimeva di colonne sonore assordanti, colori violenti e luci fredde, secondo una tendenza che prosegue. Ma c’è anche chi ha continuato ad avere a cuore l’aspetto psicologico della ristorazione in un ambiente privo di atmosfere sollecitanti.
Chi va al ristorante deve sentitisi a casa: dopo un po’ che si è a tavola si torna se stessi. Qui il locale spesso è pieno ma non c’è frastuono perché i clienti sono abituati a parlare senza musica di fondo che li costringe ad alzare la voce. Per questo vengono volentieri persone della cultura e artisti che amano godersi l’atmosfera, osservare gli altri raccogliendo idee, godere di uno spazio apposito riservato alla conversazione tra di loro e con noi.
Milano è una città curiosa: nell’arco di pochi metri cambia completamente lo scenario. Via Farini appartiene all’area che recentemente ha visto sorgere il Bosco Verticale interpretato dai grattacieli di Stefano Boeri, il moderno complesso di Gaia Aulenti con gli articolati percorsi pedonali, Corso Como con i locali e la movida notturna. Lo stato di pandemia ha inciso pesantemente sull’attività di bar e ristoranti frequentati da fruitori del tempo libero e altri da persone che lavorano: via Farini, pur essendo attigua alle attrattive del nuovo quartiere, rimane un rettilineo di fitto transito per lo più diurno. Ogni giorno dipendenti di uffici come Microsoft, con centinaia di dipendenti, pranzavano da me a prezzi easy. Lo smartworking costituirà una riduzione drastica dei lavori in sede. Milano rimane la città del business ma, a mio avviso, le fiere espositive e altri eventi diminuiranno visto che molti incontri ora si possono fare online. Al momento c’è molta voglia di uscire dopo la lunga segregazione ma, poiché gireranno meno soldi, ci sarà anche meno clientela.
Per un ristoratore vivere in questa incertezza è un danno psicologico oltre che economico: Prima della pandemia programmavo i menù per il pranzo di giorno in giorno ma adesso, non sapendo quanti saranno i clienti, anche la creatività ne risente.
Ferrelli affronta le difficoltà attuali con l’esperienza di chi ha studiato cose diverse e ha saputo reinventarsi professionalmente, analizzando con anticipo quelle che saranno le nuove esigenze di mercato e le possibilità di adeguamento senza venir meno ai presupposti di qualità del cibo, benessere dell’ambiente, accessibilità dei prezzi. Lo stato di pandemia, oltre a penalizzare economicamente certe categorie, non le ha risparmiate a livello di luoghi comuni: Come se la situazione non fosse già abbastanza pesante siamo considerati dall’opinione pubblica tra i maggiori evasori nonostante subiamo tra il 70 e 83% di pressione fiscale. Non siamo la spina dorsale dell’economia italiana ma forniamo un cospicuo contributo! In questi mesi di inattività le spese fisse hanno continuato a dover essere sostenute. Il proprietario cui pago l’affitto del locale mi è venuto incontro e di questo gli sarò sempre grato anche perché gli aiuti da parte dello Stato sono stati minimi. Tre ristoratori nell’arco di 50 metri dalla mia trattoria hanno dovuto chiudere l’attività per sempre.
Lungo via Farini passa un tram che, secondo il Comune, impedirebbe alla trattoria di aggiungere un dehor così come ci sono già in tutta Milano dacché sono iniziati i lockdown: questi nuovi arredi assumono funzione di presenza, utile dove la sera c’è poco movimento. Ferrelli davanti alle telecamere di Rete 4 ha mostrato lo spazio dove sorgerebbe il dehor e spiegato le condizioni perché venga autorizzato: Si tratterebbe di istituire una “zona 30” di moderazione della velocità del traffico (come già in molte aree milanesi) per questo breve tratto di strada in cui anche il tram dovrebbe rallentare. Chiediamo solo di poter lavorare come tutti gli altri.
Il covid, in tutta la sua tragedia, ha anche lasciato qualcosa a livello di solidarietà, senso civico, nuovi spazi condivisi dove la gente si incontra volentieri dopo tanto isolamento. Sta adesso alle autorità locali cogliere questa opportunità favorendone le condizioni (anziché ostacolarle) di città più vivibile, dove potersi rilassare in un ristorante all’aperto, lungo strade più sicure grazie alla velocità controllata dei veicoli. Per aiutare l’economia e la vita dei cittadini; a Milano come altrove.
Questo articolo è pubblicato anche su Fana.one
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