Contro gli sbandamenti contemporanei, la filosofia della storia della Grecia classica
L’anima umana (comunitaria e individuale) è la verità della storia. Luca Grecchi e Costanzo Preve si ricongiungono nell’umanesimo, senza il quale non vi è storia e non vi è speranza.
Speranza e futuribile
Il nostro tempo storico segnato da tragedie e da conflitti ha smarrito con la speranza la dimensione del “futuribile”. Per cancellare dalla dimensione politica il futuro il capitalismo utilizza una miriade di mezzi e strumenti, uno di questi è la cancellazione della cultura classica. Il deserto avanza con la polverizzazione della tradizione filosofica rea di conservare e trasmettere l’eccellenza della natura umana: il bene da rendere universale mediante la cura e la pratica sociale. Il futuro è possibilità esclusivamente umana ed esso prende forma solo con la definizione della natura umana mediante la quale si sottopone a giudizio onto-assiologico il presente storico. Il tempo è la dimensione del “senso”.
La definizione di natura umana si esplica nella storia, pertanto essa non può che configurarsi secondo tonalità politiche. Il tempo presente è informe, perché non conosce la dimensione del bene-verità verso la quale orientarsi. Ciò che è informe non conosce il senso del limite e pertanto predispone al crimine. La tecnica contemporanea con le sue capacità di sorvegliare, condizionare e annichilire i dissenzienti trasforma il crimine relazionale in tragedia collettiva e prassi genocidiaria. Nel clima di normalizzazione legalitaria della violenza rileggere i Greci ci consente di acquisire concetti e strutture con cui valutare il presente per riorientarci verso il futuro.
Il testo di Luca Grecchi La filosofia della storia nella Grecia classica può esserci d’ausilio per emanciparci dalla barbarie del tempo presente e per consolidare la consapevolezza che senza il passato non c’è futuro. Comprendere la Grecia classica nella sua complessità-profondità veritativa ci consente di ricostruire la “dimensione di senso”, di cui siamo stati saccheggiati: il futuro conforme alla natura umana solidale e relazionale. A tal fine è necessario oltrepassare letture sclerotizzate e stereotipate della cultura greca antica secondo la quale la filosofia greca non conobbe che il tempo naturale circolare.
La lettura documentata di Luca Grecchi dimostra che tale ermeneutica del tempo non esaurisce la problematizzazione e la teorizzazione greca della storia. Pregiudizi e letture semplicistiche non hanno consentito di cogliere il futuribile nella cultura greca. Accademici e filosofi hanno definito la filosofia della storia secondo un linguaggio e una simbolizzazione teorica chiusa, ovvero la “boria degli accademici” ha portato a definire la filosofia della storia solo nella forma contemporanea e ciò ha impedito di valorizzare “la diversità simbolica con cui i greci hanno teorizzato modelli temporali diversi, tra i quali è possibile individuare anche la filosofia della storia”:
“Il fatto, insomma, che i Greci non possedessero una unica legge di direzione della storia, non ci consente di negare che essi possedessero una filosofia della storia. Se valesse questo criterio, infatti, date le diverse concezioni presenti nella modernità, si dovrebbe affermare che nemmeno in essa sia mai esistita una filosofia della storia; anche esaminando singoli autori moderni, del resto, troviamo che pure all’interno di singole loro opere si riscontrano talvolta concezioni differenti! Il fatto che siano state espresse, nella Grecia classica, teorie “progressive”, “circolari”, “regressive” ed “aperte” sullo sviluppo della storia, non può condurre a ritenere che in essa non vi sia stata una filosofia della storia. Sostenere che la filosofia della storia è una disciplina moderna che si autofonda equivale a nostro avviso a trascurare, anti-hegelianamente, che anche la filosofia della storia, come la storia della filosofia, è in buona parte il risultato di una catena di concezioni che si intersecano senza annullarsi, contribuendo a quel processo di superamento-conservazione descritto appunto da Hegel (qualcosa di ben diverso, dunque, dalla famosa operazione del barone di Munchausen, che pensava di potersi sollevare da solo alzandosi per il proprio codino). Al contempo, sostenere che la filosofia della storia è principalmente una secolarizzazione della escatologia ebraico-cristiana, equivale a nostro avviso a centralizzare in modo eccessivo il fenomeno religioso (pur importante) rispetto a tutti gli altri fenomeni sociali, economici, politici e culturali della storia umana” [1].
