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Dall’oratore allo speaker: Cos’è cambiato dai tempi della scuola di Atene?

L’udito è il senso che richiede maggior sforzo intellettivo: le parole, costituendo simboli, vanno captate, decifrate, diversamente dalle immagini che hanno un impatto immediato e anche per questo distraggono l’ascolto.

di Silvia Zambrini - mercoledì 31 maggio 2023 - 1085 letture

La comunicazione come strategia per la propagazione efficace di idee e concetti da una a più persone ha origini antiche. Già ai tempi di Aristotele il discorso che deve convincere implicava aspetti paraverbali di uso della voce, non verbali di gesta, postura, sguardi, nonché di interazione col pubblico: quest’ultimo è a sua volta in grado di auto persuadersi come nel sentire il politico esprimersi su questioni che gli stanno particolarmente a cuore.

Oratori rivolti a un pubblico Il passaggio da poco avvenuto da poeta che recita le proprie tragedie, a lettore che le interpreta, aveva aperto a nuovi usi della voce secondo le diverse intonazioni, intensità, accentuazioni. Sono cose che continuano a interessare gli studi sulla comunicazione: oggi rivolgendosi alle masse attraverso le tecnologie di riproduzione acustica, allora parlando dal vivo a un pubblico ristretto. Aristotele stesso aveva notato come il successo di un attore possa essere superiore a quello di colui che ha scritto il testo così come per il politico che dice le stesse cose di un altro ma ottiene maggiori consensi. Le differenze col passato sono soprattutto in termini di volume del suono: basti pensare a una situazione di agorà attuale come può essere una riunione di condominio o un consiglio scolastico in cui spesso vengono usati i microfoni perché altrimenti non si sente quando invece, ai tempi della scuola di Atene, con la voce che si disperdeva all’aria aperta, tutti sentivano. Che cosa è cambiato?

C’è che allora la gente era abituata a vivere in uno sfondo di parole e musica dal vivo e così è continuato fino a quasi il ’900: l’avvento della registrazione ha infatti cambiato il paesaggio sonoro attraverso infiniti suoni elettrificati, comportando un innalzamento del livello basale medio di ascolto. A ciò si aggiunge la distrazione indotta da programmi radiofonici e televisivi trasmessi ovunque.

Pur in uno sfondo sonoro di strumenti musicali dall’estensione limitata e suoni flebili Aristotele già sottolineava il potere emotivo della musica associandolo a quello della memoria: il filosofo distingueva tra "ricordare" e "richiamare la memoria" che include un approccio più sensoriale, legato a fattori che subentrano inavvertitamente: la musica può riportare la mente a episodi vissuti anche dolorosi. Al tempo stesso notava come l’accompagnamento musicale durante feste e banchetti rendesse i presenti più socievoli. Considerava l’udito il senso che richiede maggior sforzo intellettivo: le parole, costituendo simboli, vanno captate, decifrate, diversamente dalle immagini che hanno un impatto immediato e anche per questo distraggono l’ascolto. Questa superiorità di ruolo attribuita all’orecchio è curiosa in un periodo in cui ascoltare era tra le cose più facili se non altro per l’assenza di stimoli sonori amplificati. L’ascolto era solo volontario perché bastava spostarsi di poco per non sentire ciò che veniva detto, cantato, suonato. Di inquinamento sonoro non se ne sarebbe parlato per lungo tempo ma, ugualmente, ci si interrogava sul potere della comunicazione attraverso l’interpretazione della parola in ogni sua sfumatura, in un ambiente che consente tutto ciò grazie anche a una perfezione acustica tuttora esemplare come per gli antichi teatri. Oggi, rispetto alla comunicazione asciutta e trasparente delle agorà, quella con altoparlante riesce a dirottare l’attenzione e pilotare l’opinione pubblica con messaggi unidirezionali che arrivano ovunque attraverso un ascolto involontario.

La comunicazione in ogni suo dettaglio, e scelta di contenuti che possano in qualche modo catturare l’attenzione, è rimasta come 2400 anni fa, con la differenza che una volta il committente era il pubblico di cittadini, ora i consumatori. É cambiata la forza del messaggio, l’ampiezza dello spazio che ricopre, il ritmo che, da dilatato come ai tempi della cetra, è diventato incalzante: l’aggressività di cui si parla a proposito dell’informazione mediatica riguarda in larga parte linguaggi veloci e concitati necessari per poter stare nei tempi a disposizione.

Pressione del suono, vastità del campo di ricezione, eccesso di informazioni provenienti dalle infinite fonti fisse e mobili di riproduzione del suono: sono questi i principali temi in materia di deterioramento dell’ambiente acustico su cui bisognerebbe riflettere, facendo tesoro di un modello di espressione, osservazione e ascolto attivo, risalente a un lontano passato... mai superato.


Questo articolo è pubblicato anche su Fana.one.



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