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Conversazioni sulla Francia

Per una felice scelta editoriale, la pubblicazione del libro “La Francia in bilico” e le elezioni presidenziali sono occorse quasi in contemporanea. Sul libro, sulle elezioni e su altri argomenti riguardanti sempre la Francia abbiamo intervistato uno dei tre coautori, Michele Canonica.

di Emanuele G. - martedì 19 giugno 2012 - 3769 letture

E’ un anno importante per la Francia. Un nuovo Presidente della Repubblica. Elezioni per il rinnovo del Parlamento. Le sfide per il futuro. L’angosciante crisi della zona euro. Un mondo che non è più quello di qualche decennio fa. Siamo alle soglie di un cambiamento epocale per il mondo che conosciamo? Come potete ben notare la navigazione della Francia nel panorama geopolitico attuale non è affatto sicura e certa. Su questi interrogativi il giornalista michele canonica Michele Canonica ha scritto un interessantissimo libro di conversazioni con Marc Lazar e Sergio Romano, che ripercorre la Francia del Novecento, la Francia del presente e quella che sarà fra pochi anni. Da qui la necessità di non farsi sfuggire l’occasione di intervistare l’autore-chiave de “La Francia in bilico” (Marsilio), che ha risposto con particolare puntualità e precisione alle nostre domande.

Come è nata l’idea di scrivere “La Francia in bilico”?

E’ nata dall’ottimo ritorno di critica e di pubblico di un libro pubblicato nel 2011 dagli stessi tre autori con l’editore Longanesi, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità italiana: un libro intitolato “ L’Italia disunita”, per gusto della provocazione, per amara constatazione, ma anche per invocare un’Italia diversa. Il nostro lavoro sulla Francia è costruito sullo stesso schema.

Non crede che la tipologia del libro – un libro-conversazione – possa dare adito a una conoscenza soltanto parziale della situazione francese?

Non abbiamo la pretesa di essere esaustivi, ma la volontà di essere vivaci e facilmente comprensibili da un pubblico vasto, di cultura media.

Il libro è il frutto dell’esperienza di persone che conoscono molto bene la realtà francese, ma siete sicuri che tale pregio non costituisca un handicap per chi volesse conoscerla a partire dal libro?

Abbiamo cercato di spiegare le cose senza dare nulla per scontato, evitando ogni tono dotto o specialistico. Inoltre, abbiamo cercato di suscitare delle curiosità nei riguardi di un Paese che consideriamo in crisi, ma degno d’interesse. Sbaglierebbe chi s’illudesse di conoscere per davvero la realtà francese soltanto a partire dal nostro libro.

Perché la Francia sarebbe “in bilico”?

Perché non è più una super-potenza, né politica né militare né economica né culturale, ma la grande maggioranza dei suoi abitanti non se ne rende ancora conto. E’ un Paese in bilico tra le glorie del passato e le sfide provenienti da un’Europa allargata a Est, sempre più dominata dalla Germania, nonché da un mondo sempre più “globalizzato”, caratterizzato da nuove grandi potenze come la Cina e l’India, la Russia e il Brasile.

Chi ha deciso gli argomenti da trattare nel libro?

Sono stato io il coordinatore del lavoro e il conduttore del dibattito con questi due autorevoli amici così diversi per formazione, generazione, convinzioni politiche. Sergio Romano proviene da un’importante carriera diplomatica, mentre Marc Lazar ha vissuto un brillante percorso universitario, sia in Francia sia in Italia. Romano è nato nel 1929, ben ventitré anni prima di Lazar, che è del ’52. Infine, la struttura intellettuale di Romano ha una base liberal-conservatrice, quella di Lazar ha una base di sinistra.

Le conversazioni sono avvenute attraverso incontri reali?

Certo, abbiamo registrato parecchie ore di conversazione nell’ufficio parigino di Marc Lazar, a Sciences Po. La loro trascrizione è stata rielaborata dai tre coautori con qualche taglio e molte aggiunte, sempre però tenendo presente l’obiettivo di non superare le circa 120 pagine previste a contratto con l’editore.

La Francia certo soffre i contraccolpi di un mondo che non può più essere analizzato secondo vecchi schemi, ma non crede che rimanga la migliore espressione di Stato possibile in Europa?

La mia impressione è che lo Stato-nazione tradizionale appartenga davvero al passato. E che comunque non sia esportabile fuori dai confini francesi. L’Europa offre un laboratorio di esperienze molto vario, interessante, e nessun Paese è così centralizzato come la Francia. Naturalmente nel nostro libro si registrano posizioni diverse. Romano è più indulgente verso il modello francese, Lazar più severo.