Platone e “il tempo storico dell’utopia”
L’utopia platonica codificata con la kallipolis è già un valido esempio del “futuribile”. Il comunismo platonico non è una semplice utopia astratta dalla realtà. Essa presuppone il giudizio etico e politico sul presente storico, individua l’esperienza del male nella storia (crematistica-illimitato) e, dunque, elabora un ideale politico rispondente alla natura umana verso cui orientarsi. Ecco apparire il futuro e con esso la speranza nella forma della prassi trasformatrice. Senza filosofia della storia non è possibile il pensiero politico forte, ovvero la valutazione della totalità sociale che si sporge verso il futuribile:
“Ebbene: come abbiamo cercato di mostrare nel nostro L’umanesimo di Platone, il suo contenuto principale è costituito da una filosofia politica che è, sul piano individuale, ricerca della cura dell’anima e, sul piano collettivo, ricerca del bene comune. A tale proposito ci troviamo concordi con quanto scrisse nel secolo scorso Auguste Diès, ovvero che Platone non si sarebbe forse nemmeno occupato di filosofia se non fosse stato mosso in primis da un forte intento politico. Questo significa che Platone ebbe una enorme attenzione non solo verso il presente, ma anche verso il passato, che di ogni presente costituisce la determinante essenziale; per questo motivo ci pare insensato voler negare che Platone si sia misurato con la storia, ed in particolare con la storia politica, in modo filosofico. Le costituzioni e le loro trasformazioni, lo Stato ideale e le modalità di avvicinamento al medesimo, la rigida normazione delle modalità economiche, giuridiche e sociali, sono in vari dialoghi trattati con la consapevolezza che è necessario, per fare una vera filosofia della storia, «capire le cause del divenire» (Leggi, III, 679 a-c); solo così, infatti, si potranno ben comprendere e ben indirizzare il presente ed il futuro. La filosofia della storia platonica fu, al contempo, una analisi storico-filosofica delle cause per cui la totalità sociale era oramai divenuta preda della disordinata molteplicità crematistica, ed una analisi delle possibilità filosofico-storiche per cui la totalità sociale avrebbe potuto essere ordinata in maniera unitaria ed armonica” [2].
La dimensione oracolare utilizzata da taluni studiosi per dimostrare il valore astorico della cultura greca, è solo una parte di una cultura profonda e dinamica, infatti la cultura classica mediante la riflessione filosofica fonda la storia come tempo degli uomini, nel quale si è chiamati a diventare responsabili del proprio destino. La responsabilità è mediata dalla cultura filosofica e, in tal modo, diventa azione consapevole dei fini oggettivi e universali da perseguire:
“Il presunto carattere astorico della riflessione greca classica, oltre che alla teoria metafisica di Platone, è talvolta imputato all’uso arcaico degli antichi Greci di consultare oracoli. Tuttavia, questa tendenza a conoscere il futuro senza la mediazione della riflessione storico-filosofica non può davvero imputarsi alla Grecia classica, se non come un residuo marginale. Quando la grecità classica ritenne di dover scrutare il destino, infatti, essa cercò sempre una comprensione storico-filosofica, e contestualmente la migliore azione politica per poter intervenire sul futuro; gli stessi oracoli del resto, maestri di saggezza, cercarono anch’essi di consigliare agli uomini come affrontare la vita nella maniera migliore, e questo fece pure Prometeo – «colui che pensa in anticipo» – nelle tragedie di Eschilo. Non fu casuale che proprio con la nascita della polis classica i metodi della divinazione vennero pressoché definitivamente abbandonati, a vantaggio della riflessione filosofica, storica, politica ed etica. Soffermiamoci allora sul nesso fra queste tematiche” [3].
Tra i filosofi e gli storici dell’epoca classica si possono riscontrare delle linee tendenziali comuni:
“Innanzitutto, occorre rimarcare che gli storici greci tennero fermi, pur all’interno delle differenze presenti nelle relative impostazioni, alcuni punti fondamentali: a) che lo studio del passato è necessario per la comprensione del presente e per l’orientamento del futuro; b) che occorre ricercare la verità sul passato nella maniera più attendibile; c) che occorre occuparsi soprattutto degli avvenimenti più importanti; d) che gli eventi sono fra loro concatenati, e che pertanto sussiste continuità nella storia”.
