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’’Control Arms’’. Nicolas Cage ci mette la faccia

di Carmen Ruggeri - martedì 22 novembre 2005 - 6124 letture

Chiedono un “Addio alle armi”, o almeno a quelle (tante, troppe), che finiscono nelle mani sbagliate. Chiedono a tutti gli attivisti per i diritti umani di “metterci la faccia”, e sottoscrivere una foto-petizione da presentare alla seconda Conferenza dell’Onu sui traffici illeciti di armi leggere, che si terrà a New York nel 2006. Nicolas Cage, Andrew Nicoll e Ian Holm (candidato all’Oscar, “Il Signore degli anelli”, “The aviator”, “the day after tomorrow”, “Alien”), l’hanno fatto con “Lord of war”, il lungometraggio di Andrew Nicoll a sostegno di Control Arms, la campagna lanciata da Iansa, Amnesty International, Oxfam il 9 ottobre 2003. “Lord of war”, nelle sale dallo scorso 18 novembre con l’Italian International film, non è un film d’azione, né un documentario nel senso più stretto del termine. È un road movie politico, una denuncia in formato pellicola che ti incolla al video su un tappeto di bossoli in 13 paesi diversi. Un lavoro meticoloso, difficile, dove la storia, l’intreccio narrativo e il riferimento a cose e persone è drammaticamente non casuale. Fotografia drammatica di quella zona grigia appesa sul filo della ‘legalità’ dove nel pianeta delle armi “leggere” si consumano i crimini più efferati. Un lungometraggio indipendente da 50 milioni di dollari ambientato nel mondo del traffico internazionale di armi all’indomani della guerra fredda, quando l’enorme quantitativo di armi in disuso dall’ex Unione sovietica prende il volo clandestino verso i paesi in via di sviluppo africani (solo in Ucraina, secondo i dati di Amnesty International dal 1982 al 1992 sono state impunemente rubate armi per 32 milioni di dollari). È la storia di Yuri Orlow (Nicolas Cage), ‘il signore della guerra’, re dei traffici internazionali e del suo impero di piombo. Un personaggio nato dalla penna di Nicoll dalle storie di cinque trafficanti realmente esistiti. “Quasi tutti i fatti del film - chiarisce il regista alla presentazione del lavoro - hanno un precedente reale. Elicotteri militari venduti come mezzi di soccorso, trafficanti d’armi che cambiano il nome e le registrazioni delle loro navi in alto mare, un noto criminale liberato dal carcere degli Stati Uniti in circostanze misteriose, i fatti sul saccheggio delle attrezzature militari sovietiche dopo il collasso con l’Urss, sono tutti veri”. Ed è stata proprio questa vera, cruda realtà a mettere i bastoni tra le ruote alla realizzazione del film. I finanziamenti, quelli americani per intendersi, non arrivano. Impensabile che una sceneggiatura attenta e documentata sul ruolo degli Stati Uniti nella fornitura di armi, trovasse l’ok di una qualche majors targata “Usa” alla vigilia del secondo conflitto iracheno (febbraio 2003). “Quando cerchi di vendere un film che racconta certe storie una settimana prima della guerra - spiega Philippe Rousselet, produttore della pellicola - hai idea di quanto sia difficile mettere insieme la somma necessaria. Mi ci è voluto effettivamente un anno e mezzo, e probabilmente nello stesso tempo avrei potuto mettere in piedi tre progetti. Con tutti i contatti che ho stipulato avrei potuto fare tre film; ma alla fine è partito”. Difficile trovare finanziamenti adeguati se nel 2004 (anno di produzione del film) il valore dei trasferimenti armamentari (artiglieria, mezzi corazzati, navi, aerei) ammonta a 19.162 milioni di dollari (con un incremento del 14% rispetto al 2002). Difficile se i principali paesi esportatori sono la Russia (6.177 milioni), gli Usa (5.453 milioni), la Francia (2.122 milioni), la Germania (1.091 milioni) e la Gran Bretagna (985), ovvero i principali membri del Consiglio di Sicurezza Onu (la Cina si posiziona all’ottavo posto della classifica, mentre l’Italia, pur non entrando nella cerchia delle “grandi” del Consiglio è seconda, preceduta solo dagli Usa) Impossibile se si pensa che le esportazioni mondiali autorizzate si aggirano attorno ai 28 miliardi di dollari l’anno; che attualmente sono in circolazione 689 milioni di armi leggere (una ogni dieci persone) prodotte da 1100 aziende in 98 paesi; che ogni anno muoiono per cause riconducibili all’uso delle armi 500.000 persone, 1300 al giorno, una al minuto; che ogni hanno vengono prodotti 8 milioni di armi leggere e 16 di munizioni; che almeno il 60% finisce nelle mani civili; che 3000 bambini e bambine soldato sono coinvolti in conflitti armati; che un terzo dei paesi del mondo spende più in acquisto di armi che in programmi di assistenza socio-sanitaria; che in Africa le perdite economiche causate dai conflitti oscillano sui 15 miliardi di dollari l’anno.

22/11/2005


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