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Compagno di scuola

Quanti di noi hanno una storia di condivisione di una parte della propria vita con coloro che, oggi, la gestiscono.

di Piero Buscemi - mercoledì 14 settembre 2016 - 3092 letture

Si attraversavano le vie di paese, improvvisando prestazione sportive delle quale rivendicare il titolo di campione. Lo si faceva con i tappi delle bottiglie di birra, ma l’evoluzione aveva già riciclato coperchi di latta dei barattoli di vetro dei vasetti di pomodoro in conserva. Bastava girarli dal lato convesso e, ad ogni calcio esterno, acquistavano la velocità sufficiente per trasformarsi in galattici palloni di calcio del futuro.

O si prendevano i fustini di cartone dei detersivi per lavatrice. Di forma cilindrica, abbastanza resistenti anche ad uno scroscio d’acqua, venivano fissati ai muri esterni delle case. Ed era pallacanestro da strada, degna del miglior Street-basket statunitense.

Ogni tanto, ci si fermava ad ascoltare gli adulti mentre parlavano di politica. Non si capivamo le motivazioni di quei diversi modi di pensare. Non si riusciva a comprendere dove stessero i torti e le ragioni. Ci si limitava a fare nostre ideologie ereditate in famiglia, molte volte da difendere, senza averne ancora compreso le coerenze.

Queste azzuffaglie da cortile enfatizzavano gli animi durante le campagne elettorali, quando le ragioni si truccavano da certezze, quanto meno da promesse per il futuro. Erano altri pretesti ed ispirazioni per nuove distrazioni ludiche. Non troppo lontane dalla fantasia espressa in immagini dal regista Sergio Corbucci nel suo Gli Onorevoli, quando fa recitare il gioco della politica a dei ragazzini, a suon di accuse, sberleffi e anatemi coloriti.

Durava qualche momento, poi si tornava ai giochi seri. Quelli che si rimpiangeranno per tutta la vita. Quelli che non hanno mai posto delle condizioni, né tanto meno, suscitavano particolari discriminazioni. Era sufficiente un’idea estrosa per radunare un gruppetto di aspiranti campioni, leader, pensatori, organizzatori e, più semplicemente, bambini.

Si dovrebbe rimanere bambini per sempre. E’ una di quelle frasi fatte che abbiamo ascoltato dalle labbra dei nostri nonni, che riporteremo ai nostri figli e che erediteranno i nostri nipoti. Non è soltanto una delle tante forme di nostalgia per un passato che non ritornerà. Sono le sbucciature alle ginocchia, gli occhi neri di un litigio temporaneo, le diplomazie infantili, ingenue, improvvisate e spontanee, che riuscivano a mediare gli errori dell’inesperienza.

Ma l’esperienza degli adulti è quella che ci ha fatto crescere accanto a tanti personaggi che attraversano la nostra vita, dettandone le regole e i futuri tarpati. Quanti potrebbero raccontare quelle storie adolescenziali che abbiamo provato a descrivere? Quanti avranno condiviso un posto di banco a scuola con bambini, oggi adulti a ricoprire ruoli di comando?

A chi spetterebbe ricordare gli anni di quella infanzia sfuggita? Al politico che si riempie la bocca di aforismi progressisti, avendo troppo velocemente dimenticato i tempi dei calzoncini corti e dei sandali con gli occhi? O, forse, a chi si ritrova a subire, oggi, decisioni democratiche che hanno cancellato l’idea di un ambito domani?

Si dovrebbe fermare il tempo, metaforicamente non potendo farlo fisicamente. Pensare per un momento che davvero si può rovinare l’esistenza di milioni di persone con un piccolo gesto di strafottenza e d’arroganza. Ritornare ai sogni da bambino, intinti d’alloro ingenuo ed innocente. Quelli che, alla fine, non procuravano male a nessuno.

Si dovrebbe. Ma. purtroppo, si diventa tutti adulti...


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