Da Auschwitz a Cu Chi: la voce delle farfalle

La speranza resta solo nei giovani, nei ragazzi, nei bambini a qualunque latitudine siano: da Cracovia a Saigon, per arrivare a Gaza...

di Evaristo Lodi - mercoledì 22 ottobre 2025 - 847 letture

«La ragione principale per cui la guerra c’è ancora non sta né in un segreto desiderio di morte della specie umana, né in un insopprimibile istinto di aggressione, né infine e più plausibilmente nei seri pericoli economici e sociali che il disarmo comporta, ma nel semplice fatto che sulla scena politica non è ancora comparso nessun mezzo in grado di sostituire questo arbitro definitivo degli affari internazionali» [1].

In uno dei tanti parchi di Cracovia, giovani si divertono spensierati, sotto un gazebo, di sera, al buio. Ballano attorno a un dispositivo che dispensa musica a basso volume, udibile solo se ti avvicini a loro. Sono brani musicali conosciuti ma che non si possono definire ballabili. Mi sono giunti rumors su droni russi che avrebbero sconfinato in territorio polacco, loro ballano e si divertono sulle note di Star Wars. Mi torna alla mente la scena finale di Salò o le 120 giornate di Sodoma (P.P. Pasolini, postumo, 1976) dove due ragazzi repubblichini si mettono a ballare su note sdolcinate, mentre l’orrore si compie atroce nel cortile della villa. Uno dei due chiede all’altro come si chiama la sua ragazza e lui risponde “Margherita”. I bambini, i ragazzi, i giovani riescono sempre a fuggire, almeno psicologicamente, dalle atrocità che vorrebbero fagocitarli ma che mai riescono a farlo fino in fondo. La loro Speranza è il futuro.

La Germania non è stata certo tenera con il popolo polacco e, per rinfrescarmi la memoria, decido di fermarmi ad Auschwitz/Birkenau. Non che sia digiuno del ricordo di ciò che si è compiuto in quella linea d’ombra, in quel tragico cuore di tenebra incancrenito nelle pieghe democratiche della storia d’Europa del XX° secolo. Arrivo convinto di sapere tutto. Mi ricredo perché non si può entrare da soli, ma solo con una guida che sia in grado di inoltrarti almeno in una parte di quell’orrore che si sta dispiegando sotto i miei occhi e di tutti i turisti presenti, di qualsiasi nazionalità essi siano. I turisti riescono persino a farsi selfie. È il luogo dove le democrazie, le civiltà europee hanno iniziato il loro fosco declino. Più che ricordare la Shoah mi vengono alla mente le parole di Hannah Arendt: «Un governo basato esclusivamente sui mezzi di violenza non è mai esistito. Anche il dittatore totalitario, il cui principale strumento di violenza è la tortura, ha bisogno di una base di potere» [2].

Effettivamente conosco abbastanza della soluzione finale. Mi mancano i numeri di Auschwitz/Birkenau, di quell’orrendo pozzo, ma la guida mi spinge a confermare e approfondire le idee che mi ero fatto: il nazismo e il fascismo (sorti entrambi da elezioni democratiche) non solo hanno reso il nazionalismo una religione che ancora oggi possiamo avvertire nelle pieghe purulente delle moderne democrazie europee, ma hanno reso il genocidio [3] un affare puramente capitalistico, scientifico e tecnologico.

Come se fosse un prodotto democratico, nazismo e fascismo sono i prodotti più vergognosamente violenti delle democrazie del XX° secolo che, per fortuna, vennero battute dalle democrazie coloniali, cosiddette liberatrici. Ma oggi esistono ancora? Pensiamoci bene. Oggi il potere si confonde con il consumismo, si nasconde, ci impedisce di capire e ci fagocita con la sua enorme bocca affascinante. «Oggi dovremmo aggiungere la più recente e forse più formidabile forma di un simile dominio: la burocrazia o il dominio di un intricato sistema di uffici in cui nessuno può essere ritenuto responsabile e che potrebbe giustamente essere definito come il dominio da parte di Nessuno. […] Il governo che non è tenuto a render conto di se stesso, il dominio da parte di Nessuno è chiaramente il più tirannico di tutti dato che non è rimasto proprio nessuno che potrebbe essere chiamato a rispondere di quello che sta facendo» [4].

