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"Consenso Informato": anche sull’idoneità della struttura sanitaria

La stessa carenza strutturale e tecnologica di molti ospedali Italiani sta riproponendo all’attenzione dei Cittadini il problema: ma chi ci deve informare?

di Enzo Maddaloni - mercoledì 7 marzo 2007 - 4504 letture

Il caso dell’Azienda Ospedaliera di Salerno è per certi versi emblematico. Carenze strutturali, carenza di adeguamenti, mancanza di presentanzione di progetti esecutivi di ristrutturazione edilizia aggravano il quadro delle idonietà di una struttura sanitaria in ogni caso una delle migliori della Regione Campania.

Nel frattempo arrivano gli ispettori regionali e ministeriali, i NAS e dopo aver ricevuto i verbali dei NAS anche il Sindaco di Salerno l’On. Enzo De Luca, coinvolto come massima autorità sanitaria cittadina (finalmente) ci "informa" che ci sono seri problemi di idonietà della struttura.

Nel frattempo la RSU si scandalizza e si erge a difesa della struttura sanitaria, denuciando il Sindaco di "allarmismo".

Aggiungo solo che non è possibile che questa situazione possa far ritardare l’istituzione e l’avvio della Facoltà di Medicina a Salerno attraverso la clinicizzazione dell’Azienda Ospedaliera a Salerno.

Salerno così sta rischiando di fatto di perdere la facoltà di medicina.

Nella sostanza i cittadini di Salerno si chiedono: ma chi ci deve informare ?

Sempre più ci confrontiamo in una società di diritti e di doveri. Diritti soggettivi dei Cittadini e doveri delle Istituzioni a rispondere delle loro azioni.

Aversa, Ospedale Moscati. Questo il teatro della vicenda che ha come protagonista il dottor Nazario Di Cicco, ortopedico, che per aver denunciato la situazione dell’ospedale in cui operava ha subito un progressivo isolamento da parte dei superiori e l’allontanamento dall’attività chirurgica. Fino al paradossale esito di vedersi riconosciuta dal datore di lavoro (la ASL Caserta 2) una mobbing sindrome (diagnosi inesistente, secondo Renato Gilioli, psichiatra del lavoro), seguita dall’allontanamento non – come ci sarebbe aspettato – degli autori del mobbing, ma del medico stesso. Ridotto all’inattività e con gravi e irreversibili conseguenze dal punto di vista psicologico il dottor Di Cicco oggi fa di nuovo lo studente, si è iscritto a giurisprudenza e vorrebbe ricominciare una nuova vita, tentando così di rispondere anche a quei bisogni di giustizia di cui era diventato vittima.

Il caso è di alcuni anni fà (2000). Un caso di "consenso informato", in ordine alle carenze della struttura ospedaliera dove lavorava (all’epoca mancante della rianimazione), che resta emblematico ed il 26 gennaio 2007 è stato riportato all’attenzione della cronaca nazionale dalla trasmissione “Mi Manda RAI Tre”.

Oggi le carenze strutturali e tecnologiche, di molti ospedali Italiani, stanno riproponendo all’attenzione dei Cittadini il problema: ma chi ci deve informare?

Nel frattempo l’Ospedale Cardarelli di Napoli è ingolfato dalle barelle, se ne contano anche 80 al giorno, ma non si dice che forse i Cittadini preferiscono stare in barella lì che altrove, in altri ospedali "fantasma" della stessa città di Napoli o Provincia. Forse il fenomeno "barelle" al Cardarelli andrebbe approfondito da un punto di vista diverso. La capacità di questa struttura ospedaliera di rispondere adeguatamente alla domanda di assistenza.

Qui entra di nuovo in campo il problema della responsabilità professionale del medico che ha suscitato, soprattutto negli ultimi tempi, un ampio dibattito, alimentato e sostenuto da una accresciuta e più sentita esigenza di tutela del malato.

La rinnovata cultura sociale sul modo di intendere il rapporto medico paziente ha influenzato anche la giurisprudenza, che ha prima recepito e poi ritenuto fondamentale il principio della obbligatorietà del cosiddetto “consenso informato”.