La vivibilità sociale è da sempre il leit-motiv fondante del modello francese. Vengo da Nantes e le assicuro che difficilmente si trovano amministrazioni pubbliche italiane capaci di organizzare una città per i cittadini…

Ognuno cerca una propria strada per vivere come preferisce, e mi rallegro che lei l’abbia trovata a Nantes. Ma lo Stato sociale alla francese, con tutte le sue conquiste nate dalle migliori intenzioni, ha ormai il fiato grosso. La bassa competitività internazionale – 70 miliardi di deficit della bilancia commerciale nel 2011 – indica chiaramente che una nuova politica verrà imposta dalle cifre, anche se gli abitanti di questo Paese non la vorrebbero.

Forse la borghesia non riesce più a costituire l’architrave portante della Francia. E ciò impedisce allo straniero di avere una lettura più chiara del paese transalpino.

Sono perfettamente d’accordo. Ma questo non è un fenomeno soltanto francese. Né Sarkozy né Berlusconi hanno incarnato i valori classici della borghesia europea: autodisciplina, morigeratezza, basso profilo… Non a caso, l’indice di popolarità del primo ministro François Fillon – proprio grazie alla sua immagine molto borghese – ha costantemente superato quello del presidente Sarkozy, durante l’intero quinquennio appena concluso.

La Francia è la porta aperta dell’Europa rispetto a popolazioni allogene. Allora come mai la lingua francese non riesce più ad essere veicolo di promozione della Francia nel mondo?

La Francia attira immigrati provenienti dalle sue ex colonie, sempre più difficili da integrare. Tra i motivi per cui non esiste più quel forte desiderio di “francesizzarsi” che un tempo era così diffuso fra gli immigrati, non ci sono soltanto le difficoltà economiche del Paese, ma anche il declino della sua cultura e della sua lingua.

In Francia il potere è detenuto da “élites” molto forti, e che forse hanno contribuito a logorare il modello francese. Crede che Hollande possa invertire tale tendenza?

François Hollande proviene dall’ENA e si colloca nella tradizione. Ma tengo a ripetere che – superata la stagione delle promesse elettorali – i suoi margini di manovra diveranno molto limitati, data la difficoltà oggettiva della situazione in cui l’economia francese si trova. Certamente la sua azione verrà aiutata dalla maggioranza assoluta che il Partito Socialista (PS) ha conquistata all’Assemblea Nazionale nel voto “legislativo” del 10 e 17 giugno 2012. Hollande non avrà bisogno dei voti dell’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon per far approvare le sue leggi, come avvenne a Romano Prodi costretto ogni giorno a fare i conti con Fausto Bertinotti dopo le vittorie elettorali del 1996 e del 2006. Ormai il PS controlla entrambi i rami del Parlamento, oltre alla presidenza della Repubblica, al governo nazionale ed a 21 regioni su 22 (tutte salvo l’Alsazia). In nessun altro paese di democrazia occidentale esiste una tale concentrazione di potere politico nelle mani di un solo partito.

Francia ed Europa, un rapporto molto complesso e articolato. Come mai?

Anzitutto perché la costruzione europea è nata nel dopoguerra come un’ambizione egemonica francese, che dopo la riunificazione tedesca non ha più senso. In secondo luogo, perché tuttora i responsabili politici parigini d’ogni colore ritengono che l’Unione Europea dovrebbe diventare una semplice estensione del modello statale, politico, economico, sociale e culturale della Francia. Ma essi stessi sanno benissimo che uno scenario del genere non è neppure proponibile agli altri Stati membri.

A giudicare dalla Francia di oggi c’è speranza che l’Europa possa riprendere fiato?

Non è la Francia che detiene la bacchetta magica, e non basta invocare la crescita (in alternativa all’austerità) per ottenerla. Il rilancio dell’Europa potrà avvenire soltanto in presenza di una generale ripresa dell’economia mondiale, e di uno sforzo congiunto dei maggiori Stati membri. L’Italia potrebbe svolgere un ruolo di primo piano.

Ci sarà un seguito al libro scritto a sei mani con Lazar e Romano?

E’ stato un grande piacere lavorare insieme, spero che continueremo, ma non saprei dire né quando né sotto quale forma. Certo è che tutti e tre abbiamo molti impegni in corso.

L’intervista non solo ripercorre puntualmente la narrazione del libro, ma ci lascia con interrogativi di particolare urgenza. Per la Francia non è il momento di guardarsi – ammirata – nello specchio della storia. Bensì di fare uno sforzo significativo e originale per rimettersi in gioco. L’Europa tutta ne riceverebbe benefici di non poco conto. E non si tratta dei soliti discorsi sulla “grandeur”.

Annotazione finale. In accordo con l’autore abbiamo deciso di rendere disponibile una scheda sul libro in modo che i lettori possano avere ulteriori punti di riflessioni in relazione all’intervista pubblicata.


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