Ma le atrocità non sono solo confinate al nazismo e al fascismo del secolo scorso. Il XX° è stato il più buio della storia dell’umanità. Purtroppo il XXI° non sembra essere da meno.

«Tira su una manica e vedo una cicatrice orribile, e penso alle braccia degli ebrei, a quelli che come vacche sono stati marchiati a fuoco nei campi di concentramento nazisti, con i numeri blu che ancora si leggono bene sulla pelle raggrinzita di chi è sopravvissuto» [5].

Un salto di svariate migliaia di chilometri e mi trovo in un parco di Ho Chi Minh City, la mitica Saigon che ho conosciuto come la città di Apocalypse Now. Vengo avvicinato da due ragazzi che, con una gentilezza disarmante, mi chiedono se acconsento a farmi fotografare mentre continuo a scattare immagini agli alberi che, nella loro enorme altezza, fungono da ombrelli ad aiuole fiorite e a grandi bonsai curatissimi. Ricordano la cura europea che, dal ‘500 al ‘700, ha riguardato i parchi più ricchi e fastosi al mondo. Gli stessi ragazzi poi mi chiedono di potermi filmare mentre ammiro un tempietto buddista che si trova all’interno del parco stesso. Mi spiegano poi che devono fare una ricerca per l’università. Non so se sia vero forse, ai loro occhi, sono solo esotico ma la loro serenità è contagiosa.

Per noi democratici occidentali, il Vietnam è un paese misconosciuto, raccontato dai film statunitensi, comunque dal punto di vista dei soldati yankee. Da adolescente e in modo nostalgico, ricordo le manifestazioni per far ritirare gli USA da quel paese lontano, martoriato da una guerra crudele, lunga almeno vent’anni.

Oggi il Vietnam conta 101 milioni di abitanti (forte aumento a partire dagli anni Novanta) su una superficie di poco meno di 330.000 Km² (l’Italia è poco più di 300.000 Km²); l’età media è di 33,4 anni; l’aspettativa di vita è arrivata a poco meno di 75 anni; la crescita, in termini di PIL, nel 2023, era di 5.05 % e il PIL pro capite oscilla tra i 4.282 $ e i 10.755 $, a seconda delle fonti; l’ISU (Indice Sviluppo Umano che viene calcolato da 0 a 1: i paesi più poveri non raggiungono 0,5; tra 0,5 e 0,7 il punteggio è medio e sopra 0,7 il paese è prospero anche e soprattutto per i servizi sociali) pone il Vietnam al 117° posto con un indice alto e in crescita pari a 0,704 [6].

Appena arrivato ho pensato di essere in un paese comunista, in via di sviluppo. Che sia comunista è indubbio mentre la via dello sviluppo è perseguita con ostinazione almeno da trent’anni, dopo la svolta cinese di Deng Xiaoping e l’apertura economica ai mercati globali: il consumismo. La dittatura del partito la si percepisce in ogni angolo, anche in quelli più sperduti, attraverso bandiere, palazzi governativi, scuole, ospedali, perfino sui muri e su tutti i tagli delle banconote dove è sempre presente il ritratto sorridente e paternale di Ho Chi Minh, il padre della patria, colui che riuscì a sconfiggere gli Stati Uniti anche se non riuscì a vedere la fine della guerra e il trionfo del suo paese. Ci pensò il suo fido generale a portare avanti l’opera del suo duce [7].

Ma il consumismo cosa ci fa in un paese comunista? Dopo la Cina indubbiamente, il Vietnam è un paese dinamico, in forte espansione. Costruzioni moderne e imponenti lo trasformeranno a breve in un paese ricco e prospero. Ma ciò che mi ha stupito, oltre all’assenza della disoccupazione (i mendicanti sono davvero rarissimi e solo nelle metropoli di Hanoi e Ho Chi Minh City) e della delinquenza nelle strade, è stata la serenità delle persone, la tranquillità e la gioia sorridente di chi incontri e che si percepisce dovunque. Le religioni sono tante: dai cattolici, ai buddisti, dai confuciani ai taoisti. Tutte tollerate pacificamente. Per noi democratici occidentali, il fatto che a Saigon ci siano 8 milioni di motorini e che si possa viaggiare in più di due (vedi famiglie intere sul motorino), con o senza casco, è uno scandalo mentre invece tutto è vissuto nella più grande tranquillità e gli incidenti sono rarissimi perché tutti sono molto prudenti. La guida sottolineava sempre: “Il luogo che dobbiamo raggiungere è vicino, ci vorranno 20 minuti, vietnamiti però!”.