Futuribile
Nella storia agisce il caso e innumerevoli sono le variabili, ma ciò malgrado l’umanesimo della cultura classica ripone nell’uomo la responsabilità del futuro e dunque “non vi è necessità ma possibilità”. Nel nostro tempo la gestione del presente e del futuro è demandata all’IA programmata secondo i voleri imperiali e crematistici delle oligarchie transnazionali, per cui la Grecia classica è preziosa per difenderci dalla disumanizzazione e dalla fatalizzazione. La cultura astorica attuale vorrebbe ridurre gli eventi storici a pura contingenza senza senso, di conseguenza l’umanità non è che un’inutile spettatrice del fluire inesorabile del tempo storico, pertanto l’essere umano può solo attendere gli eventi storici e diventarne il triste e superfluo spettatore. La possibilità, verità ontologica del tempo storico, è sostituito con la necessità ideologica:
“Mazzarino è giunto addirittura a parlare di Tucidide nei termini di un vero e proprio filosofo della storia. Sottolineando il fatto che egli si trovò ad operare nell’età della sofistica, la quale richiamava continuamente la necessità della indagine sul passato per la interpretazione del futuro, lo storico italiano ha sostenuto che per Tucidide «la possibilità del futuribile, ed altresì della previsione del futuro, è un fatto certissimo, in quanto dato dalla ragione. Il futuribile, infatti, gli appare come elemento metodico di ricerca», e ciò soprattutto in quanto molti fenomeni da lui registrati si erano ripetuti più volte nella storia, ed avevano la quasi certezza di ripetersi in futuro (data la sostanziale immutabilità della natura umana); «Tucidide aveva messo in rilievo l’utilità della sua ricerca ai ini di una comprensione del futuro: l’analogia è una costante nella vicenda degli uomini e degli Stati. Del resto, l’età tucididea poteva concepire l’idea di una prevedibilità della storia” [4].
Nella cultura mitica e filosofica greca la riflessione sugli eventi tragici della storia consente, invece, di pensare diversamente il futuro. Senza la mediazione della coscienza “sui casi della storia”, non è possibile il riorientamento verso il futuro:
“Lo studio e la comprensione filosofica della storia, compiuto sia con gli strumenti del mythos che con quelli del logos, adempiva nella Grecia classica non solo ad una importante funzione politica di orientamento, ma anche ad una rilevante funzione catartica: compresi in modo corretto, infatti, perfino gli avvenimenti più tremendi consentono all’uomo di evitare il dramma di ritenere l’esistenza priva di senso; non è casuale, in merito, che i miti costituiscano, in varie forme, un patrimonio comune di tutte le antiche civiltà” [5].
Umanesimo politico
La dimensione storica della filosofia greca non è riducibile a naturalismo radicale. Anche in Costanzo Preve Luca Grecchi rileva un cedimento naturalistico, ovvero i Greci avrebbero tratto dalla natura i principi eterni su cui fondare la realtà. Costanzo Preve oscilla tra umanesimo, sempre affermato a livello teoretico e cedimento materialistico. In realtà i Greci, nell’interpretazione di Luca Grecchi, traggono dalla natura umana i principi con cui pensare il tempo storico. Tali leggi sono simbolizzate con il linguaggio cosmologico:
“Occorre inoltre ricordare come – a ribadire la centralità dell’umanesimo nel pensiero greco – per secoli, nella cultura greca, furono gli eroi omerici (e non i movimenti cosmici) a costituire il modello della educazione, assurgendo a figure ideali; gli stessi dèi, nell’Iliade piuttosto capricciosi, divennero già nell’Odissea forze morali ideali favorenti la realizzazione del bene degli uomini. Eppure, secondo la tesi esplicitata da Preve nel saggio di prossima pubblicazione che abbiamo anche in precedenza citato, «la natura greca è una realtà [...] dalle cui leggi eterne è possibile trarre per imitazione (mimesis) e per partecipazione (metexis) sia le leggi della città (politica), sia le leggi del governo di sé (morale). La stessa filosofia di Platone, che come noto è tutta costruita intorno alle due nozioni di imitazione e partecipazione, presuppone interamente questo naturalismo radicale ed assoluto» Anche con questa tesi, tuttavia, non possiamo concordare in quanto, come ricordato, ciò che abbiamo affermato per il pensiero presocratico vale in maggior misura per il pensiero classico, ossia socratico-platonico-aristotelico. Il fatto cioè che la natura sia stata talvolta presa da Platone come riferimento, non implica che la filosofia di Platone presupponga un «naturalismo radicale ed assoluto». Ogni volta, infatti, che Platone parla della natura, emerge nel testo il logos umano che ad essa attribuisce un senso, al di là della mera esistenza; definire la filosofia di Platone, ed in generale la filosofia classica, come impastata di «naturalismo», è in radicale opposizione con la sostanza umanistico- politica di quella stessa filosofia, rivendicata del resto anche da Preve pure per il pensiero presocratico” [6].