I principi della Carta Costituzionale, la stessa Legge 833/78 ha fatto da cornice a codici deontologici ed oggi a precise norme di legge che hanno costruito una giurisprudenza che sempre più ha "allargato" il proprio fronte a favore dei Cittadini eliminando la “sacralità” dello stesso ruolo del medico, tutto ciò, in stridente contraddizione con il caso del Dott. De Cicco, che pur avendo ragione ad informare l’utenza che non c’era la rianimazione e quindi era meglio (forse) rivolgersi altrove, è stato Lui condannato dagli stessi suoi colleghi che avrebbero dovuto esprimergli solidarietà professionale. Lo stesso Ordine dei Medici all’epoca non mise parola, abbandonando a se stesso il Dr. Di Cicco. Speriamo che la trasmissione di RAI Tre abbia sensibilizzato anche meglio il problema specifico.

Quindi, oggi alcune sentenze di Cassazione, hanno individuato che la responsabilità e i doveri del medico non riguardano più solo l’attività propria e dell’eventuale "equipe" che a lui risponde, ma si estende allo stato di efficienza e al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui presta la sua attività, traducendosi in un dovere di informazione diretto al paziente, nel rispetto dell’obbligatorietà del "consenso informato".

La Cassazione ha stabilito con sentenza (Cass. civ. Sez.III 15-01-1997, n. 364) che il medico non può intervenire senza il consenso informato del paziente, aggiungendo che “se le singole fasi assumono un’autonomia gestionale e presentano varie soluzioni alternative, ognuna delle quali comporti rischi diversi, il suo dovere di informazione si estende anche alle singole fasi e ai rispettivi rischi”.

Inoltre, la Cassazione con una altra sentenza - più recente - (Cass. civ. sez. III 16-05-2000, n. 6318) ha stabilito meglio il principio “dell’estensione oggettiva”:

Quindi, il principio del consenso informato - personale del paziente o di un proprio familiare - in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo, non riguardano soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell’arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento, in modo che il paziente possa non soltanto decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra.

"L’omessa informazione sul punto può configurare una negligenza grave, della quale il medico risponderà in concorso con l’ospedale sul piano della responsabilità civile, quindi del risarcimento del danno, ed eventualmente anche sul piano professionale, deontologico – disciplinare” (Cass. civ. sez. III 30-07-2004, n. 14638).

Nel mentre quindi si fa più chiaro il quadro che la responsabilità e i doveri di un medico non riguardano più solo l’attività propria e dell’eventuale equipe che a lui risponde, ma si estende allo stato di efficienza ed al livello di dotazioni della struttura sanitaria in cui presta la sua attività, traducendosi in un ulteriore dovere di informazione del paziente. Il parodosso del Dr. Di Cicco è proprio questo: ha pagato la sua onestà intellettuale e professionale pur di rispondere eticamente alla domanda di assistenza dei suoi pazienti.

La Cassazione quindi è tornata in tempi recentissimi a confermarci che il consenso informato, personale del paziente o di un proprio familiare, in vista di un intervento chirurgico o di altra terapia specialistica o accertamento diagnostico invasivo, non riguardano soltanto i rischi oggettivi e tecnici in relazione alla situazione soggettiva e allo stato dell’arte della disciplina, ma riguardano anche la concreta, magari momentaneamente carente situazione ospedaliera, in rapporto alle dotazioni e alle attrezzature, e al loro regolare funzionamento.

Addirittura, lo stesso Tribunale di Napoli, Sez. pen. V, 18 febbraio 2006, ha sancito che è "Lecito dirottare il paziente verso strutture private, se quelle pubbliche non funzionano" escludendo il delitto di concussione, di cui all’art. 317 c.p., nei confronti di un primario ed altri medici specialisti di nefrologia, per aver dirottato pazienti verso cliniche private, alle quali comunque erano legati, posto il malfunzionamento della struttura pubblica, nel caso, per l’estrema difficoltà od impossibilità di praticare le dialisi. In verità in questo caso forse si sarebbe potuto ravvisare anche un reato minore "l’abuso d’ufficio", considerato che non c’erano sufficienti elementi di prova per la "concussione".

In ogni caso il prinicipio deve essere salvaguardato. Il paziente, deve essere messo in condizione, non soltanto di decidere se sottoporsi o meno all’intervento, ma anche se farlo in quella struttura, ovvero chiedere di trasferirsi in un’altra. Salvo i reati di concussione e/o abuso d’ufficio e non era certamente il caso del Dr. Di Cicco di Aversa.


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