Sono stato fortunato: a Saigon ho incrociato una ragazza che ha voluto farsi fotografare con il mio gruppo. Eravamo capitati in una sontuosa festa in mezzo ai grattacieli che è terminata con fuochi artificiali lì, proprio sopra di noi, mentre bambini, giovani e genitori festeggiavano, per circa un paio d’ore. Era la festa per il 1° Congresso della Delegazione del Partito della città di Ho Chi Minh, per il quinquennio che si era aperto: 2025 – 2030. Che barba, direte voi. E invece vi assicuro che alla fine quella gioia ci ha contagiato, quello sfarzo moderno, quell’organizzazione festosa era travolgente. Tutti sorridevano ed erano contenti di ciò che avevano vissuto e realizzato.

Poi sono arrivato a Cu Chi. Una cittadina a nord ovest di Saigon dove i ribelli, i partigiani del sud Vietnam hanno combattuto, prima contro i francesi e poi contro gli americani per vent’anni. Il sentiero di Ho Chi Minh [8], a nord del 17° parallelo e passante lungo le frontiere (spesso sconfinando) del Laos e della Cambogia, arrivava anche qui per portare aiuto alla resistenza sud vietnamita. Vicino a Saigon e in mezzo alla foresta, in un caldo infernale, avevano costruito 250 km di cunicoli, su tre livelli: il primo a tre metri di profondità, il secondo a 5 e il terzo a 10. Vivevano lì, avevano pensato a tutto per poter sorprendere e sconfiggere gli americani. Hanno insegnato al mondo come si conduce una guerriglia.

«E per quanto riguarda la guerra vera e propria, abbiamo visto in Vietnam come un’enorme superiorità nei mezzi di violenza può diventare impotente se deve affrontare un antagonista male equipaggiato, ma ben organizzato, che risulta molto più potente» [9].

Mentre ero a visitare la zona dei cunicoli di Cu Chi, sentivo sparare, anche con armi automatiche, e mi sono detto che i vietnamiti sapevano curare anche la colonna sonora, in un luogo come quello. E invece mi sbagliavo e quando ho visto la realtà mi sono vergognato di essere un turista: nella zona di ristoro e souvenir c’è un poligono dove, pagando, si può sparare a sagome di carta.

I numeri della guerra sono ancora vaghi e saranno precisi solo dopo ricerche storiche rigorose, se si riusciranno a fare. Oggi si parla di circa 350.000 soldati americani, tra morti e feriti e questa è una cifra abbastanza documentabile. Invece per i vietnamiti ci sono solo stime: se si comprendono anche i civili, la cifra mette i brividi (3 milioni: 1 milione di militari e 2 di civili). Certo è che gli Stati Uniti, pur non avendo sganciato la bomba atomica, hanno impiegato un arsenale di bombe tre volte superiore a quello utilizzato nella seconda guerra mondiale. Per deforestare e quindi riuscire a vedere dove si nascondevano i covi dei vietcong lanciavano le bombe al napalm che, esplodendo in quota, bruciavano tutto ciò che di vivente c’era. La pelle delle persone continuava ad arrostirsi per giorni perché il combustibile utilizzato si alimentava con l’ossigeno.

Sempre per deforestare e per farlo in modo permanente (la foresta a quelle latitudini si riprende il possesso del territorio molto velocemente ma, per fortuna, oggi dopo cinquant’anni non se ne vedono più le tracce) usarono la diossina, che gli americani chiamavano “Agente Orange”. Nel 1976 a Seveso, durante l’incidente dell’Icmesa, si riversarono nell’aria circa 20 kg di diossina (la guida mi disse circa 33 litri) mentre le stime americane parlano di 7 milioni di litri di diossina utilizzati durante la guerra dal 1961 al 1971. Le conseguenze di questo terribile agente chimico, se ingerite dall’uomo, durano settant’anni e generano malformazioni congenite, andando ad agire sul patrimonio genetico della persona. Sono trascorsi cinquant’anni dalla fine della guerra e quindi ne dovranno trascorrere altri venti, prima di poter dire che il pericolo di questo veleno è scomparso per sempre dall’ambiente vietnamita. Ecco perché gli esami per le donne incinte sono rigorosissimi in Vietnam, proprio per scongiurare questo tipo di malattie e malformazioni.