Se si segue, dunque, la linea teoretica di Luca Grecchi l’umanesimo greco è un umanesimo forte, in quanto la simbolizzazione della natura umana definisce la medesima, la quale in tal modo è il fine dell’agire storico. La storia è dunque il tempo dell’umanizzazione progettante in cui bisogna attuare la natura umana. La radice prima del filosofare greco è l’umanità nella sua temporalità storica nella quale l’eterno si svela:
“In un suo breve saggio del 1936 (Gli albori della filosofia in Grecia, Petite Plaisance, Pistoia, 2010, con introduzione di Giovanni Casertano), egli affermò infatti significativamente che «nella storia del pensiero greco i concetti di legge e di ordine ci appaiono dapprima applicati nell’ambito della vita umana, e solo successivamente trasferiti per estensione e per analogia alla sfera della realtà universale »: come a dire che non la natura, bensì appunto l’uomo, costituì il riferimento primo dei concetti del pensiero greco. Ed ancora, sempre nel testo citato: «Analoga derivazione dal mondo umano ha pure il termine cosmos. Nato forse dai riti religiosi della danza, a disegnare le evoluzioni regolate e ritmate del corpo, si applica nel campo politico all’ordine della città, quando la società umana prende coscienza di se stessa; nel campo militare allo schieramento dell’esercito; nel campo estetico all’acconciamento della persona. Da queste applicazioni alle cose umane passa poi – a cominciare per lo meno dagli Orici e da Anassimene – all’ordinamento dell’universo, concepito sul modello dell’ordine umano: così agli inizi del pensiero filosofico e scientifico i principi assunti a spiegazione del mondo fisico tradiscono tutti la loro origine dalle esperienze della vita vissuta. Nel che del resto non è che una continuazione del precedente già costituito dalle teogonie; che erano teogonie concepite nella forma del mito, e tanto più facilmente quindi portate a cercare gli elementi e i nessi occorrenti a una spiegazione dell’universo nella sfera dei concetti relativi alla vita umana»” [7].
La valutazione alienante della crematistica e la sua difformità rispetto alla natura umana, rendono la filosofia classica greca accostabile alle filosofie moderne della stori. I temi trattati da Hegel e Marx sono già presenti nel mondo classico e ciò conferma la natura umana solidale e relazionale. Per poter cogliere le analogie, pur in un diverso contesto storico e simbolico, è necessario congedarci dalla forma specifica dei linguaggi dei grandi pensatori moderni e contemporanei per individuare, al di là delle diverse forme linguistiche, gli aspetti essenziali e veritativi:
“Questo punto è stato messo in evidenza, in diversi testi, proprio da Costanzo Preve, il quale ha sostenuto che il casualismo degli atomi epicurei, rispetto al necessitarismo degli atomi democritei, esprimeva proprio il desiderio di Marx (e fors’anche di Epicuro) di “smarcarsi” dal processo complessivo della produzione sociale crematistica. Inoltre, come abbiamo cercato di argomentare in molti libri, tutta l’opera filosofico-politica di Platone è correttamente interpretabile, così come quella di Marx, come desiderio di mutare radicalmente la totalità sociale per eliminare proprio l’alienazione (sempre intesa in senso ampio, ovvero come fonte di ignoranza, ingiustizia, sofferenza, ed in generale di tutto ciò che impedisce la piena realizzazione della natura umana). Il fatto che Hegel, ai tempi di Platone, non fosse ancora nato, o comunque il fatto che il modo di produzione capitalistico fosse ancora di là da venire, non significa che il modo di produzione crematistico dell’epoca non alienasse anch’esso gli uomini (lavoratori, schiavi o proprietari privati che fossero), e che essi non ne fossero in qualche misura consapevoli” [8].