Oggi chi ha il coraggio di resistere viene definito terrorista ma l’orrore è sempre davanti a noi.

La voce di Hind Rajab [10] è un film straziante che racconta l’impotenza dei soccorritori palestinesi di fronte al massacro che era già tale nel gennaio 2024, quando furono fatte le tragiche registrazioni telefoniche a cui si riferisce questa pellicola di denuncia delle atrocità che si compiono ormai da ottant’anni. Non hanno niente a che vedere con i diritti degli esseri umani, sono solo atrocità e nefandezze sacrificate sull’altare della democrazia, dell’autodeterminazione dei popoli, della sicurezza e del nazionalismo più o meno sovrano.

«Guarda, mi dice Carla indicando le farfalle, sono grandi e colorate, ma tutte punteggiate di nero. La commessa, vestita proprio con l’abito nero, bella come sono belle le vietnamite belle, le spiega il significato di quel vestito: l’ao-dai nero era l’abito delle ragazze della guerriglia. Lo indossavano nelle azioni notturne perché al buio erano invisibili. Erano giovani eroine, molto coraggiose: tante, tantissime sono state uccise ma sono rimaste tutte qui, perché le ragazze che hanno perso la vita con il fucile in mano sono volate via, hanno messo le ali e sono diventate farfalle. […] Guardo questa pace e ripenso a Cu Chi, alle farfalle della guerra, alle ragazze guerrigliere, a chi per anni non ha visto il sole e la luce, e usciva soltanto di notte per andare a sparare o a tirare una bomba» [11].

La speranza resta solo nei giovani, nei ragazzi, nei bambini a qualunque latitudine siano: da Cracovia a Saigon, per arrivare a Gaza. Sperando sempre che le ferite della guerra non durino troppo tempo. In Italia sono davvero pochi i giovani, speriamo nei migranti...

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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Bambini in posa alla fine della festa - 001
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Cartellone comunista a Saigon - 002
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Cunicoli a Cu Chi - 003
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Esempio di botola - 004
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Festa del Congresso a Saigon - 005
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Grattacieli di Saigon - 006
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Hanoi - 007
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Vietnam, foto di Evaristo Lodi - Traffico a Saigon - 008

[1] Hanna Arendt, Sulla violenza, Guanda, prima edizione 1996

[2] Ibid.

[3] In realtà il termine genocidio è assolutamente paragonabile all’omologo olocausto (quest’ultimo ha un significato religioso, legato al sacrificio agli dei, attraverso il fuoco purificatore). Mentre il primo è un termine generico riferito allo sterminio indiscriminato di una popolazione con il fine di annientarla, il secondo lo si usa esclusivamente in riferimento allo sterminio degli ebrei, la soluzione finale del nazismo. Non a caso gli ebrei preferiscono sostituire il termine olocausto con il termine Shoah che ha il significato di catastrofe. Ma lo stesso significato lo possiede la parola Nakba usata dai palestinesi per ricordare la persecuzione del loro popolo da parte dei sionisti dal 1948 e fino a oggi.

[4] Hannah Arendt, ibid.

[5] Corrado Ruggeri, Farfalle sul Mekong, Feltrinelli, prima edizione 1994

[6] Per lo più questi dati provengono da Worldometers ma sono stati presi anche da altre fonti come Wikipedia, un semplice atlante cartaceo e via di seguito.

[7] Basta una semplice ricerca di google oppure per queste figure vi rimando a Ho Chi Min su Wikipedia e Giap su Wikipedia. Per la guerra del Vietnam e i suoi strascichi fino alla fine degli anni Settanta , con l’invasione cinese del Vietnam, per un paio di mesi, a favore dei Khmer rossi cambogiani, quelli di Pol Pot, la bibliografia è sterminata e per quelli più a digiuno delle vicende vietnamite basterà Guerra del Vietnam su Wikiedia.

[8] Vedi: Sentiero di Ho Chi Min, su Wikipedia.

[9] Hannah Arendt, ibid.

[10] La voce di Hind Rajab, regia di Kaouther Ben Hania, titolo originale: The Voice of Hind Rajab, Tunisia-Francia, 2025, durata 89 minuti

[11] Corrado Ruggeri, , Farfalle sul Mekong, op. cit..


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