La filosofia è per sua costituzione di senso è politica e dialettica, conseguentemente tra i moderni e i filosofi della cultura classica è possibile individuare una continuità progettuale e critica che assume modalità diverse di espressione e di azione:
“In base a quanto sostenuto ino ad ora è possibile dunque smentire la tesi che la dialettica greca «si basi sulla omogeneità ontologica fondamentale fra natura e società, pensate entrambe in modo sostanzialmente non-storico», ossia naturalistico; se infatti il pensiero greco fosse stato naturalistico, esso avrebbe dato molto maggior peso alle sensazioni ed alle opinioni, ed in generale all’empiria, ed assai minor peso alla ragione ed alla morale, contrariamente a quanto invece risulta. Occorre infatti rimarcare che Marx, Hegel e Platone basarono tutti la loro filosofia della storia su un progetto di padronanza conoscitiva del presente ottenuta mediante una ricostruzione storico-dialettica del passato, a sua volta fondata su fermi principi onto-assiologici; su questa padronanza, soprattutto per Platone e Marx, si basava la progettualità sociale per il futuro. È ancora Preve del resto ad avere affermato più volte che l’idealismo tedesco di Fichte, Hegel e Marx non è altro che la restaurazione, in forma nuova, della eredità filosofica dei Greci” [9].
L’anima umana
L’anima umana (comunitaria e individuale) è la verità della storia. Luca Grecchi e Costanzo Preve si ricongiungono nell’umanesimo, senza il quale non vi è storia e non vi è speranza. Ricercare i principi sovrastorici con cui disegnare e progettare comunità politiche a misura d’uomo nei diversi contesti storici, culturali e culturali è il fine della filosofia della storia. Senza di essa l’essere umano è prigioniero di un presente chiuso alla temporalità storica e tale scissione ontologica non può che comportare il collasso etico e politico. L’umanità senza speranza e senza progettualità comunitaria dissangua le sue potenzialità in una solitudine disperata. La sofferenza che ne consegue conduce a forme di autodistruzione individuale e comunitaria:
“In questo senso rimane valido il titolo del nostro primo libro, pubblicato nel 2002, che è stato in più occasioni ripreso anche da Preve: per gli antichi Greci non la storia, bensì l’anima umana è il fondamento della verità, in quanto la storia è mutevole, e come tale non può porsi come stabile fondamento onto-assiologico veritativo. Non si tratta, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare, solo di una precisazione terminologica da metafisici; si tratta di una questione di primaria importanza. Nella superiorità della storia sulla filosofia, che tutto il pensiero moderno dà esplicitamente o implicitamente per scontata, si nasconde infatti il maggiore errore teoretico che si possa commettere. Ciò in quanto la filosofia determina stabilmente i principi primi e può pertanto, contribuendo a fare bene applicare i medesimi, guidare rettamente la storia; la storia al contrario, che non sa determinare stabili principi veritativi, può solo essere valutata dalla filosofia, e dunque non possiede alcuna priorità teoretica. Solo all’interno di questo rapporto fra filosofia e storia, che fu ben chiaro agli antichi Greci, si può comprendere che l’uomo è il solo possibile fondamento della comprensione dell’essere (e dunque anche della storia); solo con questo presupposto si può giungere ad una verità che sia insieme unione di ontologia ed assiologia” [10].
Nel nostro tempo caratterizzato dall’incedere arrogante della cultura della cancellazione, l’ultimo episodio è di una scuola nel Massachusetts, in cui una professoressa Heather Levine, ha cancellato Omero, perché affetto da mascolinità tossica, accostarci ai Greci è un modo per resistere alla cancellazione ideologica e per avanzare proposte teoriche con cui pensare il futuro oltrepassando il filo spinato del nichilismo capitalistico.
[1] Luca Grecchi. La filosofia della storia nella Grecia classica, Petite Plaisance Pistoia, 2010, pag. 60
[2] Ibidem, pag. 75
[3] Ibidem, pag. 24
[4] Ibidem, pag. 43
[5] Ibidem, pag. 31
[6] Ibidem, pag. 113
[7] Ibidem, pag. 119
[8] Ibidem, pag. 132
[9] Ibidem, pag. 137
[10] Ibidem, pag. 139
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